Da tempo è stato documentato il rapporto tra lo stato di forma fisica e incidenza di eventi coronarici o mortalità cardiovascolare con una relazione fra prognosi e quantità di esercizio. Secondo uno studio condotto nell'arco di 16 anni, i soggetti con "forma fisica" migliore avevano un rischio di morte notevolmente ridotto rispetto ai soggetti sedentari ed a chi aveva svolto attività di minore intensità. Anche il passaggio da una vita sedentaria a una fisicamente attiva, dimostra una riduzione del rischio relativo di morte del 44% rispetto ai sedentari, documentando l'effetto della modificazione dello stile di vita anche in soggetti che non hanno mai svolto alcuna attività fisica.
Queste indagini proverebbero che qualsiasi tipo di attività fisica, rispetto alla sedentarietà, è in grado di produrre un effetto sullo stato di salute. Rimane da stabilire se questo effetto è raggiungibile indifferentemente con
qualsiasi intensità d'impegno muscolare, in altre parole se persiste una relazione tra la dose dell'esercizio e l'effetto sui fattori connessi alla riduzione del rischio medesimo. A riguardo, i dati presenti in letteratura
non sono tutti concordi. Come noto l'attività fisica in un individuo adulto determina un aumento della gittata e della frequenza cardiaca. Se per esercizi di lieve intensità la diminuzione dell'attività simpatica tende a ridurre la
frequenza cardiaca, per esercizi più intensi si assiste a un incremento dell'attività simpatica con aumento della secrezione di catecolamina, della frequenza e della contrattilità cardiaca. L'intervento del sistema nervoso autonomo consente
anche di mantenere livelli di pressione proporzionati nonostante la vasodilatazione periferica prodotta dall'esercizio e dal calore.
Durante un'attività aerobica di tipo isotonico, si assiste a un incremento della gittata cardiaca e della pressione arteriosa sistolica con una riduzione di quella diastolica a causa di una diminuzione delle resistenze
periferiche; nell'attività isometrica o isotonica, invece, oltre un lieve aumento della gittata cardiaca si associa un incremento della pressione arteriosa e diastolica poiché le resistenze periferiche non subiscono alterazioni.
Numerosi sono gli studi che dimostrano gli effetti benefici dell'attività fisica nel contrastare la riduzione di performance cardiocircolatoria. Nei soggetti sedentari si osserva un evidente decremento della funzione sistolica e della gittata cardiaca, seguite da un incremento della frequenza cardiaca; soggetti, invece, che sono rimasti a letto per un lungo periodo a causa di malattia, hanno sviluppato l'ipocinesia sovrapponibile all'invecchiamento.
Ad ogni modo, la tolleranza allo sforzo si riduce progressivamente con l'età, con la comparsa di dispnea, un ritorno più lento della frequenza cardiaca ai valori basali e con ipotensione nei cambiamenti di postura. Un regolare esercizio aerobico porta all'incremento della funzione sistolica del ventricolo sinistro e a quella diastolica solo nel sesso maschile, invece la capacità aerobica massima aumenta in entrambi i sessi, poiché negli uomini sembra essere legato a un aumento della performance cardiaca, mentre nelle donne a un aumento della vascolarizzazione dei muscoli periferici e al miglioramento della funzione degli enzimi ossidativi.
Per quanto riguarda le patologie cardiovascolari prendiamo in considerazione le Cardiopatie Ischemiche (Angina Pectoris e Infarto Miocardico), lo Scompenso Cardiaco, l'Ipertensione Arteriosa.
La cardiopatia ischemica è un'entità che comprende diversi quadri clinici caratterizzati da un elemento comune: un'insufficiente circolazione di sangue nel miocardio, generalmente dovuta a una compromissione delle
coronarie, che può verificarsi in modo iperacuto, acuto e cronico. In molti casi la cardiopatia ischemica è legata ad aterosclerosi coronarica. Le placche aterosclerotiche possono causare stenosi, embolizzazione
dopo trombosi, emorragie intraplacca, il tutto in seguito ad una modificazione dell'assetto metabolico delle cellule dell'endotelio vascolare.
Le placche ateromasiche (depositi di grassi sulle pareti delle arterie, che causa il restringimento delle stesse e riduce il flusso di sangue agli organi vitali) in genere non hanno importanza clinica fino a che non provocano una stenosi grave.
La cardiopatia ischemica può manifestarsi con:
Questa patologia, inoltre, può essere presente ma essere asintomatica. Le conseguenze dell'aterosclerosi, infatti, variano secondo la loro localizzazione e della loro importanza e in alcuni casi sono alterati i meccanismi deputati alla percezione del dolore. La cardiopatia ischemica può restare silente per anni e rivelarsi durante un ECG, ECG da sforzo, scintigrafia miocardica o ecocardiografia (metodica diagnostica dell'ecografia impiegata nell'esame del cuore). I fattori di rischio di questa patologia tendono a diminuire con l'età e sono gli stessi nell'adulto e nell'anziano; naturalmente il rischio assoluto di malattia è maggiore nell'anziano. Tra i vari fattori di rischio distinguiamo quelli modificabili e quelli non modificabili.
La valutazione dei singoli fattori di rischio non modificabili è difficile, in quanto molti sono connessi e coesistono. Tra i fattori di rischio modificabili, invece, evidenziamo come gli effetti della sedentarietà sono paragonabili
agli effetti dell'ipertensione, dell'ipercolesterolemia e del fumo; i lavori sedentari, infatti, predispongono alla malattia coronarica con un aumento della sua incidenza. Durante l'attività fisica a causa dell'aumento della pressione
arteriosa, della contrattilità e della frequenza cardiaca, i rami arteriosi coronarici devono dilatarsi per incrementare l'apporto di ossigeno miocardico e nei giovani questo aumento può essere di 5-6 volte, cosa che non può avvenire
quando i vasi sono rigidi e con placche stenosanti.
Esistono studi scientifici che dimostrano un rapporto positivo tra intensità dell'esercizio e riduzione del rischio cardiovascolare; l'attività fisica previene i fenomeni cardiovascolari, ma non riduce la gravità di quelli in azione.
Alcuni autori hanno provato che si può avere una diminuzione significativa del rischio cardiovascolare praticando attività fisica con intensità pari a 6 MET (bicicletta, nuoto, jogging) per due ore settimanali.
Un altro studio importante ha provato che soggetti che camminavano per meno di 1,5 km al giorno avevano un doppio rischio di sviluppare una malattia coronaria rispetto a chi camminava per più di 3 km. Anche negli atleti il rischio
relativo (rapporto tra l'incidenza della malattia negli esposti e quella dei non esposti allo stesso fattore di rsichio) è minore, in particolare in chi pratica sport con incisiva attività fisica. Importante è anche lo studio svolto
da Paffembarger nel 1978 sugli ex allievi di Harvard, il quale ha dimostrato la riduzione della mortalità dei soggetti attivi rispetto ai sedentari con attività fisica giornaliera minore di 4.5 MET. Altri studi
hanno dimostrato l'incremento di mortalità nei più sedentari.
Tutti gli studi, quindi, concordano nell'attribuire a uno stile di vita attivo una riduzione della mortalità per cardiopatia ischemica. I meccanismi d'azione con i quali l'attività fisica produce effetti positivi nella prevenzione della cardiopatia ischemica sono numerosi, vediamo i più importanti:
Gli studi sull'argomento dell'angina pectoris, confermano come l'attività fisica costante e moderata provochi un miglioramento della perfusione miocardica in assenza di interventi di rivascolarizzazione coronarica.
Oltre a questo, nell'angina stabile, altri benefici sono legati alla riduzione della Frequenza Cardiaca e della Pressione Arteriosa, all'estensione della fase diastolica e alla riduzione dell'incremento di pressione connesso all'esercizio
per il rafforzamento dei muscoli scheletrici.
Per valutare la debolezza del soggetto e per stabilire una soglia di possibile sforzo sono utili l'ECG da sforzo svolto su cyclette o su tapis roulant, la scintigrafia miocardica e l'eco-stress. È noto che l'attività
fisica regolare è utile per correggere i fattori di rischio e per prevenire l'inizio di una Cardiopatia Ischemica clinicamente dichiarata, oltre che incrementare la longevità (almeno per i soggetti fino ad 80 anni).
Ai fattori di rischio noti bisogna aggiungere la sedentarietà. Per ottenere miglioramenti a livello lipidico è necessario un esercizio fisico con consumo minimo di energia pari ad una distanza percorsa a piedi di 18-20 km la settimana. L'attività fisica riduce il fabbisogno di ossigeno attraverso la diminuzione della Pressione Arteriosa e della Frequenza Cardiaca (incremento della potenza aerobica).
Lo scompenso cardiaco è la manifestazione dell'insufficienza che si verifica quando viene a mancare l'efficacia dei meccanismi di compenso e che può esprimersi in diversi quadri clinici, passando dallo scompenso cardiaco acuto a varie forme di scompenso cardiaco cronico. L'incidenza e la prevalenza di questa patologia sono molto alte nella popolazione. Lo scompenso cardiaco viene associato ad una fondamentale morbosità e mortalità e ad una sfavorevole qualità di vita. Secondo la New York Heart Association (NYHA) possiamo classificare lo scompenso cardiaco in questo modo:
In caso di pazienti collocabili nelle classi 2 e 3, le misure preventive, primarie e secondarie, consistono principalmente nel controllo dei fattori di rischio e di quelli precipitanti: fra i primi, l'ipertensione e l'ischemia
del miocardio; fra i secondi le alterazioni della frequenza cardiaca e l'eccessiva assunzione di sodio.
Programmi di attività fisica adeguati migliorano la contrattilità del miocardio, grazie al quale si ottiene un incremento del flusso sanguigno e dei capillari dei muscoli, ed una diminuzione delle resistenze
periferiche e dell'accumulo del lattato che si collega ad una riduzione della domanda ventilatoria. Inoltre, diminuisce la pressione del sangue e la secrezione di catecolamine, ed aumenta la forza muscolare e l'attività degli enzimi respiratori.
Riguardo ai programmi adeguati di attività fisica, quindi, sembra poter dire che in molti pazienti delle classi 2 e 3 della NYHA, un compenso cardiaco è ottenibile attraverso un aumento del volume telediastolico (volume presente all'interno del ventricolo al termine della diastole), un'ipertrofia del miocardio e un adattamento ormonale che favorisca il fluire del sangue al cuore e ai muscoli scheletrici. Un programma di graduale attività fisica può essere utile anche in quei pazienti in cui lo scompenso cardiaco è consolidato, ma stabile, migliorando le funzioni fisiologiche e soprattutto lo stile di vita.
La frequenza raccomandata in un programma di attività fisica è di 3 volte a settimana o quotidiana, alternando esercizi a corpo libero e aerobici. L'intensità dell'attività deve essere proporzionata al grado di tolleranza allo sforzo e al periodo di staticità dopo l'evento acuto; quindi, va graduata per ogni paziente e relazionata con la durata. Un esercizio ad intensità inferiore del 40% VO2max, presenta un minor rischio di lesione muscolo scheletrica o di fatica.
L'ipertensione per l'adulto è definita un sistematico e costante aumento della pressione arteriosa sistolica oltre i 140mmHg e di quella diastolica oltre ai 90mmHg. Vediamo una classificazione della pressione arteriosa nell'adulto elaborata dal Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation and Treatmen of High Pressure del National Institute of Health (NIH) degli Stati Uniti nel suo settimo rapporto del 2003 (JNC7), in cui si nota l'inclusione della categoria "preipertensione" con lo scopo di prendere in considerazione misure preventive per rallentare l'eventuale progredire del processo ipertensivo.
Categoria | Pressione sistolica | Pressione diastolica | |
---|---|---|---|
Normale | <120mmHg | e | <80mmHg |
Preipertensione | 120-139mmHg | o | 80-89mmHg |
Ipertensione Stadio 1 | 140-159mmHg | o | 90-99mmHg |
Ipertensione Stadio 2 | ≥160mmHg | o | ≥100mmHg |
Per quanto riguarda gli anziani, è necessario tener conto degli effetti dell'invecchiamento sull'apparato cardiovascolare. Solitamente la pressione arteriosa aumenta con l'età in entrambi i sessi fino ai 50-60 anni,
dopodiché la pressione arteriosa sistolica aumenta ancora fino ai 70 anni e oltre, mentre quella diastolica si riduce leggermente.
L'approccio terapeutico usato in questa patologia, in particolare non quello farmacologico, è basato soprattutto sul controllo dei fattori di rischio che determinano o favoriscono l'ipertensione. Non è un caso, infatti,
che il JNC7 sostenga l'utilità di modificare gli stili di vita "dannosi" nel trattamento per l'ipertensione. Infatti, essa è spesso associata a ipercolesterolemia, obesità e anormale tolleranza al glucosio.
L'obesità inoltre aggrava il danno cardiaco contribuendo a determinare elevati livelli di ipertrofia del ventricolo sinistro. Riguardo ai fattori di rischio modificabili, anche se secondo alcuni studi esiste l'assenza
di legame tra fumo e ipertensione, è stata notata un'associazione tra ipertensione severa e fumo di sigaretta.
Non bisogna trascurare neanche i fattori di rischio psicologici, anche per la loro alterazione con l'attività fisica. L'attività fisica contribuisce a migliorare la situazione dei soggetti ipertesi per due effetti fondamentali: la possibilità di ridurre i farmaci antipertensivi e quella di diminuire le complicanze a lungo termine che questa patologia può comportare.
Alcune meta-analisi hanno permesso di dimostrare che una regolare attività aerobica può produrre una riduzione della pressione arteriosa sistolica e diastolica rispettivamente di 3-4 e 2-3mmHg e che la riduzione
può essere più evidenziata nei soggetti ipertesi -7,4 e -5,8 rispettivamente per la pressione arteriosa e diastolica.
Risultati simili sono emersi per l'intensità fra 40% e 70% VO2max, frequenze da 3 a 5 volte la settimana e durata da 30 a 60 minuti per seduta.
Naturalmente, oltre all'attività fisica, possono dare un importante contributo ad un controllo dell'ipertensione: la riduzione del peso corporeo; una dieta povera di sodio, ricca di frutta, vegetali, prodotti a basso contenuto di grassi; un moderato consumo di alcol1.