Dedichiamo questo testo a capire come avvengano i processi di sviluppo motorio e cognitivo nel corso dell’età evolutiva. Affronteremo prima l’evoluzione del nostro apparato locomotore e perché nel corso della storia abbiamo assunto la posizione eretta con la verticalizzazione della colonna vertebrale. Definiremo quali sono gli atteggiamenti posturali che ci contraddistinguono e capiremo il confine sottile che separa il “normale” dal patologico. Avremo così un quadro di insieme del corpo umano, la cui conoscenza è un tassello fondamentale per capire come e perché fare prevenzione.
L’attuale struttura scheletrica dell’uomo è il risultato di migliaia d’anni di evoluzione in cui l’organismo, per adattarsi selettivamente alle dinamiche ambientali, ha dovuto modificare la propria conformazione. Dal nostro più antico discendente, l’Australopithecus africanus, non alto più di un metro e cinquanta centimetri, già bipede, avrà inizio il processo di ominizzazione che porterà verso la forma umana, prima con l’homo Erectus, di seguito con l’homo Habilis, l’homo Sapiens e l’homo Sapiens Sapiens.
Per sopravvivere all’ambiente il processo evolutivo comportò una sostanziale modifica di tutto l’apparato locomotore. In primo luogo l’acquisizione della postura eretta (ortograda) e di conseguenza l’adattamento alla nuova situazione gravitaria con la verticalizzazione della colonna vertebrale. In questa nuova condizione ciascuna vertebra doveva sostenere progressivamente tutte le masse al di sopra di essa e scaricare le forze superiori sui due arti inferiori. Si capisce, quindi, il perché le vertebre abbiamo assunto una conformazione più larga e bassa rispetto a quelle di un rachide obliquo, come nella scimmia, e perché, dovendo sostenere un maggiore peso, aumentino di dimensioni procedendo dall’alto verso il basso (direzione cranio-caudale).
Dapprima il rachide era costituito da un’unica curva a convessità posteriore, adatta alla vita scimmiesca. Solo in seguito, quando mutarono le esigenze dinamiche, con gli ominidi avremo l’acquisizione delle curve cervicale e lombare a convessità anteriore, opposte alla curva toracica.
“La formazione delle curve non è un capriccio della natura ma un abile sistema per la ripartizione più equilibrata dello scarico delle forze e una maggiore possibilità di movimento del rachide”.
Se la colonna vertebrale fosse un corpo rigido e geometricamente colonnare, dovrebbe avere dimensioni, coesione e resistenza alla compressione notevolmente maggiori di quelle che essa in realtà possiede. I sistemi di curve, sagittale (lordosi e cifosi) e laterale, che interferendo l’uno con l’altro danno al rachide una struttura elicoidale, consentono a esso una reazione elastica alle sollecitazioni, permettendo di dissipare orizzontalmente parte dell’energia cinetica proveniente dall’alto attraverso le strutture muscolari, tendinee e ossee del tronco.
La colonna vertebrale, che nell’uomo è costituita da 33/34 vertebre (7 cervicali, 12 toraciche, 5 lombari, 5 sacrali, 4/5 coccigee), deve la sua grande capacità di resistere alle molteplici sollecitazioni ai suoi elementi deformabili, in particolare ai dischi intervertebrali che si interpongono fra le vertebre. L’usura e la deidratazione di questi dischi, come avviene per esempio nella vecchiaia, comporta la perdita di gran parte della capacità di resistenza e mobilità della colonna. Non si esclude che l’acquisizione bipede condizionò anche le modifiche nella struttura del cranio con l’aumento del cervello, che a sua volta produsse il vero cambiamento. Il foro occipitale, per il passaggio del midollo spinale, si sposta nell’uomo dalla parte posteriore a quella inferiore del cranio.
Dal bacino allungato e privo di sporgenze tipico del quadrupede si passerà nell’uomo a un bacino più piccolo e con varie protuberanze per dare attacco ai potenti muscoli per la stazione eretta, in particolare i glutei. Essi appaiono nell’uomo più vasti e larghi e sono fondamentali nel mantenimento della stazione eretta, a differenza dei quadrupedi dove invece sono più lunghi e hanno funzione esclusivamente locomotoria. Anche il piede è stato coinvolto in modifiche strutturali notevoli nel corso dell’evoluzione dell’uomo. In particolare, il piede delle antropomorfe mostra quale caratteristica distintiva l’opponibilità dell’alluce nei confronti delle altre dita, quanto cioè avviene nella mano dell’uomo con il pollice. L’iper-specializzazione al bipedismo, tipica del piede umano, si mostra a livello scheletrico con la formazione dell’arco plantare; infatti mentre il piede delle antropomorfe poggia al suolo con l’intera pianta, quello umano presenta, in condizioni fisiologiche, tre soli punti di appoggio: posteriormente il calcagno e anteriormente le epifisi distali del 1° e 5° metatarso, la parte mediale è incurvata verso l’alto. Si determina così una struttura in grado di assorbire più efficacemente l’impatto col suolo durante la marcia e la corsa, rendendo il piede una sorta di “ammortizzatore biologico”. Una fascia di tessuto connettivale, l’aponeurosi plantare, collega la parte posteriore del piede con quella anteriore, contribuendo così alla funzione ammortizzatrice.
Gli arti superiori, dapprima utilizzati per l’arrampicamento e come sostegno del corpo, si specializzarono successivamente per le attività grossolane utili per la sopravvivenza. Il bisogno principale era infatti quello di procurarsi il cibo. È stato necessario trasformare gli arti anteriori in strumenti idonei a risolvere i problemi di alimentazione, alla costruzione di oggetti per colpire la preda e specializzarli in estremità molto agili, mobili, con grandi escursioni articolari. La caratteristica distintiva della mano dell’uomo è la possibilità di opponibilità del pollice sulle altre dita. Nella mano dell’uomo la presa di precisione raggiunge il massimo della raffinatezza, sia per l’alta sensibilità e mobilità della mano, sia per l’elevato coordinamento dei movimenti che è proprio della nostra specie. L’uso della deambulazione in stazione eretta e della mano, l’esigenza di comunicare con altri simili per mezzo di un linguaggio e il progressivo sviluppo del cervello hanno determinato il sopravvento dell’uomo sulle altre specie e hanno permesso il progressivo dominio dell’ambiente anche per mezzo del nostro apparato locomotore.
Abbiamo inserito volutamente questa parte del testo all’interno del capitolo dedicato al corpo. Ancora oggi in molti credono che lo sviluppo corporeo sia separato o distinto da quello cognitivo e psichico, in realtà i due processi si influenzano vicendevolmente. Fin dalla nascita il bambino impara a conoscere il mondo che lo circonda attraverso l’esperienza sensoriale che gli deriva dal movimento e quindi dal suo corpo.
Jean Piaget, famoso psicologo dello sviluppo, ha descritto bene questo legame indissolubile fra sviluppo motorio e cognitivo. I primi movimenti del bambino sono di natura fondamentalmente involontaria e riflessa. Il neonato è esposto a un’ampia gamma di esperienze percettive attraverso i sistemi recettoriali di cui il corpo è fornito fin dalla nascita: la vista, l’udito, il tatto, il gusto e l’olfatto che vanno a costituire i cosiddetti cinque sensi. A questi vanno aggiunti la percezione vestibolare, che deriva dai recettori posti nell’orecchio interno, il cosiddetto organo dell’equilibrio (utricolo, sacculo e canali semicircolari) e la propriocezione, ossia la percezione della posizione e del movimento del corpo nello spazio grazie a recettori posti nelle articolazioni e nei muscoli (fusi neuromuscolari, organi tendinei del Golgi).
Queste sensazioni sono vissute inizialmente in maniera del tutto passiva dal neonato, che quasi le subisce. Poco alla volta il bambino assocerà a dei movimenti riflessi delle sensazioni piacevoli che tenterà di ripetere. Ciò avviene per esempio quando si accarezza un lato del viso e il neonato gira la testa in quella direzione (riflesso di rooting). Alla stessa maniera avviene la ricerca del capezzolo della madre mentre questa tiene il neonato appoggiato sul seno. La sensazione piacevole che deriva dal profumo e dal gusto del cibo, le sensazioni fisiche che derivano dall’atto del succhiare e dalle carezze della madre oltre che la vista rassicurante della stessa, vanno a stimolare contemporaneamente in maniera positiva la totalità dei sensi del bambino attraverso un unico, semplice gesto.
Quando questo meccanismo di movimento riflesso e sensazione gratificante si ripete nel tempo viene fatto proprio dal bambino e diviene movimento attivo e volontario poiché implica l’attivazione dei centri corticali. Il “vissuto corporeo” e l’esperienza sensoriale positiva a esso correlata, hanno determinato l’apprendimento. Pertanto l’apprendimento motorio necessita di ripetizione, gratificazione ed esperienza corporea. Come abbiamo sottolineato che lo sviluppo psicologico non può essere scisso da quello corporeo, alla stessa maniera rimarchiamo il fatto che, oltre che da influenze di natura ambientale (approccio da parte dei genitori, livello culturale, esperienze vissute ecc.), lo sviluppo è in stretta relazione anche con influenze di natura biologica (fattori ereditari, caratteristiche fisiche, eventuali malattie alla nascita ecc.). Parlando di sviluppo ci riferiamo in particolare alla cosiddetta età evolutiva, quella fase che va dalla nascita fino a circa i 20 anni di età, cioè
“quel periodo delle vita in cui l’individuo raggiunge il pieno delle sue caratteristiche somatiche e psichiche”
Questa definizione non deve essere intesa in senso stretto poiché lo sviluppo psicologico procede per tutto il corso della vita, così come avvengono modifiche strutturali e morfologiche del nostro corpo fino all’anzianità. Il periodo compreso da 0 a 20 anni fa semplicemente riferimento al fatto che in questo lasso di tempo avvengano le maggiori rivoluzioni sia di ordine fisico che psicologico. A sua volta l’età evolutiva può essere scissa in diverse fasi, corrispondenti a periodi particolarmente significativi da un punto di vista dello sviluppo:
Gli autori non sono tutti concordi con questa suddivisione; per esempio Carraro e Bertollo individuano anche una terza infanzia, dai 6 fino ai 10/12 anni e identificano l’età della Fanciullezza con la Seconda infanzia. Al di là di queste ipotetiche suddivisioni, ciò che è importante comprendere è che nel corso dello sviluppo avvengono dei cambiamenti particolarmente significativi, sia dal punto fisico che psicologico, e ciò sottende la facoltà di acquisizione di nuove abilità motorie in quel particolare periodo. La possibilità di prevedere lo sviluppo di una particolare abilità motoria nel bambino a seconda dell’età di sviluppo viene identificata con la nozione di pietre miliari dello sviluppo. Per esempio si sa che, generalmente, il bambino impara prima a sedersi, poi ad afferrare qualcosa per tirarsi su, per poi finalmente muovere il primo passo, il che avviene in genere intorno al primo anno di vita.
Da un punto di vista posturale, il neonato presenta una ipertonia dei muscoli flessori degli arti (braccia e gambe piegate), mentre il tono dell’asse del corpo, da cui dipende la postura, è quasi inesistente. Il rafforzamento progressivo di questa regione gli permetterà prima il sollevamento del mento quando è coricato sul ventre (primo mese), successivamente riuscirà ad alzare anche la testa, le spalle e il torace poggiandosi sugli avambracci (terzo mese). La conquista della posizione seduta avviene nel secondo trimestre di vita. Dapprima, intorno al quarto-quinto mese, l’ipotonia del tronco fa assumere al neonato una posizione leggermente curva e ancora instabile, ha bisogno di un sostegno per mantenersi seduto. Riuscirà a mantenere la posizione intorno al settimo mese. La posizione eretta rappresenta una nuova tappa che il bambino cercherà di raggiungere. Intorno al nono mese è capace di tenersi in piedi se sorretto o appoggiato a un sostegno, verso gli undici-dodici mesi sta in piedi da solo.
Lo sviluppo della deambulazione procede di pari passo con quello posturale ma inizia più tardi. Una prima rudimentale forma di spostamento si ha quando il bambino, disteso sul ventre, striscia in avanti aiutandosi con gamba e braccia. Intorno al decimo mese impara a camminare carponi, raggiungendo così una migliore coordinazione delle braccia e delle gambe, oltre un rafforzamento dei muscoli delle stesse. Non tutti i bambini raggiungono la deambulazione eretta vera e propria passando per quella a carponi, ciò dimostra l’estrema variabilità nello sviluppo individuale. Intorno a un anno è capace di camminare se lo si tiene per mano e infine, verso i 13-14 mesi, è in grado di camminare da solo.
Il passo rimane insicuro, il baricentro è spostato in avanti, le braccia mantenute larghe per bilanciarsi e il piede sollevato in alto più del necessario ma, nonostante le frequenti cadute, il bambino trae grande soddisfazione dai suoi successi nel cammino. Adesso è in grado di esplorare lo spazio intorno e agire su esso; ciò facilita lo sviluppo e il riconoscimento di sé e degli altri oltre a determinare la possibilità di sviluppo di nuove abilità motorie come correre, saltare, arrampicarsi ecc. La conquista della deambulazione rappresenta senza dubbio una pietra miliare nello sviluppo del bambino.
Nel corso del primo anno e mezzo avviene lo sviluppo di un’altra importante abilità motoria, la manipolazione. Come per le altre abilità motorie, il progresso di questa abilità dipende sia dalla maturazione neuromuscolare che dall’esercizio. Alla nascita è presente una forma primitiva di prensione, il riflesso di presa. Tale riflesso scompare del tutto verso i due mesi per lasciare posto alla prensione sotto controllo volontario e quindi corticale. A tale abilità partecipa attivamente il sistema visivo. Il bambino indirizza la sua attenzione verso un oggetto e lo afferra, più tardi sarà anche in grado di manipolarlo e lasciarlo andare. La prensione avverrà inizialmente con la parte cubitale della mano, sotto il mignolo, senza utilizzare il pollice (prensione cubito-palmare). In seguito l’oggetto viene condotto verso il palmo e il bambino utilizza tre dita insieme: pollice, indice e medio (prensione digito-palmare). Infine, l’oggetto viene posto fra indice e pollice (prensione radio-digitale). La “conquista” della prensione e della manipolazione consentono al bambino di essere pienamente parte attiva del mondo che lo circonda.
Sappiamo che esistono alcuni principi generali, non condivisi da tutti gli autori, che guidano la direzione dello sviluppo motorio nel corpo umano. Si parla di progressione cefalo-caudale, cioè il controllo volontario del movimento si svilupperebbe prima a partire dalla testa (cefalo), per procedere poi in direzione inferiore verso la colonna vertebrale (caudale). Alla stessa maniera avviene lo sviluppo prossimo-distale: si intende che il controllo motorio negli arti si sviluppa dapprima nella parte prossimale, per esempio nella spalla, per poi procedere verso l’esterno in direzione delle dita. Questo spiegherebbe perché il controllo motorio fine e di precisione, come la manipolazione di un oggetto con le dita, avverrebbe solo in un secondo momento.
È opportuno rendersi conto che esiste una notevole variabilità nello sviluppo individuale di ciascun bambino. Bambini nati all’interno di una stessa famiglia possono cominciare a camminare in periodi diversi, così come, generalmente, i maschi tendono a camminare un pò dopo rispetto alle femmine. Nonostante questa variabilità, vi è un grado di prevedibilità per cui si può ipotizzare quando e in quale ordine dovrebbero svilupparsi determinate abilità nel bambino. Ciò ci permette anche di identificare quei bambini che hanno un ritardo nello sviluppo motorio rispetto ai coetanei. Le caratteristiche psicologiche hanno un’influenza molto forte sullo sviluppo motorio. Bambini che si dimostrano curiosi, vivaci e intraprendenti nel conoscere il proprio ambiente, sostenuti anche dai genitori, sviluppano abilità motorie in maniera più facile di quei bambini che invece non presentano queste caratteristiche.
Il neonato è lungo in media 50 cm e pesa 3,400 kg, con una circonferenza cranica di circa 35 cm. A un anno di vita il bambino ha aumentato del 50% la propria lunghezza; nel corso del secondo anno la statura aumenta di circa 1 cm al mese, tale valore tende a decrescere negli anni successivi. Per quanto riguarda l’aumento ponderale, il neonato raddoppia il proprio peso al quinto mese e lo triplica a un anno di vita. La circonferenza cranica aumenta di 12 cm il primo anno, in seguito l’aumento diventa più modesto. Dal secondo anno e per tutta l’infanzia la crescita prosegue con un ritmo meno rapido, mentre nella pubertà si determina un nuovo incremento. L’alimentazione ha un ruolo importante nel garantire la crescita, devono essere evitati carenze o eccessi così come avremo modo di dire nel capitolo dedicato.
Per Piaget lo sviluppo cognitivo è “una successione di stadi attraverso cui il bambino deve passare per raggiungere crescenti competenze”. L’intelligenza è la più alta forma di adattamento. Tale adattamento al mondo esterno avverrebbe attraverso due processi che Piaget chiama assimilazione e adattamento. Il bambino tramite l’assimilazione assume delle nuove informazioni dalla realtà che lo circonda e le integra nei suoi schemi mentali, attraverso l’adattamento modifica gli schemi attuali in virtù dei nuovi dati dell’esperienza. Gli schemi sono la forma più elementare di conoscenza ed il loro sviluppo avviene attraverso l’interazione con l’ambiente. Secondo Piaget lo sviluppo intellettivo del bambino procederebbe attraverso una serie di stadi rigidamente concatenati. Le abilità e le conoscenze acquisite in uno stadio vengono integrate e sviluppate in quello successivo in strutture sempre più complesse. La sequenza è la medesima in tutti gli individui, ciò che può variare è la velocità con cui questi stadi vengono raggiunti. Gli stadi cognitivi descritti da Piaget sono quattro.
La teoria dello sviluppo cognitivo fornita da Piaget non è stata esente da critiche. In particolare Vygotskij rimproverava all’autore svizzero il fatto che non attribuisse alcuna importanza al contesto storico e culturale nel quale cresceva il bambino. Secondo la sua visione, lo sviluppo biologico definirebbe solo l’ambito delle possibilità di sviluppo, che Vygotskij indica come zona di sviluppo prossimale, non la loro concreta realizzazione, che è invece legata alle opportunità offerte dal contesto sociale di appartenenza. Lo psicologo statunitense Jerome Bruner riprende il punto di vista di Vygotskij e introduce il concetto di scaffolding (letteralmente “fornire l’impalcatura”, una struttura temporanea che viene tolta appena l’edifico è costruito), per sottolineare l’importanza della relazione con i genitori o con chi si prende cura del bambino. L’impalcatura fornita dall’adulto serve a compensare il dislivello fra le abilità effettivamente possedute dal bambino e quelle necessarie nell’esecuzione di un compito. L’assunto di base che unisce queste teorie è che il pensiero umano si strutturi a partire dall’elaborazione degli stimoli (tattili, propriocettivi, visivi, uditivi, ecc.) che il bambino percepisce nelle prime fasi di vita. Da questi stimoli comincia a costruirsi il pensiero e l’organizzazione di tutte quelle funzioni mentali che comunemente chiamiamo Io corporeo o Identità corporea.
Merleau-Ponty, andando ad analizzare il rapporto fra corpo e movimento, afferma:
«Ciascuno di noi se non è affetto da particolari patologie, ha coscienza di sé e del mondo appunto tramite il proprio corpo».
Per approfondire questo concetto si introduce la nozione di schema corporeo. Secondo Jean le Bouch
“lo schema del corpo può essere considerato come un’intuizione di insieme o una conoscenza immediata che si ha del proprio corpo sia in posizione statica che in movimento, in rapporto alle diverse parti tra loro, e soprattutto nei rapporti con lo spazio e gli oggetti che lo circondano”.
Il Wallon precisa che:
"Non è un dato iniziale né un’ entità biologica o fisica, ma il giusto risultato e la condizione di giusti rapporti tra l’individuo e il proprio ambiente"
Secondo Mucchielli, questo
“insieme che forma lo schema corporeo si sviluppa e si evolve molto lentamente nel bambino e non si realizza normalmente se non verso gli 11-12 anni”.
Ciò indica l’importanza della educazione data alla scuola elementare durante la quale il bambino assume una genesi normale dello schema corporeo. J. De Ajuraguerra ha evidenziato tre tappe di sviluppo dello schema corporeo.
La strutturazione e l’evoluzione dello schema corporeo avvengono attraverso le esperienze di movimento fin dalla nascita. Più saranno varie e numerose le esperienze di motricità del bambino tanto più sarà probabile la strutturazione corretta del suo schema corporeo durante lo sviluppo. Ciò si manifesta con una grande capacità di riuscita nei più svariati compiti. Nel caso contrario, uno schema corporeo mal strutturato determinerà possibili deficit nella relazione soggetto-mondo, in particolare nelle aree sotto elencate.
Generalmente, la postura viene definita come la disposizione delle parti del corpo. Una buona postura è quello stato di equilibrio muscolare e scheletrico che protegge le strutture portanti del corpo da una lesione o una deformità progressiva malgrado la posizione (eretta, distesa, accovacciata, china) in cui queste strutture lavorano e oppongono resistenza. In queste condizioni i muscoli lavoreranno in modo più efficace e gli organi toracici e addominali si trovano in posizione ottimale. La postura è cattiva quando si ha una relazione scorretta delle varie parti del corpo che produce un aumento di tensione delle strutture portanti e quando l’equilibrio del corpo sulla base d’appoggio è meno efficiente.
La postura è un dato fisico, tangibile, oggettivo ma anche soggettivo, accomuna tutti ma allo stesso tempo ci differenzia dagli altri. Nessuno potrà mai dire di avere una postura esattamente uguale a un’altra persona così come nessuno potrà dire di avere una postura perfetta. La postura perfetta in realtà non esiste, si può tendere a essa ma mai raggiungerla. La complessità dei meccanismi che regolano la nostra postura uniti all’insieme di forze con cui il corpo si trova a lottare rendono questa condizione impossibile. Ciò nonostante la tendenza ad avere un buon allineamento posturale può determinare il confine fra l’essere in salute e non esserlo. La postura non è un dato fisso e immutabile nel tempo. Evolve insieme alle caratteristiche fisiche e psicologiche del nostro organismo. È determinata da fattori ereditari e costituzionali, dalle esperienze motorie del soggetto, da caratteristiche psicologiche nonché dal carattere stesso della persona. Rappresenta il nostro modo personale di interagire con il mondo che ci circonda, il nostro biglietto da visita. Avere una buona postura dà un’immagine positiva di sé: la persona che si muove con il busto eretto, con coordinazione e armonia trasmette un’immagine di sicurezza, di qualcuno che affronta la vita con positività e fiducia; al contrario l’individuo con la schiena curva, le spalle cadenti e il capo inclinato dimostra rassegnazione, sofferenza verso i compiti della vita.
La postura è efficace quando consente di avere equilibrio e sforzo minimo nel mantenere una posizione o nel muoversi. I muscoli e le articolazioni sono le strutture che per prime risentono di un cattivo atteggiamento posturale. Numerose ricerche hanno dimostrato che la maggior parte dei disturbi a carico della colonna vertebrale nascono proprio da un cattivo uso del nostro corpo. La nostra colonna vertebrale è continuamente sottoposta all’azione logorante della forza di gravità, che dall’alto ci spinge verso il basso. A questa forza vanno aggiunte le pressioni che esercitiamo su di essa attraverso le posizioni assunte dal nostro corpo. A molti sorprenderà sapere che la posizione seduta implica sulla colonna delle pressioni maggiori rispetto alla posizione in piedi (ortograda).
Il rachide è una struttura complessa, per semplicità descrittiva si suole dividerlo in unità vertebrali. Si distinguono il corpo vertebrale, il disco, i legamenti, le faccette articolari e il foro vertebrale dove decorrono i nervi e il midollo spinale. Le curve presenti nella colonna, lordosi cervicale, cifosi toracica e lordosi lombare, conferiscono alla colonna maggiore resistenza alle sollecitazioni, come già descritto nell’evoluzione dell’apparato locomotore; tuttavia quando l’ampiezza di queste curve aumenta o diminuisce, discostandosi dai valori fisiologici, i dischi intervertebrali e le altre strutture si trovano a dover fronteggiare pressioni superiori alla norma, tali da poter determinare deformazioni dei tessuti che li costituiscono. Il dolore che ne consegue non sempre è un elemento negativo: esso non è altro che un campanello d’allarme utilizzato dal nostro corpo per avvertirci che stiamo applicando su di esso delle sollecitazioni meccaniche anomale. Ascoltare il proprio corpo è il primo passo per interrompere il circolo vizioso che, se perdurerà, porterà alla deformazione, infiammazione del tessuto e cronicizzazione del dolore.
Le sollecitazioni a cui la nostra colonna è quotidianamente sottoposta sono di due tipi: statiche e dinamiche. Le sollecitazioni statiche fanno riferimento a tutte quelle attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, guidare l’auto, stare seduti davanti al pc, guardare la televisione ecc. In particolare molte categorie di lavoratori sono sottoposti a sollecitazioni di questo tipo, come chi lavora in ufficio o è costretto alla guida per lunghi tratti, così come gli studenti. I dischi intervertebrali assumono sostanze nutritizie quando alternano periodi di scarico ad altri di carico. Quando si assumono per molto tempo posture fisse e immobili, come nei casi descritti, tale meccanismo viene alterato. La funzione ammortizzatrice del disco viene progressivamente meno, con l’instaurarsi di processi degenerativi che dapprima interessano la cartilagine della singola articolazione ma che successivamente potranno estendersi ad altre strutture, muscoli e articolazioni, determinando rigidità e dolore. La perdita funzionale di una struttura del nostro corpo, oppure un suo non corretto funzionamento, determina inevitabilmente dei sovraccarichi in altre strutture. Il risultato sarà che anche queste strutture col tempo funzioneranno meno e male. Quando si è costretti a mantenere la postura seduta per lunghi periodi, come nel lavoro in ufficio, è importante di tanto in tanto alzarsi, cambiare posizione, fare una camminata e allungare la colonna.
L’altra importante origine del dolore vertebrale può essere data dagli stress di tipo dinamico. Anche semplici movimenti come allungarsi per prendere un oggetto posizionato in alto, oppure sollevare carichi da terra in modo sbagliato, possono determinare sollecitazioni anomale andando a deformare le strutture vertebrali, causando così il dolore. Posture viziate possono contribuire all’insorgenza di affezioni in altri distretti dell’organismo. In particolare la respirazione risente del nostro atteggiamento posturale. Una struttura scheletrica ben allineata, con una colonna estendibile, permette anche una buona dinamica respiratoria. La gabbia toracica è delimitata da dodici paia di coste che si articolano anteriormente con lo sterno e posteriormente con le dodici vertebre dorsali, inferiormente è chiusa dal muscolo diaframma che separa la cavità toracica da quella addominale. Il diaframma è il muscolo respiratorio essenziale, ha forma di cupola convessa in alto verso i polmoni e depresso centralmente.
Nella inspirazione il diaframma contraendosi si appiattisce verso la cavità addominale determinando l’aumento dell’area del torace. L’aria passa così all’interno dei polmoni che si espandono. Durante l’espirazione si ha il rilassamento del diaframma ed il ritorno elastico dei polmoni e della gabbia con espulsione d’aria. Gli addominali contraendosi bloccano la colonna in estensione, abbassano le coste, facilitando così la fuoriuscita d’aria.
Alla funzione inspiratoria contribuiscono anche i muscoli scaleni e gli intercostali esterni che con la loro azione favoriscono l’espansione toracica. In condizioni di riposo l’espirazione è un fenomeno passivo determinato dal ritorno elastico dei polmoni e dal rilassamento dei muscoli inspiratori. Nell’espirazione forzata vi è l’intervento di muscoli accessori quali i trasversi, gli obliqui interni, gli obliqui esterni e il retto dell’addome. Una postura “viziata”, con muscolatura tesa e irrigidita, va a inficiare con la corretta meccanica respiratoria. I volumi d’aria scambiati con l’ambiente saranno inferiori rispetto a chi, avendo una muscolatura più elastica, potrà estendere al meglio la propria gabbia toracica durante gli atti respiratori. Allo stesso tempo l’irrorazione dei tessuti da parte del sangue, la cessione di ossigeno e il recupero dei prodotti di scarto diventano meccanismi limitati se la muscolatura è continuamente rigida. Queste condizioni determinano sofferenza tissutale, andando a determinare condizioni in cui oltre al venir meno della funzione è compromessa anche l’estetica dei tessuti. Acquisire un buon controllo posturale può aiutare a praticare con migliori risultati le attività sportive, riducendo il rischio di infortuni e traumi.
In ultima analisi, numerosi studi hanno dimostrato le correlazioni tra mente e corpo giungendo alla conclusione che un corpo che funziona bene influenza positivamente anche il cervello. Da queste evidenze sono nate diverse tecniche e ginnastiche che, sviluppatesi soprattutto negli ultimi anni, mirano a ristabilire un corretto assetto corporeo attraverso il movimento e la postura, influenzando positivamente anche il nostro equilibrio psico-fisico.
Abbiamo visto l’importanza che assume la nostra postura nelle attività quotidiane e soprattutto nel mantenimento o meno della nostra salute. È chiaro che una funzione così importante del corpo debba essere regolata da meccanismi che siano quanto più precisi possibili. Il nostro cervello utilizza degli informatori, chiamati recettori, sparsi per tutto il corpo, che lo informano istante per istante sulla nostra posizione e sui nostri movimenti. Le informazioni visive provenienti dall’occhio, quelle dell’equilibrio provenienti dall’orecchio interno, quelle propriocettive provenienti dai fusi neuromuscolari e organi tendinei del Golgi, quelle meccaniche provenienti dalla cute e dai piedi, vengono integrate e convogliate al cervello attraverso il midollo spinale. Il cervello, a sua volta, ricevendo questo flusso afferente di informazioni, organizzerà una risposta efferente che andrà a stimolare la muscolatura coinvolta nel mantenimento della postura o nel movimento. I muscoli deputati al controllo posturale vengono detti muscoli statici o anche posturali. Come abbiamo detto, una lunga parte delle nostre giornate viene trascorsa in posture prevalentemente statiche. Stare in piedi per ore o seduti per molto tempo implica l’impiego di una muscolatura che deve lavorare ininterrottamente e senza pause, quindi deve essere necessariamente resistente. È questa la muscolatura definita statica, per differenziarla, invece, da quella dinamica che è soprattutto forte. Dal punto di vista funzionale i muscoli dinamici sono coinvolti massimamente nei movimenti, quelli posturali nella lotta contro la gravità e nel mantenimento della verticalità del corpo. Dal punto di vista anatomico e fisiologico ciò che differenzia un muscolo forte da uno resistente è la tipologia di fibre che lo compone. I nostri muscoli sono costituiti, in misura percentuale diversa, da tre tipologie di fibre, così come descritto in tabella.
Tipologia di fibre | Metabolismo | Contrazione | Resistenza |
---|---|---|---|
Rosse o di tipo I | Ossidativo | Lenta | Molto resistente alla fatica |
Intermedie o di tipo II | Ossidativo e glicolitico | Rapida | Resistente alla fatica |
Bianche o di tipo IIB | Glicolitico | Molto rapida | Sensibili alla fatica |
Le fibre muscolari scheletriche si associano tra loro in unità motorie. Questa strutturazione è fondamentale per il controllo dell’accorciamento muscolare o contrazione. L’unità motoria è costituita dal motoneurone situato nel midollo spinale, dal prolungamento assonale che parte da esso e arriva fino alla fibra muscolare dove, attraverso la giunzione neuromuscolare o placca motrice ed al rilascio del neurotrasmettitore (acetilcolina), porterà l’impulso nervoso per la contrazione.
Le fibre muscolari appartenenti alla medesima unità motoria si contraggono in maniera sincrona, secondo la legge del “tutto o nulla”. Tali meccanismi determinano il tono muscolare, definito anche come tessuto della relazione, che oltre ad essere il fattore cardine della postura è anche alla base dell’espressione delle emozioni e degli atteggiamenti del nostro corpo.
Alla luce delle recenti acquisizioni scientifiche, la maggior parte delle alterazioni morfologiche che si manifestano in età evolutiva, quando non congenite, sarebbero da attribuire non a semplici squilibri muscolari, una conseguenza, ma bensì all’acquisizione di schemi motori errati da parte del soggetto. Per alterazioni morfologiche si intendono delle dissonanze, dei fattori di disturbo, che alterano l’equilibrio statico e dinamico, turbando così anche quello anatomico e funzionale. Possiamo distinguere le alterazioni morfologiche in:
Le turbe psicomotorie fanno riferimento alla mancata o errata strutturazione dello schema corporeo, cui consegue l’incapacità del bambino di riconoscimento e pieno controllo del proprio corpo, del riconoscimento della dominanza laterale, dell’organizzazione spaziale e temporale e dell’organizzazione dinamica di sé. Generalmente si manifestano con un atteggiamento rilassato, mancanza di equilibrio, controllo incerto e maldestro del proprio corpo. I movimenti sono scoordinati, imprecisi, e frequenti le assunzioni di posture scorrette.
Gli atteggiamenti viziati sono da considerare dei vizi estetici dell’adolescenza che alterano la statica e la dinamica del corpo. Si verificano generalmente in soggetti che non hanno conseguito o hanno perduto la capacità di controllo del proprio corpo e sono da reputare fenomeni globali che interessano l’area di regolazione nervosa. L’ errata posizione assunta dal soggetto può causare l’espressione di schemi motori errati e questi a loro volta, l’assunzione di atteggiamenti scorretti. Una mancata o deficitaria strutturazione del sistema centrale dei circuiti di controllo neuromuscolare e delle afferenze recettoriali, è la principale responsabile che determina queste alterazioni.
Il significato etimologico del termine paramorfismo è: aldilà (para) della forma (morfe). Interessanti sono le definizioni date da diverse autori: “Un complesso di abiti morfologici paranormali compresi tra i confini della normalità e della patologia” (Sorrentino); “Modeste alterazioni para-patologiche della forma corporea” (Pivetta); “Deviazioni in cui la colonna si presenta più o meno rigida” (Lesur); “Semplici alterazioni funzionali, senza lesiona strutturale” (Zanoli). I paramorfismi possono venirsi a determinare in seguito a diverse cause predisponenti:
I paramorfismi rappresentano quindi delle alterazioni dell’assetto corporeo che si manifestano, soprattutto, con rigidità e retrazioni delle catene muscolari come conseguenza di un mancato o errato controllo a livello nervoso stabilizzatosi nel tempo. L’evoluzione di un paramorfismo non trattato per tempo può sfociare in un dismorfismo. Nei dismorfismi, oltre la componente muscolare, risulta interessata anche quella scheletrica. Di conseguenza l’alterazione della forma corporea sarà più accentuata e difficile da trattare con metodi incruenti. Mentre i paramorfismi si possono, almeno momentaneamente, correggere con un volontario raddrizzamento della colonna vertebrale e l’allineamento delle spalle e del bacino, i dismorfismi non possono essere corretti neanche con uno sforzo volontario, in quanto la colonna ha ormai una conformazione con curve e deviazioni definite.
Come detto in precedenza, in natura non può esistere la postura perfetta. Esiste invece un modello standard di riferimento con il quale confrontare il proprio atteggiamento posturale. Per postura standard si intende un allineamento scheletrico ideale, tale da comportare una minima quantità di tensione e contrattura, che conduce alla massima efficienza del corpo. Nella postura standard la colonna presenta delle curve nella norma e le ossa degli arti inferiori hanno un allineamento ideale per il sostegno del peso. La posizione neutra del bacino suggerisce il buon allineamento dell’addome, del tronco e degli arti inferiori. Il torace e la regione dorsale si trovano in una posizione che favorisce la funzione ottimale degli organi della respirazione. La testa è eretta in posizione ben equilibrata, in modo che sia permessa la minima tensione a carico dei muscoli del collo. È definito come centro di gravità il punto in cui si concentra la maggior parte del peso del corpo per azione delle forze verticali e parallele che agiscono su di esso. La verticale passante per il centro di gravità è definita come linea di gravità. In un adulto con postura in allineamento corretto il centro di gravità si colloca normalmente in un punto leggermente anteriore al primo o secondo segmento sacrale, all’altezza dell’ombelico. L’azione muscolare risulta essere fondamentale per mantenere inalterato questo delicato equilibrio: nella veduta laterale, i muscoli anteriori e posteriori inseriti sul bacino mantengono un allineamento ideale. Lo stato di tensione o debolezza di un determinato gruppo muscolare può andare a determinare un’alterazione del normale allineamento posturale.
Si noti nell’immagine come a livello del bacino il prevalere di un azione muscolare sull’altra determini un assetto modificato dello stesso. Le alterazioni potranno essere variabili a seconda dei casi esaminati. Ripetendo il concetto già espresso che ognuno di noi possiede una postura univoca, si può associare il nostro personale atteggiamento posturale a degli standard di riferimento. Nella figura sottostante si individuano diversi atteggiamenti posturali che si discostano da quello ideale. Si noti che le diverse posture influenzano la posizione della linea di gravità, spostando il baricentro corporeo, con conseguente sovraccarico in determinate strutture ossee, muscolari e minore equilibrio.
Tutte queste alterazioni possono avere origine congenita oppure essere dovute a carenza di attività fisica o al mantenimento prolungato di posture scorrette. L’iperlordosi consiste in un’accentuazione della curvatura fisiologica della colonna a livello cervicale o lombare. L’iperlordosi lombare è caratterizzata da una convessità profonda della colonna in zona lombare, a causa della quale il soggetto tende a portare i glutei indietro e gli addominali in avanti. Può essere la conseguenza di patologie varie come rachitismo, malattie endocrine o anomalie morfologiche della colonna e/o del bacino. Può anche dipendere da un eccessivo peso corporeo che grava in particolare sull’addome. Generalmente l’iperlordosi è una condizione che interessa in particolar modo il sesso femminile, sia per conformazione ossea che per abitudini culturali. Nell’età dello sviluppo l’eccessiva curva lordotica è spesso correggibile attraverso una semplice attività preventiva. L’iperlordosi cervicale e lombare si può o meno associare ad una ipercifosi toracica.
L’ipercifosi toracica è data da un’ accentuazione della curvatura del tratto dorsale della colonna, tale da determinare un atteggiamento di chiusura del soggetto in corrispondenza della gabbia toracica. Il periodo di maggiore incidenza è quello della pubertà, per indebolimento dei muscoli erettori del tronco cui consegue un’accentuazione della curva fisiologica. Si riscontra spesso anche in soggetti con un atteggiamento psicologico di chiusura e introversione, a dimostrazione del fatto che non si può scindere la psiche dal corpo. Tale atteggiamento influisce anche sulla dinamica respiratoria.
La postura a dorso piatto si riscontra in quei soggetti che presentano una colonna vertebrale con curve ridotte sia a livello toracico che lombare. Il capo appare proteso in avanti per l’eccessiva estensione del tratto cervicale. In questa tipologia di allineamento posturale si riscontra una scarsa mobilità della colonna che diventa difficilmente estendibile. Possono comparire spesso dolori alla bassa schiena dopo periodi di inattività. A livello muscolare si determina un accorciamento e un’eccessiva contrattura degli estensori dell’anca (glutei, ischio-crurali), al contrario i flessori (Ileo-psoas, retto femorale) saranno eccessivamente allungati e ipotonici. Per correggere la postura saranno necessari esercizi in estensione sia in forma attiva che passiva.
La postura sway-back (termine inglese che significa “oscillante”) si caratterizza per la peculiare posizione del bacino che si presenta anteriorizzato e inclinato posteriormente, costringendo l’articolazione dell’anca ad un’estensione forzata. La curva lombare appare più breve rispetto al normale e appiattita nel tratto inferiore, al contrario la curva toracica è più distesa. La testa è spostata in avanti, le gambe e le ginocchia sono iperestese, di conseguenza la linea di gravità è posteriore rispetto al normale. È un atteggiamento parecchio diffuso fra i giovani, nella rieducazione la presa di coscienza posturale gioca un ruolo fondamentale.
La scoliosi è una condizione caratterizzata da deviazione laterale della colonna vertebrale a cui si associa la rotazione dei corpi vertebrali, con conseguente retrazione muscolo-legamentosa. Se non vi è rotazione dei corpi vertebrali si parlerà di atteggiamento scoliotico, che rientra fra i paramorfismi. La maggior parte delle scoliosi ha origine idiopatica ( la causa è sconosciuta), si determina soprattutto in età puberale e di accrescimento osseo, in cui avviene uno squilibrio fra la crescita muscolare e quella scheletrica. A tal proposito tanto prima si presenta una scoliosi tanto maggiore sarà la possibilità di un suo aggravamento con la crescita. Colpisce prevalentemente le femmine rispetto ai maschi (rapporto 4-6:1), probabilmente perché la spinta puberale è nelle donne più rapida che negli uomini.
Le scoliosi si distinguono per gravità ( si misurano in gradi Cobb), sede (dorsale, lombare, dorso lombare, cervico-dorsale), numero di curve (singola o doppia), età di insorgenza (infantile, giovanile, dell’adolescenza). La diagnosi della scoliosi è facilmente eseguibile facendo inclinare il soggetto in avanti ed evidenziando la comparsa del cosiddetto gibbo. A seconda della gravità il trattamento potrà prevedere un’attività motoria generalizzata e specifica nei casi più lievi, fino all’utilizzo di corsetti ortopedici o dell’intervento chirurgico in quelli più gravi. Se non trattata correttamente la scoliosi può determinare anche importanti patologie cardio-respiratorie. La prevenzione e l’utilizzo corretto del proprio corpo in età evolutiva rappresentano le armi più efficaci contro i cattivi atteggiamenti posturali.
Vedi anche https://articoli.nonsolofitness.it/items/scoliosi
Nei soggetti in età evolutiva la maggior parte delle alterazioni posturali rientra nella categoria delle deviazioni fisiologiche causate dallo sviluppo; pertanto è importante considerare che i bambini non devono necessariamente rispondere agli stessi standard posturali degli adulti. Questa precisazione che potrebbe sembrare superflua, in realtà non lo è affatto. Ancora oggi si applicano interventi correttivi senza rispettare i normali ritmi di crescita del soggetto. La correzione eccessiva può condurre a difetti addirittura maggiori di quelli per cui si è iniziato il trattamento. È necessario quindi conoscere come evolve la struttura muscolo-scheletrica del bambini e quali sono i periodi favorevoli allo sviluppo di nuove abilità motorie. Durante tutta l’età evolutiva lo sviluppo strutturale del soggetto non avviene in modo lineare. Si succedono periodi di grande crescita staturale o di proceritas, dove cambiano le forme del nostro corpo ed appaiono nuove funzioni o abilità, alternati a periodi di stasi e di compensazione ponderale, detti di turgor, molto utili per l’assimilazione della nuova situazione, per acquisire la padronanza delle nuove capacità, oltre alla preparazione delle condizioni necessarie per la successiva fase di sviluppo.
Turgor primus | 2-4 anni | Ingrossamento somatico | ... |
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Proceritas primus | 5-7 anni | Allungamento staturale | ... |
Turgor secundus | 8-11 anni | Aumento ponderale | Periodo d’oro della motricità |
Proceritas secundus | 12-14 anni | Notevole incremento staturale | Crisi puberale |
Turgor tertius | 15-18 anni | Recupero ponderale | Adolescenza |
I periodi di proceritas possono essere considerati problematici poiché l’aumento staturale viene a turbare l’equilibrio tra statura e peso del corpo. In questa situazione si crea una discrepanza fra le richieste di una struttura ossea più pesante e l’impossibilità di adattarsi da parte del sistema muscolare e cardiocircolatorio. Si manifesta così una diffusa ipotonia muscolare, tono posturale e funzionale scarso, con possibile insorgenza di atteggiamenti paramorfici come dorso curvo, lordosi, scoliosi, piede piatto, scapole alate e una progressiva perdita di coordinazione motoria. In questa fase così delicata le attività motorie saranno essenziali nel riuscire ad aggiornare lo schema motorio del soggetto, in modo da fornirgli le informazioni necessarie circa le nuove caratteristiche del proprio corpo; al contrario, nei periodi di turgor avviene un riequilibrio fra le stesse strutture, il recupero ponderale e funzionale degli apparati muscolare, respiratorio e cardiocircolatorio rendono questa fase particolarmente sensibile e favorevole per lo sviluppo di nuove abilità motorie.
È chiaro quindi che la maggior parte delle condizioni parapatologiche, che si manifestano in epoca di sviluppo del bambino, tenderanno spesso alla risoluzione spontanea. Il piede di un bambino è normalmente piatto quando assume la stazione eretta ed inizia la deambulazione. Le ossa sono ancora in fase di formazione e la struttura dell’arco plantare è incompleta. Successivamente, con la completa formazione delle ossa e l’irrobustirsi di muscoli e legamenti, ci si potrà aspettare una buona formazione dell’arco, ma non prima dei 6-7 anni. Interventi intempestivi potranno condurre ad una situazione deficitaria.
Mentre alla nascita è fisiologico un varismo delle ginocchia, successivamente sarà considerato normale un certo grado di valgismo. Il difetto, eventualmente, si manifesterà se la distanza intermalleolare a ginocchia unite supera i 5 cm. Il ginocchio valgo dovrebbe comunque migliorare sensibilmente fra i 6-7 anni e scomparire dopo questa età, quando cioè, con il progressivo rinforzo dei legamenti tenderà a ridursi l’iperestensione. A partire dall’infanzia si ha uno squilibrio persistente tra la forza dei muscoli anteriori e quelli posteriori del tronco e del collo. Anche se i muscoli addominali e i flessori del collo non hanno quasi mai una forza equivalente a quella dei rispettivi antagonisti, sono relativamente molto più forti nell’adulto rispetto al bambino. A questo proposito, non ci si dovrebbe mai aspettare che l’atteggiamento posturale di un bambino corrisponda a quello di un adulto, almeno finché non si arrivi vicini alla maturità. È tipico dei bambini avere un addome sporgente. Nella maggioranza dei casi, il profilo della parete addominale cambia gradualmente, ma tra i 10 e i 12 anni si produce un cambiamento considerevole. In questa età il punto vita diventa relativamente più sottile e l’addome non è più sporgente.
La postura della schiena varia in qualche modo con l’età del bambino. Un bambino piccolo può assumere la stazione eretta flettendo leggermente in avanti le anche e allargando i piedi per un migliore equilibrio. I bambini nella prima età scolare sembrano avere la tipica deviazione del dorso superiore in cui le scapole sono piuttosto sporgenti. A partire dai 9 anni sembra esservi una tendenza all’incremento della curva anteriore nella regione lombare o alla lordosi. Tali deviazioni dovrebbero attenuarsi e ridursi con la crescita. È stato dimostrato che il range di movimento normale per la flesso-estensione lombare si riduce con l’aumentare dell’età sia nei bambini che negli adulti. Per bambini piccoli e giovani adulti la capacità di toccare la punta dei piedi con le dita delle mani può essere considerata normale. Tuttavia, molti individui fra 11 e 14 anni di età (come si evince dall’immagine nella pagina successiva) non sono in grado di eseguire il movimento in questione pur non presentando segni di blocco muscolare o articolare. Il motivo sembra risiedere nel fatto che la lunghezza proporzionale del tronco e degli arti inferiori è diversa in questa fascia d’età rispetto a soggetti più giovani o più anziani.
Da queste considerazioni capiamo l’importanza di sviluppare una buona motricità in età giovanile, cosa che purtroppo avviene sempre più di rado nella quotidianità delle metropoli. Molto spesso i bambini trascorrono intere giornate fra computer, videogiochi e televisione. Nella migliore delle ipotesi studiano e stanno seduti per ore. I genitori, dal canto loro, sempre più stressati dai ritmi che la modernità ci impone, si accontentano di vedere il proprio figlio tranquillo a guardare un cartone animato piuttosto che, magari, portarlo fuori a giocare al parco. Si arriva ad avere, dunque, una motricità povera di quelle strategie di recupero verso l’imprevisto, ed è così che eccedere nella protezione dei bambini si può trasformare, spesso per loro, in una carenza nel bagaglio di motricità. Per i bambini l’imperativo da parte dei genitori e insegnanti dovrebbe sempre essere «muoviti più che puoi» e mai «stai fermo!», come troppo spesso avviene. Questo ragionamento sarà particolarmente rimarcato nel capitolo dedicato alla prevenzione.
Frequentemente bistrattato, nascosto, maltrattato, il piede è in realtà un organo meraviglioso, uno straordinario esempio di architettura e ingegneria biologica, nonché elemento distintivo della specie umana. Spesso il piede viene considerato solo ed esclusivamente nella sua funzione meccanica, essendo il principale organo coinvolto nella locomozione e nel mantenimento della stazione eretta. In realtà esso è anche uno straordinario recettore e informatore del cervello. Il suo contatto con il terreno rappresenta il costante interfaccia fra noi e l’ambiente. Grazie a queste sue caratteristiche il piede si comporta come una piattaforma stabilometrica, in quanto è in grado di fornire informazioni sulle oscillazioni dell’intera massa corporea. L’antico detto “tu ragioni con i piedi”, utilizzato per evidenziare un ragionamento incoerente, non ha più motivo di esistere. Possiamo immaginare il piede come un instancabile lavoratore, deputato a sostenere tutto il peso del corpo, capace di rilasciarsi e poi irrigidirsi per permettere il cammino e l’adattamento al terreno, una sorta di ammortizzatore biologico. Paparella Treccia ha associato la struttura del piede ad un’elica, che si avvolge e si svolge per compiere la sua azione propulsiva e dinamica. Allo stesso tempo il piede è sopraffino scienziato nella sua funzione sensitiva, capace di raccogliere informazioni spaziali, termiche, tattili e traumatiche per poi trasferirle al cervello. Da questa sua intrinseca complessità e importanza capiamo la necessità di trattare il piede nella maniera migliore. Avere cura dei propri piedi non significa soltanto ricordarsi di lavarli di tanto in tanto, tagliare le unghie e scegliere la scarpa più bella. Dal piede e dal suo appoggio dipende la posizione di tutte le strutture sovra-podaliche, per cui un cattivo appoggio plantare si tradurrà sicuramente in una cattiva postura di tutto il corpo. Ecco perché diventa fondamentale conoscere sia la struttura che l’evoluzione del piede con la crescita.
Il piede si compone di 26 ossa (28 con le ossa sesamoidi costanti del piede), 33 articolazioni e 20 muscoli. La particolare disposizione ossea permette di suddividere il piede in 3 parti:
In condizioni normali la pianta del piede non poggia completamente sul terreno ma si alza nella volta plantare. Tale volta risulta costituita da tre archi, detti archi plantari, che presentano tre punti di appoggio in corrispondenza della prima testa metatarsale (A), della quinta testa metatarsale (B) e della tuberosità posteriore del calcagno (C). L’arco che si estende da C a B viene definito arco esterno o laterale. Da B ad A si trova l’arco trasverso o anteriore. Mentre da C ad A si estende l’arco interno o mediale, il più lungo e alto oltre che il più importante dal punto di vista statico e dinamico. Tale particolare conformazione è deputata a trasformare le spinte verticali che si scaricano sul piede in spinte laterali per meglio essere distribuite sulla pianta d’appoggio. Al piede spetta dunque un’indispensabile azione ammortizzatrice.
La curvatura e l’orientamento della volta plantare dipendono da un equilibrio estremamente delicato fra le diverse azioni muscolari e la struttura scheletrica e legamentosa. Quando queste sinergie si rompono, vuoi per una predisposizione congenita, un trauma o un cattivo utilizzo del piede, si determinano quelle che rientrano fra le alterazioni comuni del piede: il piede piatto e il piede cavo.
In breve diremo che il piede piatto rappresenta quell’alterazione del piede in cui si ha una riduzione dell’arco plantare con conseguente aumento della superficie d’appoggio della pianta del piede. In base alla gravità e all’evoluzione, il piede piatto si distingue in vari gradi. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in precedenza il piede del bambino è normalmente piatto alla nascita, poiché le sue strutture di sostegno sono ancora in fase di formazione. Gli stimoli esterni che progressivamente il bambino fornirà al piede con la crescita, prima gattonando, poi stando in piedi, camminando e correndo, contribuiranno in maniera determinante alla buona formazione dell’arco plantare.
Esistono pareri discordanti circa l’utilizzo o meno di ortesi plantari per favorire la corretta formazione dell’arco. In linea generale bisogna ricordare che nella maggior parte dei casi il piede piatto nel bambino tende normalmente alla risoluzione spontanea senza determinare conseguenze nell’età adulta. Di aiuto possono essere semplici esercizi come:
Incoraggiare il bambino a muoversi quanto più possibile, saltare, correre, giocare rappresenta sempre la terapia più efficace e “sopportata” dal bambino. Nel caso in cui il piattismo persista anche dopo i 10 anni si può prendere in considerazione l’utilizzo di un plantare, se vi è dolore localizzato al piede e irradiato alla gamba, che impedisca, per esempio, lo svolgimento di attività sportive, oppure l’intervento chirurgico. Il piede cavo può essere considerata l’alterazione opposta al piede piatto, poiché si ha un aumento dell’arco plantare. L’area di appoggio del piede è limitata al calcagno e alla parte anteriore del piede, con conseguente sovraccarico in queste zone e minore equilibrio. Più frequente nel sesso femminile che maschile, il piede cavo è una condizione che può essere presente alla nascita (congenito) oppure può essere acquisito successivamente, soprattutto in seguito a patologie di origine neurologica (paralisi spastiche, spina bifida ecc.) con conseguente squilibrio muscolare, o avere eziologia ignota (piede cavo idiopatico).
In quest’ultimo caso si riscontra soprattutto in quei soggetti che per motivi professionali o estetici indossano abitualmente calzature troppo strette e rigide o con tacco troppo alto. Così come il piede piatto, anche il piede cavo evolve e si distingue in gradi. A seconda dell’eziologia, della gravità e dell’età del paziente si ricorrerà a un trattamento conservativo di fisiochinesiterapia, ortesico plantare o chirurgico. Nel trattamento fisiochinesiterapico, oltre alle manipolazioni, saranno utili esercizi di allungamento per la muscolatura posteriore della gamba, spesso contratta, come spingere avanti e indietro l’avampiede sullo spigolo di un gradino o camminare all’indietro su un piano rialzato. Spesso i genitori sono preoccupati dal modo di camminare del proprio bambino, sono frequenti le visite dal pediatra o dall’ortopedico perché “il bambino poggia male il piede”.
Soprattutto dopo i primi passi è impossibile che il bambino raggiunga un livello di standardizzazione della camminata simile agli adulti. È necessario rispettare i suoi tempi di crescita con le relative difficoltà, comprese di cadute. Frequentemente l’attenzione dei genitori si sofferma sul retropiede del bambino perché pensano sia troppo inclinato rispetto al normale. Come abbiamo avuto modo di sottolineare, essendo generalmente il piede del bambino piatto, il retropiede si presenta con un’angolatura in valgismo più accentuata rispetto al normale. Tale condizione tenderà all’autocorrezione con la crescita.
Sottolineiamo anche come sia fisiologico che durante la marcia i piedi non si pongano parallelamente fra loro, ma leggermente aperti. Fra l’asse di ciascun piede e la linea di marcia si viene a formare un angolo di circa 15-18°. Elenchiamo i difetti di deambulazione più comuni nell’infanzia e che portano più frequentemente a visita ortopedica.
L'articolo descrive l'evoluzione dell'apparato locomotore umano, dall'acquisizione della postura eretta all'adattamento alla nuova situazione gravitaria con la verticalizzazione della colonna vertebrale. Spiega come la colonna vertebrale, il bacino, il piede e gli arti superiori si siano modificati nel corso della storia per consentire all'uomo di camminare in posizione eretta e utilizzare le mani per manipolare oggetti.
L'articolo illustra come lo sviluppo motorio e cognitivo siano strettamente interconnessi e si influenzino a vicenda. Descrive le fasi dello sviluppo motorio, come il bambino passa dai movimenti riflessi a quelli volontari, e come acquisisce abilità come la prensione, la manipolazione e la deambulazione. Inoltre, spiega le tappe dello sviluppo cognitivo secondo Piaget, da quello senso-motorio a quello delle operazioni formali, e come il bambino costruisce il suo schema corporeo attraverso l'esperienza e l'interazione con l'ambiente.
L'articolo definisce la postura come lo stato di equilibrio muscolare e scheletrico che protegge il corpo da lesioni e deformità. Spiega come una buona postura sia fondamentale per la salute della colonna vertebrale e degli altri apparati, come quello respiratorio. Descrive inoltre i meccanismi che regolano la postura, come il cervello riceve informazioni dai recettori sensoriali e coordina la risposta muscolare per mantenere l'equilibrio. Infine, illustra le diverse tipologie di alterazioni posturali, come iperlordosi, ipercifosi, scoliosi e paramorfismi, e le loro possibili cause.
L'articolo classifica le alterazioni morfologiche in turbe psicomotorie, atteggiamenti viziati, paramorfismi e dismorfismi. Descrive le caratteristiche di ciascuna categoria e spiega come queste alterazioni possano influenzare lo sviluppo del bambino. Sottolinea l'importanza di distinguere tra deviazioni fisiologiche, tipiche dell'età evolutiva, e vere e proprie patologie, per evitare interventi correttivi intempestivi o eccessivi.
L'articolo descrive l'anatomia e la funzione del piede, evidenziando la sua importanza come organo di sostegno, locomozione e fonte di informazioni sensoriali. Spiega come la volta plantare si sviluppi durante la crescita e come le alterazioni più comuni, come il piede piatto e il piede cavo, tendano spesso alla risoluzione spontanea. Infine, fornisce consigli su come favorire il corretto sviluppo del piede nel bambino e su quando è necessario rivolgersi a uno specialista.
Comprendere l'evoluzione posturale è fondamentale per prevenire e correggere i disturbi che possono insorgere nel corso della vita. Durante le diverse fasi di crescita, il corpo subisce cambiamenti significativi, influenzati da fattori genetici, ambientali e comportamentali.
Il processo di sviluppo posturale inizia nell'infanzia e si evolve fino all'età adulta, con periodi critici in cui è più suscettibile a modifiche. Nell'infanzia, le curve della colonna vertebrale si formano progressivamente, mentre nell'adolescenza le alterazioni posturali possono intensificarsi a causa della crescita rapida. Nell'età adulta, lo stile di vita e le attività quotidiane giocano un ruolo cruciale nella salute della postura. Infine, nell'anziano, la postura è influenzata dal declino muscolare e dalle problematiche degenerative.
Interventi mirati e una corretta educazione posturale sono essenziali per promuovere il benessere e ridurre il rischio di disturbi cronici.