Il termine taping deriva dall’inglese tape, ovvero nastro, benda. Il concetto di bendaggio del corpo ha subito una forte evoluzione nell’ultimo secolo, anche se l’applicazione di fasciature ai fini curativi risale ai tempi dei greci e dei romani. Possiamo definire bendaggio o fasciatura un’applicazione di bende o fasce sopra un determinato distretto corporeo per limitare un danno, rendere più sicura un’articolazione o favorire la guarigione. Le prime bende utilizzate in ambito sportivo dai trainer di basket statunitensi, agli inizi degli anni ’50, erano adesive ma completamente inestensibili. Ciò, chiaramente, limitava la possibilità di movimento dell’articolazione, inficiando conseguentemente anche la prestazione in ambito motorio e sportivo. Quando il taping arrivò in Europa, lo scopo delle scuole olandesi, italiane e francesi, fu quello di rendere il cerotto estensibile, adeguandolo alla particolare struttura articolare su cui doveva essere applicato. Ciò rientra nel concetto di bendaggio funzionale, ossia una particolare forma di bendaggio che nei traumi è in grado di proteggere l’unità motoria o le strutture capsulolegamentose eventualmente lesionate, salvaguardando la libertà funzionale delle strutture sane. Il moderno concetto128 di taping neuromuscolare deriva dal Giappone: una benda che, attraverso particolari applicazioni e stimoli compressivi e decompressivi, ha la finalità di assistere il corpo per ottenere benefici sui sistemi muscoloscheletrico, vascolare, linfatico e sensitivo. Il metodo ha avuto la sua prima "esposizione" internazionale in occasione delle Olimpiadi di Seul nel 1988 con la Nazionale Giapponese di Pallavolo, nel corso degli anni ha allargato la sua diffusione in tutto il mondo. Attualmente è una delle tecniche maggiormente utilizzate in ambito riabilitativo, sportivo e rieducativo. Non è una terapia, il cerotto non rilascia alcun farmaco, ma una tecnica capace di stimolare le normali capacità di autoguarigione dell’organismo attraverso le sue proprietà meccano-elastiche. In questo capitolo, oltre a dare descrizione delle tecniche classiche fin qui utilizzate del taping chinesiologico, verrà approfondita particolarmente la tecnica posturale. Scopriremo come e perché questa metodica, più di altre, possa contribuire concretamente a rieducare la postura di un soggetto, agendo non solo a livello muscolare ma specie a livello percettivo.
Ai fini di una corretta applicazione del taping è necessario possedere dei sistemi di riferimento che ci guidino durante la valutazione dei diversi distretti corporei. Tali sistemi sono dati da assi e piani immaginari che percorrono il nostro corpo nelle tre dimensioni dello spazio. Gli assi di riferimento sono linee immaginarie che vengono utilizzate per tracciare l'asse sul quale si svolgono i movimenti di rotazione. Se ne individuano tre:
I piani di riferimento sono anch’essi tre, permettono di analizzare il corpo partendo da punti di vista differenti:
La posizione di riferimento del nostro corpo è quella definita come anatomica, utilizzata per stabilire le relazioni fra le diverse parti. I termini anatomici come anteriore e posteriore, mediale e laterale, superiore o inferiore sono sempre riferiti alla posizione anatomica. Una persona che si trova nella posizione anatomica: è in piedi, in posizione eretta con la testa eretta, sguardo e palmi delle mani rivolti in avanti, braccia lungo i fianchi e dita delle mani estese, piedi in avanti e perpendicolari al corpo.
Oltre a quella anatomica è possibile individuare diverse posizioni del nostro corpo. Chiaramente esisterebbe la possibilità di descrivere migliaia di posizioni diverse prendendo in considerazione ciascuna componente del nostro corpo. Ai fini didattici si suole prendere in considerazione oltre alla posizione eretta, altre cinque posizioni principali:
Prendendo in considerazioni i diversi distretti corporei è possibile riconoscere movimenti angolari o circolari. I movimenti angolari si verificano quando una parte di una struttura lineare, come il corpo nella sua interezza o un arto, viene piegato verso un altro segmento della struttura stessa cambiando così l’angolo tra le due parti. I tipi più comuni di movimento angolare sono la flessione, l’estensione, l’abduzione e l’adduzione. Flettere vuol dire piegare (determinare una riduzione dell’angolo), mentre estendere significa distendere (determinare un aumento dell’angolo).
Per il piede è preferibile parlare di flessione plantare, come quando si è in punta di piedi, e di dorsoflessione quando si cammina sui talloni. L’abduzione (allontanare) è un movimento che allontana dalla linea mediana del corpo; l’adduzione (avvicinare) è un movimento che avvicina alla linea mediana. L’abduzione consiste nel muovere gli arti superiori o inferiori allontanandoli dalla linea mediana del corpo, mentre l’adduzione consiste nel riportarli nella posizione iniziale. L’abduzione del polso allontana la mano dall’asse mediale del corpo, mentre l’adduzione fa ritornare la mano verso l’asse mediale. Lo stesso vale per il piede.
I movimenti circolari comprendono la rotazione di un segmento attorno a un asse o un movimento ad arco del segmento. Ne fanno parte la rotazione, la pronazione, la supinazione e la circonduzione. La rotazione è il movimento di un segmento attorno al proprio asse maggiore (per esempio la rotazione del capo o del tronco).
La pronazione è la rotazione del palmo in modo tale che guardi posteriormente (in relazione alla posizione anatomica; in basso se viene flesso il gomito). La supinazione è la rotazione del palmo in modo che guardi anteriormente (in alto se viene flesso il gomito).
La circonduzione è il movimento in senso circolare dell’estremità distale di un arto. Movimento complesso di adduzione, abduzione, flessione ed estensione.
Ulteriormente si possono distinguere movimenti di elevazione o abbassamento in riferimento alle spalle. Movimenti di inversione ed eversione propri della caviglia che portano, nel primo caso la superficie plantare del piede a guardare medialmente, e nel secondo caso a guardare lateralmente.
La cute o pelle è allo stesso tempo l’organo più sottile (da 0,5 a 4 mm di spessore) ma anche più esteso (circa 2 m²) e più pesante (fra 8 e 10 kg) del corpo umano. È dotata di una grande distensibilità e resistenza dal momento che una striscia di 3 mm per 100 mm può sopportare fino a 10 kg allungandosi del 50% circa. È formata da un epitelio (cellule epiteliali) chiamato epidermide, da un tessuto connettivo (cellule elastiche e di collagene) chiamato derma e da uno strato connettivale adiposo che prende il nome di ipoderma. Nel derma e nell’ipoderma sono contenuti gli annessi cutanei (unghie, peli, ghiandole sudoripare, ghiandole sebacee), i vasi ed i nervi. Le funzioni principali della cute sono:
Lo spessore della cute varia secondo il genere, il tipo etnico di appartenenza, le regioni del corpo e il grado di sollecitazione meccanica. In generale è più sottile nelle superfici flessorie del corpo, più spessa in quelle estensorie. È più sottile (0.5 mm) nelle palpebre, nel meato acustico esterno, nel prepuzio e nelle piccole labbra. Si presenta più spessa (fino a 4 mm) nella palma delle mani, nella pianta dei piedi e nella regione cervicale posteriore.
L’elasticità cutanea è ugualmente dissimile nelle varie regioni del corpo. È maggiore nelle aree estensorie (convesse) di un’articolazione, parte anteriore del ginocchio e posteriore del gomito, minore in quelle flessorie. L’organizzazione delle fibre elastiche e collagene del derma determina il grado di distensibilità cutanea sia a riposo che in movimento. In particolare, le fibre elastiche non sono mai completamente rilasciate ma in uno stato di tensione che si orienta diversamente nelle varie regioni del corpo. Ciò fa sì che sulla superficie del corpo si possano disegnare linee di minor deformabilità della cute, definite come linee di Langer, dal nome dell’anatomo-patologo austriaco che le individuò agli inizi dell’Ottocento. Queste ultime sono disposte nella direzione della minore estensibilità, cioè perpendicolarmente alla direzione nella quale la pelle può essere maggiormente distesa.
Assumono particolare importanza in ambito chirurgico, in quanto, al fine di ottenere cicatrici esteticamente valide (meno visibili) e ridurre le tensioni sulla ferita al momento in cui viene suturata, è necessario praticare le incisioni parallelamente ad esse.
Al contrario, nell’applicazione del taping chinesiologico, generalmente si segue un percorso perpendicolare rispetto alle linee di Langer, per sfruttare la direzione di maggiore elasticità cutanea in modo da accentuare le pliche cutanee e, di conseguenza, aumentare lo spazio interstiziale (spazio tra la pelle ed il muscolo).
La cute ha numerosi recettori situati nel suo spessore ed è sensibile a eccitamenti tattili, termici, dolorifici e di pressione. In particolare, fanno parte dei meccanocettori cutanei, i corpuscoli di Merkel, i corpuscoli di Meissner, i corpuscoli di Ruffini ed i corpuscoli di Pacini.
La stimolazione delle fibre provenienti dai corpuscoli di Merkel dà la sensazione di pressione cutanea e dolore. La stimolazione delle fibre provenienti dai corpuscoli di Meissner dà la sensazione di vibrazione localizzata, strettamente aderente alla durata ed alla frequenza dello stimolo. La stimolazione delle fibre provenienti dai corpuscoli di Ruffini dà la sensazione, occasionale, di movimento articolare oltre allo stiramento della cute. La stimolazione dei corpuscoli di Pacini dà informazioni sulle vibrazioni e sugli stimoli pressori.
La pelle è un elemento fondamentale dell’esterocezione e le cicatrici cutanee, se dotate di determinate caratteristiche, possono divenire fonte di alterazioni posturali. La cicatrice è costituita dal tessuto connettivo che si forma per riparare una lesione, traumatica o patologica, della cute o di altri tessuti. Il tessuto connettivo cicatriziale è più resistente del tessuto originario ma allo stesso tempo meno elastico, se associato ad aderenze e a problemi funzionali, diminuisce la libertà di movimento e interferisce con le strutture dei piani sottostanti (fascia connettivale, fibre muscolari, vasi e nervi) intrappolandole. A livello posturale, una cicatrice retratta, ipertrofica o cheloide è in grado di stirare i recettori cutanei e provocare afferenze propriocettive ed esterocettive alterate.
Il Sistema Tonico Posturale viene così disturbato da queste afferenze e la risposta muscolare anomala ha lo scopo di detendere la cute e gli esterocettori stirati, generando un ipertono e un’anomala risposta muscolare. Tale risposta anomala è in grado di generare delle dismetrie funzionali che alterano quindi l’intero sistema. A livello muscolo-fasciale la fibrosi che consegue alla cicatrice, determina zone di minore elasticità, generando un disturbo localizzato che si ripercuote, sempre a livello globale, sull’equilibrio delle catene cinetiche in toto. Specifiche applicazione del taping chinesiologico permettono di ridurre le aderenze e le retrazioni cicatriziali, agendo quindi globalmente sulla postura e allo stesso tempo sulle disfunzioni che la cicatrice comporta sull’intero organismo.
Il tessuto muscolare si differenzia dalle altre tipologie di tessuti per una evidente caratteristica: la contrattilità, ossia la capacità di accorciare la sua lunghezza. Non esiste un’unica tipologia di tessuto muscolare ma ben tre diverse varietà: il tessuto muscolare striato scheletrico, il tessuto muscolare liscio e il tessuto muscolare cardiaco. Il primo costituisce i muscoli che fanno muovere le ossa sotto controllo volontario, per tale motivo definito appunto come “scheletrico”. Il tessuto muscolare liscio fa parte del rivestimento dei vasi e dei visceri. Il tessuto miocardico, pur essendo istologicamente striato, è involontario e ha la capacità di auto-contrarsi. Il muscolo striato è costituito da cellule che prendono il nome di fibre muscolari: sono elementi allungati, disposti longitudinalmente all'asse del muscolo e raccolti a fascette. Il tessuto connettivo che circonda ogni fascicolo prende il nome di Perimisio, riccamente vascolarizzato ed innervato, da cui si dipartono numerosi setti che circondano ciascuna fibra muscolare e che nell'insieme prendono il nome di endomisio. Le fibre muscolari (fibrocellule) sono elementi cellulari lunghi e sottili, con una lunghezza variabile da un minimo di 1 mm ad un massimo di 12 cm (muscolo sartorio); il diametro va da un minimo di 10 µm ad un massimo di 100-105 µm (il diametro medio oscilla tra i 10 e i 50 µm). Le fibrocellule muscolari scheletriche sono polinucleate e formano dei sincizi, ovvero una massa citoplasmatica unica che funziona sinergicamente.
Una fibra muscolare, vista al microscopio ottico, presenta una marcata striatura trasversale, dovuta all'alternanza regolare di bande più chiare ed altre più scure. Le bande scure corrispondono alle bande A del sarcomero e le chiare alle bande I. Ciascuna fibra muscolare presenta anche una striatura longitudinale, meno visibile, dovuta alla disposizione parallela delle miofibrille che riempiono gran parte del sarcoplasma. Il sarcoplasma di una fibra muscolare presenta numerosi mitocondri, le centrali energetiche della cellula, ed è provvisto di numerosi apparati di Golgi, situati quasi sempre presso uno dei nuclei, e di un reticolo endoplasmatico liscio molto sviluppato e specializzato, che prende il nome di reticolo sarcoplasmatico. Il reticolo sarcoplasmatico circonda ciascun gruppo di miofibrille all'interno del sarcoplasma ed è il principale deposito di Ca2+ intracellulare, fondamentale per la contrazione muscolare.
Una miofibrilla è costituita da una ripetizione longitudinale di unità funzionali contrattili note come sarcomeri. Un sarcomero è la porzione di miofibrilla compresa tra due linee Z, lunga 2-3 µm. Ciascuna miofibrilla è fatta da diversi filamenti: alcuni grossi detti filamenti di miosina, altri sottili detti filamenti di actina. Quelli grossi si incastrano con quelli sottili in modo tale che la banda A risulti formata dal filamento grosso (ecco perché è più scura), la banda I è invece formata da quella parte del filamento sottile che non è incastrato al filamento pesante (è più chiara). Nella contrazione i filamenti leggeri scorrono tra i filamenti pesanti, in modo che le bande I diminuiscano di lunghezza, avvicinando una linea Z all’altra. Questo meccanismo determina l’accorciamento in lunghezza del sarcomero e quindi la contrazione muscolare.
Affinché questo meccanismo avvenga occorre energia che è fornita da una sostanza: l'ATP (adenosin trifosfato), che costituisce la moneta energetica dell'organismo. L'ATP si forma dall'ossidazione degli alimenti: l'energia che hanno gli alimenti viene passata all'ATP che la cede poi ai filamenti per farli scorrere. Risulta chiaro che in assenza di ATP le teste della miosina non possano essere attivate e non possano quindi legarsi all’actina. Il muscolo quindi deve esserne continuamente rifornito, altrimenti non potrebbe avvenire la contrazione. Affinché la contrazione avvenga occorre, inoltre, anche un altro elemento, lo ione Ca ++ (Calcio). La cellula muscolare ne tiene grosse scorte all’interno del reticolo sarcoplasmatico e lo mette a disposizione del sarcomero quando deve avvenire la contrazione. Le fibre muscolari scheletriche si associano tra loro in unità motorie. Questa strutturazione è fondamentale per il controllo della contrazione muscolare. L’unità motoria è costituita dal motoneurone situato nel midollo spinale, dal prolungamento assonale che parte da esso e arriva fino alla fibra muscolare dove, attraverso la giunzione neuromuscolare o placca motrice ed al rilascio del neurotrasmettitore (acetilcolina), porterà l’impulso nervoso per la contrazione.
Il tipo di fibre muscolari appartenenti a una medesima unità è sempre lo stesso mentre il numero può variare di alcuni ordini di grandezza. In muscoli di ridottissime dimensioni ma in cui è necessario un controllo fine del movimento, come i muscoli estrinseci degli occhi, un'unità motoria comprende al massimo 10-20 fibre, mentre nei muscoli degli arti inferiori, deputati a movimenti ampi che possono richiedere molta forza, possono arrivare ad un paio di migliaia. Nella contrazione muscolare l'ordine di attivazione delle unità motorie è fisso: per prime vengono attivate le fibre di tipo I, capaci di forza contrattile minore, e solo se necessario le fibre più grosse di tipo II.
Nei muscoli ad attivazione lenta viene utilizzato un metabolismo principalmente ossidativo, presentando una capillarizzazione molto densa che dona alle fibre stesse il tipico colore rosso (dette appunto fibre rosse o di tipo I), anche perché ricche di mioglobina. La velocità dell'attivazione di questo tipo di fibre è pressoché lenta e funzionalmente i muscoli con questo tipo di fibre vengono classificati come muscoli tonico-posturali. Questi tipi di muscoli, quando si trovano in uno stato "disfunzionale", manifestano la loro sofferenza determinando una condizione di accorciamento e rigidità.
Nelle fibre ad attivazione rapida (dette bianche o di tipo IIB), invece, viene utilizzato un metabolismo principalmente glicolitico. Hanno una bassa soglia di sopportazione alla fatica e possiedono una scarsa rete di capillari che gli conferisce il tipico aspetto chiaro. I muscoli che hanno predominanza di questo tipo di fibre sono classificati, in base alla loro funzione, come muscoli fasici, ed intervengono in sforzi muscolari intensi ma di breve durata. Essi manifestano il loro stato disfunzionale indebolendosi.
Esiste in realtà un’ulteriore tipologia di fibre (di tipo IIA) con caratteristiche intermedie a quelle precedentemente analizzate. Tali fibre hanno la peculiarità, soprattutto nei più giovani, di potersi specializzare in fibre rosse o bianche sulla base della tipologia di allenamento che viene praticata (ad es. negli sport di endurance si specializzeranno in rosse, nei velocisti in bianche). L'allenamento specifico non serve quindi ad aumentare il numero di fibre, ma a stimolarne l'aumento di volume e la specializzazione verso la tipologia più idonea allo sport praticato.
Tipologia di fibre | Metabolismo | Contrazione | Resistenza |
---|---|---|---|
Rosse o di tipo I | Ossidativo | Lenta | Molto resistenti alla fatica |
Intermedie o di tipo IIA | Ossidativo e glicolitico | Rapida | Resistenti alla fatica |
Bianche o di tipo IIB | Glicolitico | Molto rapida | Sensibili alla fatica |
I muscoli hanno un doppio ruolo all’interno del Sistema Tonico Posturale: essi sono sia effettori, gli organi che realizzano concretamente i movimenti e mantengono la postura, che recettori. L’attività recettoriale dei muscoli è data in particolare da due strutture che informano sulle variazioni in lunghezza e in tensione del muscolo. I primi sono i fusi neuromuscolari, i secondo gli organi tendinei di Golgi.
I fusi neuromuscolari sono delle strutture recettoriali che dispongono di una doppia innervazione, sensitiva e motoria, e sono sensibili alle variazioni di lunghezza muscolare. Sono situati nel ventre del muscolo e per la loro disposizione in parallelo con le altre fibre muscolari, vengono allungati ogni qual volta si allunga il muscolo. Essi possono essere considerati dei servo- meccanismi fisiologici che misurano sia le variazioni lineari del muscolo che la velocità di contrazione. La loro attività è regolata da modifiche di segnali efferenti provenienti da gamma motoneuroni statici e dinamici, posti nelle corna anteriori del midollo spinale, che innervano la muscolatura intrafusale e sono sensori di allungamento, e alfa motoneuroni che innervando la muscolatura extrafusale, eccitano direttamente il muscolo e ne determinano forza e velocità di contrazione. Questo circuito, che inizia con la scarica dei gamma motoneuroni e si chiude con l’eccitamento degli alfa motoneuroni è chiamato circuito gamma-alfa ed è alla base del riflesso miotatico che consiste in una contrazione del muscolo in seguito ad un suo stiramento. L’attività di questo circuito permette il controllo del tono muscolare e condiziona, pertanto, sia la postura che il movimento.
Gli organi tendinei di Golgi, situati alla giunzione muscolo-tendinea, sono disposti in serie rispetto alle fibre muscolari, per cui recepiscono stiramenti del tendine e non del ventre muscolare. Ne risulta, pertanto, che lo stimolo attivatore di questi recettori è principalmente la tensione sviluppata dal muscolo durante la contrazione. Il loro compito è quello di assicurare il rilascio, per via riflessa, del muscolo quando la tensione sviluppata risulti essere eccessiva e potenzialmente dannosa per lo stesso. Questo rilascio da parte degli organi tendinei di Golgi viene assicurato da un circuito inibitorio che blocca l’attività del motoneurone alfa. Questo riflesso viene definito come riflesso miotatico inverso perché, a differenza del riflesso miotatico, l’attività recettoriale non determina una contrazione ma bensì un rilascio del muscolo.
Il precursore del concetto di catena cinetica è stato Reuleaux (1875), il quale si riferiva a un sistema meccanico di segmenti, dove il movimento di un segmento ha determinati rapporti con ogni altro segmento del sistema. Egli asserì che “una lesione a una componente della catena influenza negativamente l’intera catena” (Payr, Reuleaux). Baeyer (1924) ha definito per primo il “sistema articolare cinematico”, quindi non più segmenti anatomici semplici e articolati tra loro, ma segmenti facenti parte di un sistema più complesso: la catena muscolare. Nell’analizzare un movimento anche molto semplice, le combinazioni sono innumerevoli perché si devono prendere in considerazione tutti i muscoli che vi prendono parte e il loro stato di maggiore o minore tensione all’inizio del movimento. Il mantenimento stesso della posizione eretta richiede il molteplice intervento di quei muscoli che ci ergono contro gravità. Tramite la fascia connettivale, i muscoli sono infatti strutturati in lunghe catene muscolari o meglio mio-fasciali. La lunghezza e l'elasticità di ogni singolo muscolo è strettamente legata a quella di tutti i muscoli appartenenti alla stessa catena. Occorre comunque sempre tener presente la stretta integrazione esistente all'interno del sistema miofasciale e del nostro organismo, è difficile isolare funzionalmente un organo o una struttura. Tutto ciò rientra nella visione di globalità adottata in posturologia: approfondire lo studio isolato e settoriale di un muscolo può avere senso da un punto di vista anatomico, molto meno dal lato funzionale. Diversi autori hanno approfondito lo studio delle catene muscolari. secondo Bousquet: “le catene muscolari sono un insieme di muscoli intimamente collegati tra loro da una specifica finalità funzionale (es. estensione tronco). Queste catene sono fondamentali in quanto realizzano in modo concreto lo schema posturale elaborato a livello del cervello, come i fili che sostengono i burattini. Un buon equilibrio tra le varie catene muscolari si traduce in un buon equilibrio posturale”. Di seguito evidenziamo le principali catene muscolari descritte da Bousquet.
La catena statica posteriore ha funzione soprattutto di equilibrio. Infatti, notiamo che l’uomo trova in posizione eretta un proprio equilibrio in un apparente squilibrio anteriore:
Il risultato di questo squilibrio anteriore, alto e basso, è un’agevolazione dell’andatura in avanti e soprattutto la tensione statica sviluppata dalle fasce muscolari posteriori. In termini di consumo energetico, la prevalenza connettivale della catena statica posteriore risponde in maniera economica alla gestione di tale squilibrio. La catena statica posteriore ha origini intracraniche e prosegue il suo percorso fino ad arrivare al piede, passando da:
A questo punto, secondo Busquet, la catena statica posteriore si prolunga lateralmente nell’arto inferiore con la catena statica laterale, in profondità attraverso:
In superficie attraverso:
A livello della testa del perone, la catena statica laterale, attraverso un’arcata fibrosa, rinforza la membrana del soleo che si unisce attraverso il tendine di Achille alla volta plantare. Per svolgere il suo ruolo passivo di sostegno, la catena statica posteriore utilizza la sacca pleurica e quella peritoneale, che capitalizzano le pressioni interne dei visceri, come appoggio idro-pneumatico anteriore che si adatti al movimento. Da qui è facile intuire lo stretto rapporto che vi è fra postura e visceri.
Le catene rette, anteriore e posteriore, con funzione rispettivamente di flessione ed estensione. La catena retta anteriore comprende il tratto che va da D1 al sacro, essa è costituita da parti ossee (mascellare inferiore, osso ioide, sterno, sacro e pube) e muscolari (principalmente i muscoli intercostali medi, grandi retti e perineali). La catena retta anteriore viene definita catena di flessione o di arrotolamento. L’azione dei retti con i muscoli perineali ha come conseguenza:
Gli altri muscoli che fanno parte della catena retta anteriore e che la mettono in relazione con il cingolo scapolo-omerale e l’arto superiore sono:
Una iperprogrammazione della catena retta anteriore favorisce un atteggiamento in flessione, con sviluppo di ipercifosi dorsale e possibili protusioni in sede lombare per l’aumentato spazio posteriore fra le vertebre. Dal sacro la catena retta anteriore continua nell’arto inferiore con la catena di flessione. Essa è anteriore a livello dell’anca, diventa posteriore a livello del ginocchio, anteriore a livello della caviglia per poi unirsi a livello delle dita alla faccia plantare del piede andando a terminare sul calcagno. A livello funzionale la catena di flessione determina:
I muscoli che compongono la catena di flessione sono:
Un’eventuale iperprogrammazione di questa catena potrà comportare:
La catena retta posteriore è formata dalla colonna vertebrale, dai dischi e dai muscoli paravertebrali. L’attivazione di questa catena è data dalla flessione del tronco: come una molla di richiamo, l’asse posteriore, con i suoi muscoli corti, equilibra e modera l’azione dell’asse anteriore, quando i muscoli spinali della colonna si trovano stirati. Con la loro contrazione, i suddetti tendono a ristabilire la lordosi lombare, simulando la corda che tende un arco, rappresentato dalla colonna vertebrale lombare. In pratica nell’azione di arrotolamento, la catena di flessione avvolge il tronco, lo ripiega su se stesso concentrandone il volume, mentre con la catena di estensione il tronco trova il suo equilibrio, agendo come una forza che immagazzina l’energia che poi libererà nel raddrizzamento. In generale il raddrizzamento della colonna avviene grazie alla funzione di due muscoli che lavorano sinergicamente: il diaframma e lo spinale del dorso.
Nel raddrizzamento della colonna, il diaframma tira in avanti le vertebre mentre lo spinale blocca l’azione fatta dal diaframma sulle vertebre L1-L2 permettendo così di fissare la zona trazionata. Questo permette la stabilizzazione in rettilineizzazione del tratto basso dorsale e alto lombare. Quando queste funzioni sono rispettate si ha il miglior equilibrio e comfort per la colonna vertebrale. Al contrario, nell’ eccessivo reclutamento di quei muscoli non adatti a mantenere la postura, quindi non tonici ma fasici, un sintomo molto comune sarà la fatica seguita da una contrattura del muscolo in questione. Nella sollecitazione costante in statica di questa catena, i dischi intervertebrali subiscono uno schiacciamento posteriore continuo, anche notturno, con conseguente mancata reidratazione e progressiva sofferenza articolare. I muscoli che completano la catena posteriore sono:
Piano medio:
Piano profondo:
Prende legame con il cingolo scapolare col:
e con l’arto superiore attraverso il:
La catena retta posteriore si prolunga nell’arto inferiore con la catena di estensione. Essa è posteriore a livello dell’anca per divenire anteriore nel suo tragitto coscia-ginocchio, posteriore a livello della loggia posteriore della gamba e della caviglia. Con il calcagno si riunisce alla volta plantare, per poi aderire a livello dei muscoli della faccia dorsale del piede. A livello funzionale la catena di estensione determina:
I muscoli che compongono la catena di estensione sono:
Un’eventuale iperprogrammazione di questa catena potrà comportare:
Le catene crociate, anteriore e posteriore, hanno un ruolo fondamentale in dinamica, assicurano il movimento di torsione che è complementare ai movimenti di arrotolamento e raddrizzamento delle catene rette; questi sono quindi sistemi complementari, non antagonisti. Il movimento di torsione avvicina una spalla all’anca opposta. La catena crociata anteriore organizza una torsione anteriore, mentre quella posteriore una torsione posteriore. Esse sono costruite iniziando da due piani muscolari che collegano la metà sinistra del tronco alla metà destra e queste fibre oblique hanno delle sommità: la spalla e l’anca opposta. L’asse di torsione è obliquo e va dalla testa omerale a quella femorale opposta passando dall’ombelico. La torsione si organizza a livello e intorno a L3. Si può notare che:
In base a quanto evidenziato, il centro di torsione si viene a trovare sulla linea che collega l’ombelico al processo spinoso di L3, a piombo della linea di gravità: questo punto risiede sul corpo di L3. Le catene crociate anteriori si organizzano su due strati, uno superficiale ed uno profondo, che si ricollegano sulla linea mediana anteriore e posteriore. Le fibre di questi strati sono in continuità di direzione e di piano. Ci sono 2 catene crociate anteriori:
La catena crociata anteriore induce una torsione anteriore del tronco. Essa permette la torsione del tronco avvicinando la spalla destra e l’anca sinistra all’ombelico (nel caso si parli della catena crociata anteriore sinistra). Le due catene anteriori, la destra e la sinistra, lavorano insieme per la chiusura del tronco. I muscoli che compongono la catena crociata anteriore sinistra sono:
La catena crociata anteriore sinistra produce il movimento di torsione anteriore come segue: l’emitorace anteriore destro si avvicina in avanti all’anca opposta che gli va incontro. Centro di convergenza della torsione anteriore è l’ombelico, che rappresenta un punto di relativa fissità insieme alla linea alba. In questa catena crociata anteriore, lo strato superficiale destro (obliquo esterno più intercostali esterni) induce a livello dell’emitorace destro la metà della torsione anteriore. Lo strato profondo sinistro induce l’altra metà della torsione anteriore.
La catena crociata anteriore si prolunga nell’arto inferiore con la catena di chiusura. Quest’ultima segue la loggia interna della coscia, dirigendosi verso il basso e l’esterno, incrocia la linea mediana dell’arto inferiore a livello della rotula per continuare attraverso la loggia dei peronei. Dopo essere arrivata al bordo esterno del piede, essa incrocia il cuboide sulla faccia plantare, terminando sul primo dito. A livello funzionale la catena di chiusura determina:
I muscoli che compongono la catena di chiusura sono:
Un’eventuale iperprogrammazione di questa catena contribuisce ad un accorciamento funzionale dell’arto inferiore e potrà comportare:
Come per le anteriori, ci sono due catene crociate posteriori:
La catena crociata posteriore induce una torsione posteriore del tronco. Essa permette la torsione del tronco avvicinando la spalla sinistra e l’anca destra a L3 (nel caso si parli della catena crociata posteriore destra). Le due catene posteriori, la destra e la sinistra, lavorano insieme per l’apertura del tronco. La catena crociata posteriore sinistra si compone come segue:
La catena crociata posteriore sinistra produce il movimento di torsione posteriore come segue: Il centro di convergenza della torsione posteriore è rappresentato dalla spinosa di L3, punto di relativa fissità. In questa catena crociata posteriore, le fibre costo lombari di sinistra del quadrato dei lombi, il piccolo dentato postero inferiore di sinistra, gli intercostali interni di sinistra fanno la metà della torsione posteriore, provocando l’arretramento e l’abbassamento dell’emitorace sinistro. Le fibre ileo-lombari di destra e il fascio ileo-lombare di destra della massa comune effettuano l’altra metà della torsione posteriore, provocando l’arretramento ed il sollevamento dell’emibacino di destra.
La catena crociata posteriore si prolunga nell’arto inferiore con la catena di apertura. Quest’ultima parte dal sacro e dall’iliaco e con direzione verso il basso e l’esterno, attraverso il piano superficiale del grande gluteo, si unisce al bordo posteriore della fascia lata e continua attraverso il vasto laterale con delle terminazioni sul condilo femorale interno e sulla tibia. Il suo tragitto diventa postero-interno con il gastrocnemio interno e i muscoli retro-malleolari interni, terminando sull’arco interno, sulla volta plantare e sul primo dito.
Questa catena si completa con un tragitto più esterno che parte dall’ischio, con una direzione verso il basso e verso l’esterno. Oltrepassa la testa del perone attraverso il bicipite lungo e breve. Successivamente, il tragitto diventa antero-interno a livello della loggia anteriore della gamba con il tibiale anteriore e l’estensore lungo dell’alluce, per terminare sull’arco interno del piede e sull’alluce. A livello funzionale la catena di apertura determina:
I muscoli che compongono la catena di apertura sono:
Un’eventuale iperprogrammazione di questa catena contribuisce ad un allungamento funzionale dell’arto inferiore e potrà comportare:
Le catene crociate, di apertura e chiusura, sono deputate al movimento e predisposte per la dinamica. Quando il muscolo, per adattamenti posturali come nei casi di valgismo e varismo, viene sollecitato a lavorare in modo continuo e statico, diviene più fibroso e degenera verso il connettivo, diminuendo la propria vascolarizzazione. Ciò determina un adattamento posturale “a spirale”. Tali adattamenti, se non interpretati bene, possono condurre a diagnosi di eterometrie lì dove invece le “false” differenze di lunghezza degli arti inferiori (dismetrie), sono prodotte dall’asimmetrica programmazione in uno stesso soggetto delle catene di apertura e chiusura. Il riequilibrio posturale si otterrà allora lavorando sulla stimolazione delle catene e non con inutili e dannosi rialzi sotto il piede.
Ciascuna catena, per rispondere a tutte le varietà dei movimenti, non è indipendente ma deve essere programmata in associazione con le altre. Le catene di flessione, estensione, apertura e chiusura assicurano l’equilibrio dell’arto inferiore nei tre piani dello spazio, aiutate in questo dalla catena statica che offre punti di relativa fissità. La catena statica è lo scheletro connettivo del movimento. Nell’equilibrio statico, se una delle catene è dominante darà la sua impronta con l’alterazione in flexum o in recurvatum, in varo o in valgo. Il ginocchio, essendo l’articolazione intermedia dell’arto inferiore, mette in evidenza questa iperprogrammazione. Se due catene sono dominanti si avranno le seguenti composizioni:
A livello dinamico, per una buona riuscita del sistema, a livello del ginocchio come delle altre articolazioni, è necessario un equilibrio funzionale fra le diverse catene, fondato sulla loro capacità di rilassamento e contrazione. Se ciò non avviene l’affidabilità articolare viene meno e specie negli sportivi aumenterà sensibilmente il rischio di infortuni (stiramenti, strappi, distorsioni, ecc.). Infine, ma non per ultimi, fra gli autori maggiormente significativi nello studio delle catene muscolari vi sono la fisioterapista francese Françoise Mézières e il suo allievo e collaboratore Philippe E. Souchard; particolarmente importanti per le loro tecniche di allungamento globale delle catene muscolari: “un muscolo che si irrigidisce è indissociabile dalla catena muscolare alla quale appartiene. Per allungarlo è indispensabile tirare alle due estremità di questa catena impedendo tutte le compensazioni. Ciò implica che solo stiramenti globali possano essere realmente efficaci”.
Le articolazioni sono dispositivi giunzionali che mettono in relazione due o più ossa, consentendo fra loro movimenti più o meno ampi. Si dividono in articolazioni sinoviali o diartrosi (contiguità fra i capi articolari), e sinartrosi (continuità di tessuto). Le diartrosi si dividono ulteriormente in:
Tutte le diartrosi sono provviste di una capsula articolare (manicotto fibroso), che tiene uniti i due capi. La capsula ha al suo interno una membrana sinoviale, che filtra un liquido dal sangue (liquido sinoviale) con funzione trofica e lubrificante. Tra superfici non speculari possono interporsi cuscinetti fibrocartilaginei quali i menischi e i dischi articolari. Fra gli elementi più importanti di un’articolazione vi sono i legamenti, fasci di connettivo fibroso (più ricchi di fibre elastiche rispetto ai tendini), la cui funzione è stata vista per anni esclusivamente in un'ottica di congiunzione fra capi ossei e di fornire stabilità all'articolazione.
In un sistema, come quello Tonico Posturale, in cui vi è la necessità di conoscere, istante per istante, la miriade di informazioni e le mutevoli condizioni ambientali in cui il nostro corpo è immerso, una funzione esclusivamente meccanica dei legamenti sembra quanto meno contraddittoria. Non si spiegherebbe, ad esempio, il perché importanti legamenti intra-articolari sono presenti nell'arto inferiore (interosseo astragalo-calcaneare, crociati del ginocchio, legamento rotondo dell'anca) ma non hanno corrispettivi nell'arto superiore. La natura e l'evoluzione difficilmente sono guidate dal caso. Se la loro funzione fosse esclusivamente meccanica, per fornire appunto maggiore sostegno all'articolazione, la loro presenza avrebbe avuto maggiore significato sull'arto superiore, dove la gravità agisce in allontanamento sui capi e non in costrizione come nell'arto inferiore. È evidente quindi che c'è dell'altro.
Dopo aver riconsiderato il ruolo recettoriale della cute quale straordinario organo informativo per il Sistema Tonico Posturale è necessario rivedere la funzione legamentosa all'interno di questo sistema. La complessità del processo di moto è tale che le strutture coinvolte devono necessariamente adattarsi su piani tridimensionali per poter svolgere a pieno la loro funzione. Il piede ne è un esempio perfetto: per anni assimilato ad una "volta" o ad una "capriata" da studiosi che, nella loro visione bidimensionale del movimento, non riconoscevano le forze torcenti e rotazionali che avrebbero portato queste strutture a crollare. Associandolo, invece, ad un sistema ad "elica a passo variabile" si riconosce al piede la sua straordinaria capacità di essere organo di senso oltre che di moto. In questi termini merita particolare attenzione il legamento interosseo astragalo-calcaneare o legamento "a siepe".
Situato nello spazio che separa astragalo e calcagno, il seno del tarso è in grado di registrare istante per istante il grado di avvolgimento dell'elica podalica durante lo svolgersi del passo, quindi con funzione propriocettiva oltre che di stabilizzazione dell'articolazione. Le ricerche di Marcacci e coll. (1982) evidenziano una ricchezza recettoriale non indifferente (numerosi corpuscoli di Golgi-Mazzoni e rari corpuscoli di Pacini) ed una folta terminazione di rami nervosi nel contesto del seno del tarso. Ciò, in un sistema che si definisce come "fine", non può essere di certo una casualità.
Lo specifico ruolo di informatore spaziale svolto a livello legamentoso si ritrova anche nel legamento calcaneo-scafo-cuboideo o ad Y. Attraverso la torsione dei suoi "bracci" informa il sistema nervoso sulle variazioni di posizione reciproca fra cuboide e scafoide dal piano trasverso a quello frontale. È chiaro quindi che, al pari di altri organi recettoriali del Sistema Tonico Posturale, il legamento, agendo quale sensore di tensione e deformazione, è in grado di informare i centri superiori circa la reciproca spazialità dei capi articolari, contribuendo alla funzione cinestesica e propriocettiva. Ciò dovrebbe essere tenuto debitamente in considerazione anche in ambito chirurgico da alcuni professionisti fin troppo affezionati al "taglia e cuci”.129 Le sinartrosi sono articolazioni che non permettono movimenti, o ne permettono di molto limitati, e si classificano sulla base del tessuto interposto in:
Il sistema circolatorio si compone di tre parti principali:
Le funzioni principali svolte da questo sistema possono essere così schematizzate:
Il sangue costituisce circa l’8% del peso corporeo e ha un volume diverso a seconda dell’età, del sesso e del peso dell’individuo. In un uomo adulto il volume sanguigno è di circa 5-6 litri. Nel sangue si distinguono due componenti diverse che possono essere separate tramite centrifugazione: una matrice fluida, detta plasma, e gli elementi figurati, cioè cellule o frammenti di cellule. Gli elementi figurati sono eritrociti, piastrine e leucociti. Solo i leucociti sono vere e proprie cellule: gli eritrociti sono cellule anucleate e le piastrine sono frammenti cellulari. Il sangue è mantenuto in circolazione e distribuito a tutto il corpo per mezzo dell’incessante attività svolta dal cuore. Il cuore umano ha circa le dimensioni di un pugno chiuso, con un peso, in un individuo adulto, che si aggira fra i 250-300 grammi. Si trova in una parte del torace chiamata mediastino, cioè la cavità situata tra i polmoni. Ha una forma grossolanamente conica ed il suo asse è diretto in avanti e verso il basso, in questo modo il ventricolo destro viene a trovarsi un po' più in avanti rispetto a quello sinistro.
Il cuore è rivestito esteriormente da una membrana sierosa, chiamata pericardio, che lo fissa inferiormente al centro frenico del diaframma e lo avvolge, isolandolo e proteggendolo dagli organi vicini. La parte superiore del pericardio è aderente al cuore e prende il nome di epicardio. Il miocardio è lo strato intermedio e più spesso, formato da tessuto muscolare cardiaco. Una regione specializzata del tessuto muscolare cardiaco, detta nodo senoatriale o pacemaker, mantiene il ritmo regolare del cuore determinando la frequenza con cui esso si contrae. L’endocardio riveste la superficie interna del cuore, è una sottile membrana di cellule epiteliali squamose.
Il cuore è suddiviso in quattro cavità: due superiori, dette atri (destro e sinistro), e due inferiori, i ventricoli (destro e sinistro). I due atri comunicano tra loro solo durante la vita embrionale, per la presenza fra di essi di un foro che alla nascita si chiude. Al contrario, i due ventricoli non comunicano mai tra loro. Comunicano invece gli atri con i sottostanti ventricoli mediante due fori chiusi da valvole: l'atrio sinistro con il corrispondente ventricolo attraverso la valvola bicuspide, o mitrale, atrio e ventricolo destro attraverso la valvola tricuspide. Queste valvole, aprendosi dall'alto in basso, fanno passare il sangue solo dagli atri ai ventricoli e non viceversa. Due valvole semilunari sono poste all'uscita dei ventricoli e impediscono al sangue di tornare al cuore quando questo è rilassato.
Il ventricolo destro pompa il sangue nei polmoni attraverso l’arteria polmonare che si dirama in due grossi vasi appena uscita dal cuore. Mentre scorre attraverso i capillari dei polmoni, il sangue libera CO2 e assorbe O2. Il sangue ricco di ossigeno torna indietro, mediante le vene polmonari verso l’atrio sinistro. Il sangue, ricco di ossigeno, passa poi dall’atrio al ventricolo sinistro, da qui passa nell’aorta (il vaso sanguigno più grosso) che, ramificandosi in numerose arterie, distribuisce il sangue arterioso verso la testa e le braccia (in alto) e verso gli organi addominali e le gambe (in basso). Le arterie immettono il sangue nelle arteriole che si diramano nei capillari, di piccolo diametro (dai 5-10 µm), con la parete estremamente sottile, per meabile al passaggio di O2, CO2, acqua, sali minerali e sostanze organiche in ambo le direzioni. I passaggi avvengono nell’ambiente interstiziale connettivale e nei polmoni. Durante questi passaggi la composizione fisiochimica del sangue si modifica. I capillari formano reti estese su tutto il corpo e fanno convergere il sangue nelle venule, dalle quali affluisce alle vene.
Il sangue venoso proveniente dalla parte superiore del corpo e dalla testa confluisce nella vena cava superiore, mentre la vena cava inferiore raccoglie il sangue proveniente dalla parte inferiore del corpo, in essa confluisce anche la vena epatica proveniente dal fegato. Le due vene cave confluiscono nell’atrio destro. Il sangue ritorna al cuore grazie alla pompa muscolare e alla pompa toracica: durante l'inspirazione, infatti, viene a svilupparsi nel torace una pressione negativa che facilita l'aspirazione di sangue da parte dell'atrio destro, dove il sangue completa il suo percorso. Arterie e vene differiscono fra loro, sia strutturalmente che funzionalmente. Le arterie hanno una parete più spessa, elastica nelle grandi arterie come l’aorta, più muscolare nelle arterie di piccolo-medio calibro che pompano attivamente il sangue. Le vene sono più numerose rispetto alle arterie, presentano valvole a nido di rondine per impedire che il sangue refluisca indietro o verso il basso. Per le loro caratteristiche, essendo depressibili, dilatabili e fortemente adese al connettivo circostante, la loro funzione di trasporto è collegata alla mobilità corporea.
Il Taping esplica una delle sue funzioni principali a livello linfatico, un sistema poco conosciuto ma fra i più importanti per la salute dell’organismo. Costituito da un articolato sistema di vasi, molto simile a quello circolatorio venoso e arterioso ma differente per struttura e funzione. Il sistema linfatico consente alla linfa di fluire nei tessuti corporei, drenando ogni angolo dell'organismo prima di riversarsi nelle vene toraciche. La linfa deriva direttamente dal sangue ed ha una composizione ad esso molto simile, nonostante sia più ricca di globuli bianchi e poverissima di quelli rossi. Circolando negli spazi interstiziali (compresi, cioè, tra una cellula e l'altra) ha lo scopo di riassorbire il plasma (parte liquida del sangue) presente in queste zone.
Il sistema linfatico si oppone ad eccessivi accumuli di fluidi nei tessuti e rappresenta una delle principali armi di difesa del nostro organismo. Può essere suddiviso in tre parti:
Contrariamente al sistema venoso, i collettori profondi drenano verso quelli superficiali attraverso rami perforanti. Il sistema linfatico superficiale, negli arti, drena infatti il 90% circa della linfa. Gli organi principali di questo sistema sono i linfonodi, disposti in particolari zone del nostro corpo e capaci di produrre i cosiddetti linfociti, una particolare tipologia di globuli bianchi capace di combattere i microrganismi esterni. I linfonodi, per la loro funzione, possono essere considerati dei filtri biologici in grado di intercettare e distruggere eventuali germi o sostanze estranee presenti nella linfa. La linfa scorre all’interno dei vasi linfatici, ma a differenza del sangue non viene spinta dalla pompa cardiaca ma viene mossa dall'azione dei muscoli che, con la loro contrazione e il successivo rilassamento, funzionano come una vera e propria pompa. Condizioni prolungate di immobilità, come per chi è costretto per lungo tempo a letto, possono determinare conseguentemente l’accumulo di liquidi, specie a livello delle gambe, con comparsa del cosiddetto edema. La parte interna del linfonodo è densamente popolata da cellule speciali di tipo immunitario (linfociti e macrofagi) che in caso di infezione si moltiplicano velocemente, aumentando talvolta in misura considerevole il suo volume.
Raramente isolati, tendono a riunirsi in catene o gruppi ravvicinati, formando le cosiddette stazioni linfonodali, che prendono il nome dal territorio di raccolta della linfa (ad es. linfonodi ascellari o inguinali). Nell’immagine sono rappresentate le principali stazioni linfonodali.
Lungo il sistema linfatico incontriamo anche i cosiddetti organi linfatici, deputati alla produzione e alla purificazione della linfa (timo, milza e midollo osseo). I vasi linfatici più piccoli, detti capillari, si trovano nelle regioni periferiche dell'organismo e, riunendosi tra loro, danno origine a vasi sempre più grandi. La cisterna del chilo, detta anche cisterna di Pecquet, è la struttura anatomica che funge da centro di raccolta della linfa proveniente dagli arti inferiori e dalla porzione inferiore del tronco. È localizzata generalmente alla destra dell'aorta addominale, a livello della prima e seconda vertebra lombare. Dalla cisterna del chilo prende origine il dotto toracico, che subito dopo attraversa il diaframma per entrare nella cavità toracica. La linfa trasportata dal dotto toracico, unendosi a quella presente nei vasi provenienti dalla parte superiore del corpo raccolta dal dotto linfatico destro, si riversa a livello della congiunzione tra vene succlavie e vena giugulare. I vasi linfatici di maggiori dimensioni si caratterizzano per il susseguirsi di restringimenti e dilatazioni a cui si associano vere e proprie inserzioni valvolari che, similmente a quelle del sistema venoso, impediscono il reflusso della linfa obbligandola a scorrere in un solo senso; la parete di alcuni di questi vasi ha anche capacità contrattile. Tutte queste peculiarità anatomiche sono fondamentali per consentire il passaggio unidirezionale della linfa: dal liquido interstiziale dei tessuti verso la circolazione sistemica, anche contro gravità.
Per postura possiamo intendere la posizione del corpo nello spazio e la relazione spaziale tra i segmenti scheletrici, il cui fine è il mantenimento dell’equilibrio (funzione antigravitaria), sia in condizioni statiche che dinamiche, cui concorrono fattori neurofisiologici, biomeccanici, psicoemotivi e relazionali, legati anche all’evoluzione della specie. Una definizione più specifica è stata data da una relazione del Posture Committee dell’American Academy of Orthopedic Surgeon: “Generalmente, la postura viene definita come la disposizione delle parti del corpo. Una buona postura è quello stato di equilibrio muscolare e scheletrico che protegge le strutture portanti del corpo da una lesione o una deformità progressiva malgrado la posizione (eretta, distesa, accovacciata, china) in cui queste strutture lavorano ed oppongono resistenza. In queste condizioni i muscoli lavoreranno in modo più efficace e gli organi toracici e addominali si trovano in posizione ottimale. La postura è cattiva quando si ha una relazione scorretta delle varie parti del corpo che produce un aumento di tensione delle strutture portanti e quando l’equilibrio del corpo sulla base d’appoggio è meno efficiente.” Da questa definizione si evidenzia come venga fatto un distinguo fra “postura buona” e “postura cattiva”. Ciò non è affatto superfluo o secondario: un buon atteggiamento posturale può infatti “proteggere” l’organismo da patologie che non sempre si evidenziano solo a livello dell’apparato locomotore.
La postura è un fenomeno estremamente complesso. È allo stesso tempo un dato fisico, quindi tangibile, oggettivo ma anche soggettivo, accomuna tutti ma allo stesso tempo ci differenzia dagli altri. Nessuno potrà mai dire di avere una postura esattamente uguale ad un’altra persona così come nessuno potrà dire di avere una postura perfetta. La postura perfetta in realtà non esiste, si può tendere ad essa ma mai raggiungerla. La complessità dei meccanismi che regolano la nostra postura, uniti all’insieme di forze con cui il corpo si trova a lottare, fra tutte la forza di gravità, rendono questa condizione impossibile. Ciò nonostante la tendenza ad avere un buon allineamento posturale può determinare il confine fra l’essere in salute e non esserlo. La postura non è un dato fisso ed immutabile nel tempo. Evolve insieme alle caratteristiche fisiche e cognitive del nostro organismo. È determinata da fattori ereditari e costituzionali, dalle esperienze motorie del soggetto nonché dal carattere stesso della persona. Rappresenta il nostro modo personale di interagire con il mondo che ci circonda, il nostro biglietto da visita. Avere una buona postura dà un’immagine positiva di sé: la persona che si muove con il busto eretto, con coordinazione e armonia trasmette un’immagine di sicurezza, di qualcuno che affronta la vita con positività e fiducia; al contrario l’individuo con la schiena curva, le spalle cadenti e il capo inclinato dimostra rassegnazione, sofferenza verso i compiti della vita.
La postura è efficace quando consente di avere equilibrio e sforzo minimo nel mantenere una posizione o nel muoversi. I muscoli e le articolazioni sono le strutture che per prime risentono di un cattivo atteggiamento posturale. Numerose ricerche hanno dimostrato che la maggior parte dei disturbi a carico della colonna vertebrale nascono proprio da un cattivo uso del nostro corpo. La nostra colonna vertebrale è continuamente sottoposta all’azione logorante della forza di gravità, che dall’alto ci spinge verso il basso. “Il concetto di antigravitarietà è fondamentale. La gravità è la forza esterna essenziale per la regolazione della postura, e in un certo qual modo l’equilibrio posturale è la risposta dell’organismo alla forza di gravità”. Le reazioni posturali in assenza di gravità, documentate dalle esperienze nei voli spaziali degli astronauti, sono profondamente diverse rispetto a quelle cui siamo normalmente abituati.
Alla gravità si aggiungono inoltre le pressioni che esercitiamo sul nostro corpo attraverso le posizioni che assumiamo durante la giornata. A molti sorprenderà sapere che la posizione seduta implica sulla colonna vertebrale delle pressioni maggiori rispetto alla posizione in piedi (ortograda) o che in alcune posizioni il peso che si scarica sulla nostra colonna può essere superiore a 200 kg, come chi si flette in avanti per prendere un peso da terra a gambe distese.
Pertanto, il concetto di postura non può essere ridotto ad una condizione statica, definita ed immutabile nel tempo. L’organismo di volta in volta, sulla base delle informazioni tattili, cinestesiche, sensoriali, che arrivano al S.N.C. elabora la risposta posturale più adatta in riferimento alle condizioni ambientali, in quel dato momento e per i programmi motori previsti. Le ossa, i muscoli e le articolazioni sono soltanto gli “effettori” di un complesso apparato deputato al controllo posturale che chiameremo Sistema Tonico Posturale (S.T.P.).
L'esecuzione di qualsiasi atto motorio comporta la contestuale messa in opera di una complessa sequenza di movimenti che vincola tra loro l'azione di molti muscoli verso il comune obiettivo di mantenere l'equilibrio. Questa serie di movimenti vengono detti aggiustamenti posturali. Tali movimenti hanno luogo sia in condizioni dinamiche che statiche: anche se non ce ne accorgiamo infatti siamo incapaci di tenerci perfettamente immobili, ciò è perfettamente rilevabile con il semplice utilizzo di una pedana stabilometrica. Le risposte posturali sono il risultato di informazioni provenienti da diversi tipi di recettori sensoriali che consentono al sistema motorio di generare risposte compensatorie automatiche (elaborazioni a feed-back) o anticipatorie (feed-forward).
Le prime, risposte compensatorie automatiche a feed-back, vengono evocate da stimoli sensoriali in seguito alla perdita di equilibrio. Sono risposte posturali automatizzate che compaiono a seguito di oscillazioni del corpo con organizzazione spazio-temporale relativamente stereotipata. Le seconde, risposte anticipatore a feed-forward, sono risposte pre-programmate che assicurano il mantenimento della stabilità e dell’equilibrio nella previsione dei disturbi che potrebbero insorgere nell’esecuzione dei movimenti. Generano quindi aggiustamenti posturali ancor prima di iniziare il movimento. Gli aggiustamenti posturali vengono perfezionati dall’esercizio e dall’apprendimento. Basti pensare ai complessi aggiustamenti posturali che vengono messi in atto dal bambino quando inizia i primi tentativi di deambulazione al primo anno di vita, oppure a quelli necessari per imparare ad andare in bicicletta. Questo tipo di controllo si basa su circuiti che, mediante meccanismi a feed-forward, mettono in atto gli aggiustamenti opportuni prima che si verifichino gli eventi che porterebbero inevitabilmente alla perdita di equilibrio. Tali circuiti sono sotto il controllo corticale, nella fase di apprendimento, e sotto quello sottocorticale e cerebellare, allorquando il movimento ha acquisito caratteristiche di automaticità. Gli aggiustamenti posturali raggiungono l'obiettivo finale di mantenere l'equilibrio agendo in maniera sinergica a tre livelli differenti:
È chiaro quindi che per innescare queste reazioni e aggiustamenti posturali siano necessari dei recettori che ci forniscano costantemente informazioni sulla posizione del nostro corpo e sull’ambiente che ci circonda. Nell’organismo umano esistono numerose tipologie di recettori, ognuno di essi risulta essere specifico per una determinata forma di energia che può provenire sia dall’ambiente esterno che interno. Il processo mediante il quale avviene la trasformazione di una forma di energia (termica, meccanica, chimica o elettromagnetica) in impulso nervoso prende il nome di trasduzione. L’informazione viaggerà lungo le vie nervose sotto forma di potenziali d’azione, l’unico tipo di segnale che i neuroni riescono ad elaborare, e arriverà ai centri nervosi specifici per poter essere elaborata e divenire cosciente. Sulla base dell’origine dell’informazione che recepiscono, i recettori possono essere distinti in:
L’attività recettoriale permette di informare il sistema nervoso centrale sulla posizione del corpo e quindi di determinare modifiche delle catene cinetiche muscolari per indurre una risposta posturale specifica. In particolare, le principali afferenze sensoriali che permettono gli aggiustamenti posturali sono date da:
Il sistema nervoso deve così integrare le diverse informazioni esterocettive e propriocettive per determinare specifiche risposte e adattamenti posturali rispetto all’ambiente. Quando queste informazioni sono alterate perché l’entrata sensitiva non funziona correttamente o risulta essere patologica, il sistema centrale elabora risposte che determinano una postura viziata o patologica ma che tuttavia l’organismo considera corretta. Lo squilibrio di un singolo recettore provoca quindi un adattamento allo squilibrio dell’intero sistema. Oltre alla complessità possiamo così aggiungere una seconda importante caratteristica del sistema posturale, la circolarità: come in un cerchio non si evidenzia un inizio e una fine, nello squilibrio posturale non si mette in evidenza il recettore squilibrato perché l’intero sistema si adatta a quello squilibrio. Cercare di curare l’effettore finale del sistema, il muscolo, non significherà curare lo squilibrio posturale.
L’intero Sistema Tonico Posturale può essere associato ad un sistema cibernetico, basato su complessi meccanismi di feed-back e feed-forward, in cui l’entrata è data dalle afferenze sensoriali fornite dai recettori (piede, occhio, orecchio interno, app. stomatognatico, ecc.), l’elaborazione delle informazioni avviene a livello del sistema nervoso (cervelletto, nuclei vestibolari, gangli della base, ecc.) e la risposta finale si evidenzia a livello delle catene muscolari. I fattori psico-emotivi sono un po’ il comune denominatore che condiziona nel suo insieme questo sistema e che sottende l’atteggiamento posturale del soggetto nella sua globalità.
Questo articolo è tratto dal libro A scuola di Posturale, pratico manuale di oltre 500 pagine interamente dedicato alla Ginnastica Posturale.
Il taping neuromuscolare è una tecnica che utilizza un nastro adesivo elastico per assistere il corpo nell'autoguarigione. Attraverso stimolazioni compressive e decompressive, il taping agisce sui sistemi muscoloscheletrico, vascolare, linfatico e sensoriale, promuovendo la circolazione sanguigna e linfatica e riducendo il dolore.
L'articolo descrive le principali catene muscolari, tra cui la catena statica posteriore, le catene rette anteriore e posteriore, e le catene crociate anteriore e posteriore. Ognuna di queste catene svolge un ruolo specifico nel movimento e nel mantenimento della postura.
Una buona postura è fondamentale per la salute in quanto protegge le strutture del corpo da lesioni e deformità, consentendo ai muscoli di lavorare in modo efficiente e agli organi di posizionarsi correttamente. Al contrario, una postura scorretta può causare tensioni e squilibri muscolari, con conseguente dolore e disfunzioni.
Il sistema linfatico svolge un ruolo cruciale nel drenaggio dei liquidi in eccesso dai tessuti corporei e nella difesa immunitaria. Il taping può essere utilizzato per favorire la circolazione linfatica e ridurre il gonfiore.
Il taping, applicato in modo specifico, può contribuire a rieducare la postura agendo a livello muscolare e percettivo. Stimola i recettori cutanei e muscolari, favorendo una maggiore consapevolezza corporea e un miglioramento dell'allineamento posturale.