Precedentemente abbiamo visto come la colonna vertebrale e i muscoli ad essa correlati abbiano una funzione strutturale di vitale importanza. Le funzioni fondamentali della colonna vertebrale possono essere così riassunte:
Ogni essere vivente che si muova nello spazio ha una struttura portante, per i quadrupedi possiamo definirla come una “trave vertebrale”, per i clinogradi (babbuini, scimmie, ecc.) come un “piano inclinato” ed infine per gli essere umani come un vero e proprio “sistema colonnare”. In questo sistema lo scarico delle forze viene distribuito lungo tutto l’asse verticale e longitudinale del rachide.
La colonna vertebrale ha come base il piatto sacro e come capitello l’atlante, il quale strutturalmente sorregge il capo. Il rachide umano è contemporaneamente una struttura rigida ed elastica, costituita similmente come le sartie23 delle navi a vela, origina dal bacino ed termina al capo.
Ponendo a paragone la struttura del rachide alle sartie, possiamo assimilare il cingolo scapolare alle travi traverse, i legamenti ed i muscoli alle sartie e il bacino alla base d’impianto.
Il movimento è determinato dalle forze che agiscono sul corpo umano, come forze esterne e forze interne. Le forze esterne rappresentano l’interazione fra il corpo del soggetto e l’ambiente, nello specifico avremo la forza di gravità e le reazioni vincolari da intendere come le forze scambiate fra il piede e il terreno.
Le forze interne sono dettate dalle contrazioni muscolari, dalle tensioni nei legamenti e negli scambi tra segmenti ossei adiacenti attraverso le superfici articolari.
Queste energie, durante l’attività quotidiana, sottopongono la colonna vertebrale a delle risultanti vettoriali come: la forza di compressione (intesa come energie assorbite soprattutto dalla porzione anteriore), le forze di torsione (le forze che agiscono sulle articolazioni) e le forze di tensione e taglio (generate soprattutto da movimenti di flesso-estensione).
Le curve del rachide sono quattro, partendo dal basso la prima è una curva sacrale con concavità anteriore, di seguito si trova una lordosi lombare con concavità posteriore, una cifosi dorsale a convessità posteriore e in ultimo una lordosi cervicale a convessità anteriore. Le curve del rachide hanno la funzione di ripartire e scaricare le forze chi vi agiscono, la filogenesi e l’ontogenesi spiegano la comparsa e la funzione delle curve.
La lordosi lombare, nella filogenesi, compare in concomitanza del passaggio dalla posizione quadrupedica alla stazione eretta, in quanto la posizione quadrupedica è caratterizzata da una curva concava della regione lombare mentre la posizione bipodalica da una convessità.
Nell’evoluzione ontogenica dell’uomo, il rachide, subisce continue modificazioni, nel periodo intrauterino si forma una curva a concavità anteriore, a tre mesi c’è la formazione della prima curva lordotica cervicale ed infine intorno ad un anno di età, alla conquista della stazione eretta, si forma la curva lordotica lombare.
Le curve permettono una maggiore resistenza alle sollecitazioni di compressione dovute ai vettori gravitazionali, in particolare le tre curve mobili aumentano di circa dieci volte la resistenza rispetto ad una colonna rettilinea, ciò è dimostrato dall’indice rachideo di Delmas.
Il carico e la forza antigravitaria esercitano un’azione di tipo compressivo sulle vertebre. L’azione della forza di gravità si scarica dall’alto verso il basso, in base alla legge fisica del parallelogramma scomponendosi in due vettori: un vettore è perpendicolare al piatto della vertebra sottostante, l’altro tende a far slittare la vertebra soprastante su quella posta inferiormente.
Le risultanti si comportano a seconda dell’inclinazione della vertebra a farla scivolare in avanti o indietro, aumentando o diminuendo la curva della colonna vertebrale del tratto di cui fa parte la stessa. In un esempio pratico, uno scivolamento in avanti di L3, determina l’aumento della lordosi lombare.
Da questo si evidenzia come la resistenza al carico della colonna vertebrale sia correlata al numero di curve presenti. Si è potuto dimostrare infatti, che la resistenza di una colonna che presenta delle curve è proporzionale al quadrato del numero delle curve più uno.
Se prendiamo come riferimento una colonna con componente rettilinea, dove il numero di curve è uguale a zero, la sua resistenza è pari ad uno. Per una colonna a due curve, la resistenza è cinque volte superiore a quella della colonna rettilinea e per una colonna che presenti tre curve mobili, come la colonna vertebrale, la resistenza è di ben dieci volte superiore rispetto a quella che presenti una rettilineizzazione. Per misurare la resistenza al carico vertebrale si può usare la seguente formula, conosciuta come Indice di Delmas:
Per R si indica la resistenza e con N il numero delle curve. Si avrà allora:
per N = 0, si avrà 0² = 0 + 1 = 1.
Per N = 1, si avrà 1² = 1 + 1 = 2, con un incremento del 100 % della resistenza passando da 0 curve ( colonna dritta ) ad una curva.
Per N = 2, si avrà 2² = 4 + 1 = 5, con un incremento del 150 % nella colonna vertebrale.
Per N = 3, si avrà 3² = 9 + 1 = 10 con un incremento del 100 % passando da due a tre curve.
Questo indice può essere misurato solo su un pezzo anatomico determinato dal rapporto fra la lunghezza sviluppata dal rachide, dal piatto della prima vertebra sacrale fino all’atlante, e l’altezza fra piatto superiore di S1 e atlante. Un rachide dalle curve normali possiede un indice di 95%, (i limiti estremi di un rachide normale sono 94 e 96%). Un rachide con curve accentuate possiede un indice di Delmas inferiore a 94%, cioè la sua lunghezza sviluppata è nettamente più grande della sua altezza. Al contrario, un rachide con delle curve poco accentuate, possiede un indice di Delmas superiore al 96%. Questa classificazione anatomica determina la relazione tra essa e il tipo funzionale. Delmas ha infatti dimostrato che il rachide con curve accentuate è di tipo funzionale dinamico, mentre quello con curve appiattite è di tipo funzionale statico.
Risulta così abbastanza evidente l’importanza del mantenimento delle tre curve per garantire una massima sopportazione del carico. Le caratteristiche dinamiche principali del rachide sono:
Analizzando il rachide biomeccanicamente in piccole sezioni, le possiamo definire come unità funzionali costituite da due vertebre adiacenti con un disco interposto e mantenute da strutture capsulo legamentose.
Le vertebre nel rachide si comportano come delle leve di I genere, il fulcro si trova al centro tra la forza e la resistenza. Nella parte anteriore (punto di applicazione della forza) avrà una funzione di sostegno, nella sezione posteriore (punto di resistenza) assumerà una funzione dinamica.
L’ammortizzazione sarà assolta dai dischi intervertebrali in maniera diretta e passiva, mentre i muscoli delle docce assorbiranno gli eventi traumatici in maniera indiretta e attiva.
I dischi intervertebrali sono composti da una zona centrale, il nucleo polposo, di consistenza gelatinosa, costituito per l’88% di acqua e di sostanza fondamentale costituita da mucopolisaccaridi. La parte periferica è avvolta dall’anello fibroso costituito da una successione di fasci fibrosi concentrici a decorso obliquo e incrociato ai fasci vicini. In periferia prevalgono fibre ad orientamento verticale al centro oblique.
Il disco non è vascolarizzato, l’idratazione avviene per osmosi, l’acqua passa attraverso dei pori situati nella parte centrale del piatto vertebrale. Sotto carico, quando il corpo è nella stazione eretta, la pressione sull’asse rachideo spinge l’acqua attraverso i pori verso il centro, provocando la sua disidratazione. La stazione eretta prolungata provoca così un assottigliamento dei dischi, la cui somma della perdita dello spessore può arrivare fino a 2 cm. Nella condizione di riposo, in condizione di fuori carico, l’acqua ripassa dai corpi vertebrali al nucleo grazie alla sua idrofilia.
Il nucleo del disco intervertebrale ha una capacità di compressione ai carichi assiali pari al 75% del carico, mentre l’anello del 25%, il nucleo viene così a diventare una sorta di distributore di pressione. La pressione al centro del nucleo non è mai nulla, nella fase di precompressione le forze esercitate gli permettono di resistere meglio agli sforzi di compressione e flessione, schiacciandosi e allargandosi.
Con l’aumento della pressione nella parte interna del nucleo, essa si trasmette in tutte le direzioni fino alle fibre più interne, la resistenza in compressione può arrivare fino a 550 Kg, a differenza del corpo vertebrale che sopporta un carico di 450 Kg prima di fratturarsi.
La pressione interdiscale varia anche a seconda della sua posizione. Prendendo come esempio un soggetto di 70 Kg di peso, nella stazione eretta con una flessione di 20°, la pressione sul disco L3 sarà pari a 120 Kg, aggiungendo un carico di 30 Kg la pressione esercitata sarà di circa 450 Kg con rischio di frattura dell’anello posteriore. Il potenziamento della fascia muscolare addominale riduce la pressione interdiscale del 30%, ciò è dovuto alla pressione intra-addominale che, durante lo sforzo, agisce da scarico della pressione interdiscale.
Altra condizione di stress per il disco sono le rotazioni assiali, esse creano una pressione interna proporzionale al grado di rotazione. Le fibre dell’anulus si tendono con obliquità opposta al movimento e negli stadi centrali si avrà il massimo della tensione.
Nella presente trattazione assumono notevole rilevanza i movimenti accoppiati, come l’inclinazione laterale con rotazione. Durante l’inclinazione laterale i corpi vertebrali ruotano su loro stessi, spostandosi verso la convessità mentre le linee delle spinose si sposteranno verso la concavità. Tale movimento è dovuto alla compressione dei dischi i quali si sposteranno verso la convessità, mentre alla messa in tensione dei legamenti si sposteranno verso la linea mediana. Il sistema legamentoso permette la connessione intervertebrale attraverso un pilastro anteriore e un arco posteriore. Il pilastro anteriore è costituito dal legamento vertebrale comune anteriore e dal legamento vertebrale comune posteriore.
L’arco posteriore è formato dal legamento giallo, il legamento interspinoso, il legamento sovra spinoso e dal legamento intertrasverso. Il legamento giallo dell’arco posteriore riveste un ruolo determinante nella struttura rachidea. Formato di materiale elastico di colore giallo contenente l’80% di elastina, si estende tra le lamine di una vertebra a quella adiacente. Il legamento giallo di sinistra e quello di destra si incontrano posteriormente fondendosi parzialmente al livello in cui le lamine si uniscono a formare i processi spinosi. Tra i legamenti di destra e di sinistra rimangono delle fessure per il passaggio dei vasi sanguigni. Lo spessore aumenta gradualmente dal tratto cervicale a quello lombare.
I muscoli che permettono i vari movimenti della colonna sono diversi e sono localizzati in punti strategici per consentire i vari movimenti. Prima delle apofisi trasverse troviamo il piccolo retto anteriore dell’occipite e lo psoas, i muscoli fra le apofisi trasverse sono gli scaleni, gli intercostali e il quadrato dei lombi, infine, dietro le apofisi trasverse si trovano i muscoli delle docce vertebrali e sub occipitali. L’interazione tra legamenti e muscoli permette i movimenti del rachide in flesso/estensione (piano sagittale), in inclinazione laterale (piano frontale) e in rotazione assiale (piano trasverso). La flesso-estensione copre un arco di circa 140°-190° sul piano sagittale e sull’asse di rotazione trasverso. Scomponendo il movimento delle regioni esaminate notiamo che il rachide cervicale flette di ±40°, la flessione del tronco è di ±100°, di cui circa 60° nel tratto lombare e 40° nel tratto dorsale. Nell’estensione si rilevano i seguenti valori: il tratto cervicale si estende ± 45°, il tronco ± 45° di cui il tratto lombare circa 30° e il tratto dorsale 15°. L’inclinazione totale fra il cranio e il sacro è di circa 75° - 85°, sul piano frontale si rileva un’inclinazione del tratto cervicale di circa 35° - 45°, nel tratto dorsale di 20° e nella lombare di 20°. L’ampiezza dei gradi di rotazione assiale fra bacino e cranio raggiunge i 90°, di cui il tratto cervicale 45° - 50°, il tratto dorsale 35° e il tratto lombare 5°.
Il tratto dorsale è vincolato all’articolazione costo vertebrale, le apofisi articolari sul piano frontale sono inclinate di circa 60° sul piano orizzontale, la mobilità è contrastata dalle costole. La vertebra D12 è una vertebra di transizione, la particolarità sta nella sua architettura composta di solo due faccette costali sul piatto superiore, le apofisi superiori sono orientate all’infuori e in avanti come le faccette inferiori delle vertebre lombari. La vertebra D12 e la vertebra L1 formano la cerniera dorso-lombare, essa consente la variazione del tronco nello spazio. La dodicesima vertebra rappresenta il fulcro immobile della cerniera dorso-lombare, durante la deambulazione le vertebre al di sopra della D12 e fino alla D7 permettono la rotazione del tronco sufficiente a seguire l’arto inferiore che avanza.
Le vertebre superiori alla D7 invece ruotano in senso contrario seguendo il bilanciamento dato dall’avanzamento dell’arto superiore contro laterale dell’arto inferiore. Al di sotto di D12 è effettuata una rotazione relativa, poiché la cerniera lombo-sacrale ruota al massimo di 5°, il che consente di rimanere stabili nel proprio assetto verticale durante la rotazione. Il tratto lombare permette delle rotazioni assiali molto limitate a causa dell’orientamento delle faccette articolari, indietro e in dentro, anche l’estensione risulta limitata a causa delle sporgenze ossee dell’arco posteriore e del legamento vertebrale comune anteriore. Il movimento di flessione è invece limitato dalla tensione della capsula e dai legamenti dell’arco posteriore. La cerniera lombo sacrale rappresenta il punto debole del rachide, il corpo a V lombare tende a slittare in basso e in avanti per l’inclinazione della prima sacrale.
Questo slittamento è impedito dalle solide connessioni dell’arco posteriore di L5 a livello dell’istmo vertebrale. In conclusione, la colonna vertebrale è un sistema in cui l’equilibrio è dato dal lavoro della muscolatura in sinergia con l’apparato osseo; eventuali squilibri possono comportare delle patologie come ad esempio: ernie discali, iperlordosi, ipercifosi e scoliosi.
La colonna vertebrale ha diverse funzioni cruciali, tra cui proteggere il midollo spinale, sostenere il corpo, consentire il movimento, ammortizzare le sollecitazioni e trasferire i movimenti dalla testa e dal tronco al bacino.
La colonna vertebrale umana, paragonabile a un sistema colonnare, distribuisce il carico lungo tutto il suo asse verticale, dalla base (il piatto sacro) al capitello (l'atlante che sostiene il capo).
Le curve del rachide (lordosi lombare e cervicale, cifosi dorsale e curva sacrale) hanno la funzione cruciale di distribuire e scaricare le forze che agiscono sulla colonna, aumentando la sua resistenza alle sollecitazioni, in particolare quelle di compressione.
Il disco intervertebrale è composto da un nucleo polposo gelatinoso (che assorbe la maggior parte del carico) e un anello fibroso periferico. Agisce come ammortizzatore e distributore di pressione, ma può essere soggetto a stress e lesioni, specialmente in condizioni di carico eccessivo o movimenti di rotazione.
La colonna vertebrale consente movimenti di flesso-estensione, inclinazione laterale e rotazione assiale, grazie all'interazione coordinata di muscoli (come gli addominali, gli erettori della colonna, il quadrato dei lombi) e legamenti (come il legamento giallo).
La colonna vertebrale protegge il midollo spinale, sostiene il corpo e assorbe le sollecitazioni. Le sue curve aumentano la resistenza e distribuiscono il carico. I dischi intervertebrali ammortizzano i movimenti, mentre i muscoli e legamenti permettono flesso-estensione, rotazione e inclinazione. Una corretta biomeccanica previene patologie come ernie e scoliosi.
Questo articolo è tratto dal libro A scuola di Posturale, pratico manuale di oltre 500 pagine interamente dedicato alla Ginnastica Posturale.