È risaputo che per ogni genitore il proprio figlio sia unico, insostituibile, speciale. Ciò ovviamente è perfettamente normale, sarebbe piuttosto strano il contrario. Il genitore prova piacere nel vedere il proprio figlio crescere e raggiungere i suoi piccoli traguardi quotidiani, i primi sorrisi, le prime parole, stare in piedi da solo, imparare a camminare, rappresentano tutte delle tappe di sviluppo che inorgogliscono i genitori man mano che il bambino le raggiunge. Successivamente le soddisfazioni maggiori che un bambino potrà dare ai propri genitori derivano soprattutto dai risultati scolastici. Un bambino che torna a casa dopo la scuola con un bel voto sarà sicuramente più gratificato rispetto a uno che invece non ha fatto i compiti. Questo discorso vale anche per le attività sportive. Nel corso di questo capitolo ci occuperemo specificatamente del rapporto fra genitori e figli all’interno della competizione sportiva. Troppo spesso i genitori riempiono i figli di aspettative in questo ambito, cosicché lo sport che dovrebbe rappresentare per i più giovani un momento di divertimento, socializzazione e crescita diventa spesso una vera e propria ossessione. Avremo modo di definire quali sono le principali capacità e abilità da sviluppare nei più giovani seguendo il loro fisiologico sviluppo, le cosiddette fasi sensibili, a cosa può portare invece la precoce specializzazione in ambito sportivo. Per ultimo forniremo delle proposte operative per l’allenamento dei più giovani. Capiremo quindi che lo sport ha un’inestimabile valore formativo, educativo e sociale in questa fascia d’età ma solo se proposto nella maniera giusta.
Come sostenuto anche dall’UNICEF lo sport è un elemento fondamentale per il sano sviluppo dei bambini, tanto da esser stato riconosciuto dalle Nazioni Unite come un diritto fondamentale. Secondo l’art. 31 della Convenzione sui diritti dell’infanzia, “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica [...]”. Sebbene in tale articolo non venga citato lo sport, la dottrina ha specificato successivamente che le parole riposo, svago, gioco e attività ricreative, benché sembrino apparentemente sinonimi, implicano differenze sostanziali. Riposo sottintende la necessità di rilassarsi mentalmente e fisicamente, nonché di dormire.
Svago è un termine dal significato più ampio, che fa riferimento al tempo libero ed alla libertà di fare ciò che uno più desidera. Attività ricreative abbraccia la vasta gamma di azioni svolte per libera scelta, il cui scopo è il piacere e il divertimento: lo sport, le arti creative, i passatempi di carattere scientifico, tecnico, artigianale, agricolo. Gioco include tutte le attività dei bambini che non sono controllate dagli adulti e che non richiedono il rispetto di regole precise. Anche in Italia l’UNICEF si impegna a promuovere una vita sana, fondata sulla salute fisica, mentale e psicologica dei bambini e degli adolescenti, grazie a sport, svago e attività ricreative. Lo sport fa bene, e non solo al fisico. L’attività fisica regolare apporta innumerevoli benefici al corpo e alla mente:
Attraverso lo sport, il divertimento e il gioco i bambini e gli adolescenti imparano alcuni dei valori più importanti della vita. Come dichiarato dal Direttore esecutivo dell’UNICEF Ann Veneman, l’attività fisica promuove non violenza, tolleranza e pace. Lo sport insegna importanti valori quali amicizia, solidarietà, lealtà, lavoro di squadra, autodisciplina, autostima, fiducia in sé e negli altri, rispetto degli altri, modestia, comunicazione, leadership, capacità di affrontare i problemi, ma anche interdipendenza. Tutti principi, questi, alla base dello sviluppo. Oltre ad avere un ruolo fondamentale nel trasformare i bambini in adulti responsabili e premurosi, lo sport riunisce i giovani, li aiuta ad affrontare le sfide quotidiane e a superare le differenze culturali, linguistiche, religiose, sociali, ideologiche. Lo sport è un linguaggio universale in grado di colmare i divari e di promuovere i valori fondamentali indispensabili per una pace duratura. È un mezzo straordinario per allentare la tensione e favorire il dialogo. Sul campo di gioco le differenze culturali e le priorità politiche scompaiono. I bambini che praticano sport capiscono che si può interagire senza coercizione o sfruttamento.
Quando parliamo nello specifico di attività sportive ci riferiamo ad attività così dette strutturate o organizzate. Per organizzate vanno intese quelle attività caratterizzate da struttura, supervisione degli adulti ed enfasi sullo sviluppo di abilità. Queste attività sono generalmente contraddistinte da orari e incontri settimanali programmati, possono coinvolgere numerosi partecipanti, offrono supervisione e guida da parte degli adulti e sono organizzate per favorire l’apprendimento di abilità specifiche ed il raggiungimento di obiettivi. Tali attività ovviamente vanno distinte da altre come il giocare per strada con bambini della stessa età, guardare la televisione o ascoltare musica definite invece come attività non strutturate. Diverse ricerche hanno dimostrato come esistano delle correlazioni positive fra la partecipazione di bambini e adolescenti ad attività di tipo organizzato, che non comprendano solo attività sportive ma anche altre extrascolastiche, e l’incremento dei risultati scolastici con minori casi di abbandono, di delinquenza in età giovanile e dell’uso di alcol e droghe. Allo stesso tempo la frequenza di queste attività permette un miglior adattamento psicosociale in diversi ambiti, migliorano il senso di efficacia ed autostima e sono collegate invece a bassi livelli di emozioni negative come l’umore depresso e l’ansia nel corso dell’adolescenza. Lo sport sembra stimolare bambini e adolescenti a controllare e disciplinare le loro azioni su livelli psicologici e sociali diversi. Per cui si impegnano più duramente per raggiungere i loro obiettivi, controllano meglio le loro frustrazioni e imparano a lavorare per il bene del gruppo. Durante la pratica sportiva molti giovani dichiarano di provare la cosiddetta flow experience, cioè uno stato psicologico di massima positività e gratificazione che deriva dall’attività, tale da determinare una completa “immersione nel compito”, alterata percezione dello scorrere del tempo e assenza di auto-osservazione giudicante.
Tuttavia sarebbe impensabile credere che tali apprendimenti e adattamenti positivi si verifichino automaticamente semplicemente praticando un’attività sportiva. La strutturazione delle attività da parte degli adulti coinvolti in questo processo è fondamentale nel trasmettere valori positivi attraverso lo sport. Purtroppo oggi avviene spesso l’esatto opposto. Allenatori e genitori riempiono frequentemente i bambini di aspettative nella pratica sportiva cosicché la stessa, da fonte di piacere quale dovrebbe essere, si trasforma in una possibile situazione di ansia e delusione nella sconfitta. Numerosi studi hanno riscontrato che i bambini che percepiscono un maggior numero di interazioni positive, sostegno, incoraggiamento e meno pressione da parte dei genitori provano maggiore piacere nelle attività sportive, manifestano una maggiore propensione alla sfida ed esprimono maggiore motivazione intrinseca rispetto agli altri bambini. Altre ricerche si sono concentrate invece sul rapporto che collega i genitori ad esperienze negative nello sport con il fenomeno del drop-out sportivo ossia dell’abbandono dello sport praticato, fenomeno che avviene sempre più durante l’adolescenza. Oggi la psicologia dello sport si sta concentrando su questo fenomeno per cercare di comprendere le ragioni che spingono i giovani ad abbandonare lo sport. I motivi sembrano essere molteplici. L’agonismo esasperato fin da giovanissimi e la ricerca del risultato a tutti i costi da parte dell’allenatore. L’illusione preclusa di divenire dei campioni. Nuovi interessi oppure le esigenze di studio. Genitori e ambiente esterno troppo esigenti e pressanti. Il venire meno di divertimento e motivazioni. All’origine dell’abbandono, quindi, non un’unica causa, ma più elementi spesso concomitanti fra loro tali da convincere il giovane a credere che sia meglio lasciar perdere.
Fattori di motivazione | |
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Acquisizione di competenza | Problemi con l’allenatore e compagni |
Affiliazione | Eccesso di competizione |
Forma fisica | Noia |
Divertimento | Infortuni |
Altri interessi | |
Altre attività | |
Lavoro |
Dalla tabella emergono chiaramente l’importanza delle motivazioni che spingono a praticare uno sport e come il loro venir meno determini l’abbandono dello stesso. L’allenatore ha quindi un compito fondamentale che è quello di mantenere sempre alto l’interesse per la disciplina da parte degli atleti, non arrecando invece stress e noia. A tal proposito il suo interesse dovrebbe sempre essere concentrato sulla ricerca di piacere e divertimento da parte degli atleti, sul coinvolgimento di tutti e sullo spirito di gruppo, sull’enfatizzare la prestazione positiva e non la ricerca ossessiva del risultato. Sono tutte componenti che possono sembrare secondarie ma che in realtà fanno sentire bambini e ragazzi veramente partecipi dello sport che stanno praticando. Small e Smith parlano addirittura di una filosofia strategica che l’allenatore dovrebbe attuare con lo scopo di ridurre il più possibile le condizioni di disagio che possono condurre ad un abbandono precoce. Alcune di queste strategie sono:
Gli allenamenti devono essere soprattutto divertenti e stimolanti, didatticamente validi, con obiettivi legati all’età e al livello di maturazione di ciascuno. L’allenatore non deve essere un leader autoritario, ma autorevole, non deve essere troppo permissivo, ma empatico, motivatore, stimolatore, entusiasta. Deve potere instaurare con i ragazzi un dialogo sincero e creare un clima di gruppo positivo, in cui si respiri aria di collaborazione, fiducia, sostegno e stima reciproca. Il rapporto fra genitore e allenatore è ugualmente importante. Spesso i genitori tendono a sostituirsi all’allenatore, criticandolo apertamente all’interno delle mura domestiche o peggio sul campo di gioco. Il ragazzo ovviamente viene influenzato da queste critiche, per cui l’allenatore perde ai suoi occhi stima e autorità. Già dopo la scuola primaria, infatti, i bambini italiani cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa e ad ingrossare le fila dei sedentari. E se finora l’età spartiacque era quella tra i 14 e i 15 anni, nell’ultimo anno si è osservato che il trend negativo comincia già a 11 anni. Infatti tra il 2011 e il 2012 la quota di praticanti continuativi è diminuita persino nella fascia d’età 11-14 anni, passando dal 56% al 53,4%. Percentuale che tra i 15 e i 17 anni diventa del 48,5% e si assesta 14 punti percentuali sotto, al 34,7%, tra i 18 e i 19 anni. Una parabola discendente al crescere dell’età.
Motivi di abbandono | Calcio | Volley | Nuoto | Ginnastica |
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Lontananza dagli impianti | 13.4 | 7.1 | 6.3 | 12.7 |
Genitori contrari | 22.0 | 21.4 | 10.4 | 12.7 |
Impegni di studio | 54.3 | 58.2 | 47.9 | 54.9 |
Istruttori esigenti | 17.3 | 9.2 | 8.3 | 12.7 |
Strutture scadenti | 5.5 | 5.1 | 13.5 | 18.3 |
Non seguiti istruttore | 11.8 | 20.4 | 16.7 | 14.1 |
Mancata socializzazione | 16.5 | 14.3 | 14.6 | 16.9 |
Troppa fatica | 22.8 | 20.4 | 25.0 | 18.3 |
Costa troppo | 8.7 | 6.1 | 10.4 | 8.5 |
Non riescono a competere | 6.3 | 11.2 | 10.4 | 11.3 |
Non v’è dubbio che nel divorzio tra adolescenti e sport un ruolo ce l’abbiano le nuove tecnologie. Come ha messo in luce l’indagine SIP Abitudini e stili di vita degli adolescenti 2012 i teenagers trascorrono da tre a quattro ore al giorno davanti a uno schermo: tv, computer o smartphone che sia. Ma questo non basta a spiegare perché il tasso di sedentarietà degli adolescenti italiani sia più che triplo rispetto a quello dei loro coetanei europei (24,6% contro 7% nella fascia di età 15-24 anni), i quali non sono da meno dei ragazzi italiani nell’uso di tecnologie digitali, né per abilità né per tempo trascorso. Studi svolti in alcune città italiane hanno evidenziato due principali motivi di abbandono che confermano quanto evidenziato in tabella, uno legato all’eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5%) e l’altro riconducibile alle modalità di svolgimento dell’attività fisica perché “fare sport è venuto a noia” (65,4%), “costa troppa fatica” (24,4%), e gli “istruttori sono troppo esigenti” (19,4%). Spesso sono gli stessi genitori che come punizione per i cattivi risultati scolastici impongono al figlio di abbandonare la pratica sportiva ritenendo che possa essere una distrazione per il raggiungimento degli obiettivi scolastici. Riteniamo ovviamente tale valutazione totalmente errata. Costringere un ragazzo all’abbandono della pratica sportiva che per lui è fonte di piacere non lo avvicinerà di certo allo studio, semmai il contrario. Anche gli insegnanti devono rendersi conto che quando assegnano i compiti per casa, trattandosi di soggetti in fase di formazione, costringere i bambini a stare per ore piegati sui libri non è proprio l’ideale. In questa età si ha il pieno diritto di avere il tempo per potersi dedicare ad altre attività che non siano per forza inerenti con la scuola. I più volenterosi avranno tempo e modo di “spaccarsi” la schiena sui libri una volta raggiunta l’Università. C’è tempo per ogni cosa. Di seguito vengono proposti dei suggerimenti del Dott. Aldo Grauso, esperto in psicologia evolutiva, per avviare e seguire correttamente il proprio figlio nella pratica sportiva.
Abbiamo precedentemente sottolineato l’importanza dello sviluppo di una corretta motricità in età giovanile. Per comprenderne a pieno il ruolo non si può sfuggire dal conoscere quelli che sono i concetti di capacità e abilità motoria. Le capacità motorie rappresentano i prerequisiti strutturali e funzionali per lo svolgimento di un compito motorio e per lo sviluppo di abilità, intese come la capacità dell’individuo di automatizzare un gesto motorio in seguito ad un processo di apprendimento. Possiamo immaginare le capacità, in parte determinate geneticamente, come una sorta di contenitore. Più il nostro contenitore sarà grande più avremo modo di riempirlo di liquido, ovvero le nostre abilità.
Le capacità si dividono a loro volta in: condizionali e coordinative. Le capacità condizionali sono date dall’ insieme delle caratteristiche biochimiche e morfologiche che contraddistinguono le potenzialità fisiche di un individuo, i suoi prerequisiti strutturali. Ne fanno parte la forza, la velocità e la resistenza. Le capacità coordinative sono deputate al controllo del movimento, all’ergonomia e alla precisione dello stesso. Implicano l’intervento del sistema nervoso e sono prerequisiti funzionali all’esecuzione. Le capacità coordinative sono molteplici, si dividono in generali (capacità di apprendimento motorio, di controllo, di adattamento e trasformazione dei movimenti) e speciali (capacità di destrezza, di equilibrio, di fantasia motoria, ecc.). A metà fra le capacità condizionali e coordinative si colloca la mobilità articolare, definibile come la capacità di eseguire i movimenti in maniera coordinata e con la massima escursione articolare5, tale da coinvolgere quindi sia i prerequisiti strutturali che quelli funzionali.
La divisione delle capacità in due gruppi ha lo scopo di semplificare i concetti e rendere più facile l’organizzazione dell’allenamento. All’atto pratico capacità condizionali e coordinative sono inscindibili e si influenzano vicendevolmente nella prestazione sportiva. Il livello delle capacità coordinative determina il grado di utilizzazione delle potenzialità condizionali, ma una buona “condizione” è un presupposto indispensabile per la formazione e l’espressione coordinativa. L’azione allenante deve pertanto concentrarsi su entrambi i fattori, anche se con intensità e modalità diverse, e soprattutto variabili, in relazione ad età, livello motorio ed esigenze della disciplina praticata.
Con le nostre esperienze di movimento sviluppiamo fin dalla nascita abilità motorie via via sempre più complesse attraverso un processo di apprendimento. L’esecutore abile si caratterizza per la “capacità di ottenere un risultato finale con la massima sicurezza e il minimo dispendio di energie” ( E.R. Guthrie). “Al contempo quante più abilità motorie si apprendono, tanto più si sviluppano le nostre capacità. Siamo di fronte al circolo virtuoso della motricità” (Pierluigi De Pascalis). Nel prossimo paragrafo capiremo che per sviluppare nel migliore dei modi la motricità nei bambini vi sono dei periodi favorevoli per l’allenamento delle capacità e delle abilità, le cosiddette fasi sensibili.
Quando si parla di allenamento in età giovanile bisognerebbe tener presente gli obiettivi ed i risultati che si vogliono raggiungere. Soprattutto in questa fascia d’età la ricerca ossessiva della prestazione agonistica perfetta non solo è sbagliata ma anche controproducente. L’allenamento giovanile dovrebbe caratterizzarsi invece di attività ludico-sportive in grado di favorire lo sviluppo armonioso del soggetto in formazione nelle sue varie componenti, fisiche, cognitive e sociali. Parlando di fasi sensibili dell’allenamento giovanile ci si riferisce a quegli aspetti motori che godono di particolari benefici se allenati in una determinata fascia d’età. Ciò significa che una data capacità, ad esempio la forza, avrà una fase sensibile dove godrà dei migliori margini di miglioramento se allenata in quell’arco temporale. La conoscenza approfondita di queste fasi permette all’istruttore qualificato di dosare nella maniera migliore i carichi di lavoro, di ottimizzare i tempi ed ottenere i risultati maggiori con il minimo sforzo. Allo stesso tempo bambini e ragazzi saranno gratificati nel notare i miglioramenti ottenuti e non subiranno le conseguenze dannose che spesso accadono quando gli allenatori non rispettano i loro naturali ritmi di crescita.
Nel periodo che va dalla tarda infanzia fino alla fanciullezza (3/8 anni), essendo il sistema nervoso particolarmente plasmabile e recettivo, è consigliabile l’allenamento e lo sviluppo delle capacità coordinative. L’allenamento delle capacità coordinative rappresenta un presupposto fondamentale per il successivo perfezionamento tecnico nella disciplina. I prerequisiti necessari per l’allenamento di queste capacità riguardano i principi di multilateralità, ossia di estrema varietà dell’esperienza motoria, e di gradualità, dal facile al difficile. Le esperienze motorie saranno quanto più varie possibili: correre, saltare, strisciare, rotolare, lanciare e afferrare oggetti, stare in equilibrio ecc. Lo sviluppo delle capacità coordinative in questa fase consente una buona strutturazione dello schema corporeo, base indispensabile su cui poi costruire un ampio numero di abilità motorie. L’allenamento delle capacità coordinative deve procedere per tutta la fanciullezza (10-11 anni) concentrandosi sullo sviluppo degli schemi motori di base e sulle capacità senso percettive. In una fase successiva (12-14 anni) si passerà a un miglioramento generale degli aspetti coordinativi legati allo sport scelto. Con l’entrata in pubertà, la spinta di crescita in lunghezza e il cambiamento delle proporzioni corporee possono determinare un decadimento generale della prestazione coordinativa. Ciò si riscontra però soprattutto in soggetti sedentari, invece i ragazzi abituati a muoversi regolarmente hanno un continuo adattamento delle strutture predisposte al controllo di queste capacità, riuscendo a mantenere un buon controllo. Oltre allo sviluppo delle capacità coordinative è consigliabile in questa fase allenare anche la rapidità, sempre sotto forma ludica. È dimostrato che la velocità di contrazione di un muscolo nell’uomo dipende dalla percentuale di fibre a contrazione rapida (bianche o di tipo 2) di cui è composto. I bambini posseggono una quantità di fibre intermedie in misura percentuale maggiore rispetto agli adulti. Tali fibre, se sottoposte a specifici stimoli allenanti, hanno la capacità di trasformarsi in fibre rapide, aumentando così la capacità di rapidità del bambino anche nelle età successive. L’età infantile corrisponde anche al periodo migliore per l’allenamento della mobilità articolare. In seguito, soprattutto con la spinta puberale e la variazione delle proporzioni corporee, la stessa capacità sarà difficilmente migliorabile, per questo è importante allenarla quanto prima e successivamente mantenere i livelli raggiunti.
L’allenamento delle grandi capacità organiche (forza e resistenza) deve procedere di pari passo a quello delle capacità coordinative durante tutta la prima età scolare senza tuttavia porre particolare accento su di esse. Nei fanciulli la massima allenabilità di queste capacità si trova soprattutto nei periodi di crescita accelerata, quindi in particolar modo durante la pubertà. Per quanto riguarda la resistenza, in questa fase esiste una relazione favorevole fra peso corporeo/peso cardiaco tale da rendere i soggetti particolarmente resistenti al carico. Durante la seconda età puberale e nell’adolescenza aumenta notevolmente anche la capacità anaerobica di prestazione per cui l’allenamento della resistenza si può avvicinare sempre più a quello dell’età adulta. Un allenamento mirato allo sviluppo della forza va diversificato a seconda dell’età, non solo cronologica, ma anche biologica. Nella prima età puberale (11-13 ragazze, 12-14 ragazzi) troviamo un’accentuata crescita in lunghezza che provoca, come detto, una disarmonia nelle proporzioni del corpo. In questa fase i muscoli si trovano a lavorare in una condizione di leva sfavorevole per esprimere il loro pieno potenziale. Particolare attenzione andrà posta allo sviluppo della forza rapida, limitando l’utilizzo di sovraccarichi. Nell’adolescenza troviamo la cosiddetta crescita in larghezza, per cui le proporzioni del corpo diventano nuovamente armoniche e contemporaneamente si ha un incremento, soprattutto nei maschi, del testosterone. Questa età è quindi la migliore per lo sviluppo e l’allenamento della forza. Grazie al contemporaneo sviluppo e alla stabilizzazione della componente scheletrica, in questa età si potranno utilizzare metodiche che prevedano sempre più l’utilizzo di sovraccarichi.
Per quanto riguarda lo sviluppo specifico delle abilità tecniche della disciplina, sino agli 8 anni tutte le attività di tipo motorio dovranno essere svolte sempre in forma ludica. Successivamente, verosimilmente intorno agli 11 anni, si comincerà ad approfondire lo sviluppo formativo di base della disciplina in maniera multilaterale, evitando specializzazioni precoci. Dai 12 ai 14 anni il tempo sarà diviso in maniera pressoché paritaria fra lo sviluppo tecnico e quello fisico generale. Solo dopo i 14 anni sarebbe bene introdurre l’atleta a un allenamento specialistico della disciplina. La tabella rappresenta un quadro riassuntivo delle fasi sensibili dell’allenamento. Nel valutare quando e come proporre un determinato stimolo allenante bisogna tenere in grandissima considerazione, a maggior ragione con i più giovani, l’età biologica del soggetto. Soprattutto il periodo adolescenziale è delicato in tal senso: alcuni ragazzi hanno un ritmo di crescita molto più rapido rispetto ad altri, così come spesso c’è chi dimostra un minor numero di anni rispetto a quelli che effettivamente possiede. Se si vuole effettivamente agire sfruttando le fasi sensibili bisogna tener conto anche di questo aspetto. Nel prossimo paragrafo ci dedicheremo specificatamente ad analizzare metodi e contenuti dell’allenamento nelle fasce d’età più giovani.
I metodi e i contenuti dell’allenamento in età giovanile devono necessariamente discostarsi da quelli previsti per l’allenamento degli adulti. Parlando di capacità motorie abbiamo fatto una suddivisione in condizionali e coordinative. All’interno di queste categorie è possibile individuare diverse capacità, ognuna delle quali va stimolata con metodi di allenamento adeguati per fascia d’età.
Possiamo definire la forza come la capacità di opporsi a ogni tipo di resistenza. In particolare, la forza muscolare è la capacità che hanno i nostri muscoli di sviluppare tensioni attraverso la contrazione. La forza può ulteriormente essere divisa in forma massimale, forza resistente e forza rapida. Un allenamento adeguato della forza nelle fasce d’età più giovani può essere eseguito sia come misura preventiva delle alterazioni posturali che per incrementare la capacità di prestazione motoria.
Come avremo modo di sottolineare marcatamente nella parte dedicata alla specializzazione precoce nelle attività sportive, l’allenamento della forza dovrebbe essere eseguito sempre in maniera multilaterale, andando a stimolare il corpo nel suo insieme. “Molti bambini e adolescenti, spesso non realizzano le proprie capacità potenziali di prestazione sportiva solo perché gli stimoli di sviluppo del loro apparato motorio e di sostegno, applicati durante i processi di crescita, sono stati insufficienti o eccessivamente unilaterali” (J. Weinek). Seguendo un ipotetico iter ideale per l’allenamento della forza, anche qui valutando quella che è l’età biologica del soggetto, diremo che in età prescolare non serve un allenamento mirato della forza in senso stretto, piuttosto si deve assecondare il naturale desiderio di movimento dei bambini, guidandoli verso uno sviluppo multilaterale dell’apparato locomotore in modo da fornire adeguati stimoli per la crescita ossea e lo sviluppo della muscolatura. Tutte le attività che prevedano correre, strisciare, arrampicarsi, rotolare ecc. saranno le più indicate. A partire dalla prima età scolare (6-10 anni) si può prevedere un irrobustimento dell’apparato di sostegno realizzato in forma ludica. L’accento andrà posto su un allenamento di tipo dinamico che stimoli in particolare la forza rapida. Particolarmente indicato in questa fascia d’età è il metodo d’allenamento a circuito, ricco in variazioni, che miri allo sviluppo generale dell’apparato muscolare. La durata del carico per ogni stazione del circuito non deve superare i 20 s, con pause di 40 s (rapporto pause/carico di 2/1). Il numero di stazioni può variare da cinque a sette, con una velocità d’esecuzione più rapida possibile.
Stazione 1: oscillare con una corda da una panca all’altra. | Obiettivo: stimolare la muscolatura degli arti superiori, della spalle e del tronco. |
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Stazione 2: ruotare intorno a un blocco con appoggio sugli arti superiori. | Obiettivo: sviluppo della forza dei muscoli estensori delle braccia. |
Stazione 3: sollevare con i piedi un pallone alla spalliera con ginocchia piegate. | Obiettivo: sviluppo della forza degli addominali e dei flessori dell’anca. |
Stazione 4: lancio di un pallone zavorrato contro la parete. | Obiettivo: potenziamento della muscolatura degli arti superiori. |
Stazione 5: dalla stazione eretta con spalle alla parete sollevare da terra un pallone zavorrato fino al contatto con la parete per poi posarlo nuovamente a terra. | Obiettivo: sviluppo della forza nella muscolatura dorsale e delle spalle. |
Stazione 6: su terreno liscio l’allievo è inginocchiato su un tappeto e si sposta avanti con la forza degli arti superiori. | Obiettivo: sviluppo della forza degli arti superiori. |
Stazione 7: saltelli con appoggio delle mani al di là e al di qua su panca. | Obiettivo: sviluppo della forza di salto. |
A partire dalla seconda età scolare il rafforzamento generale e multilaterale dei principali gruppi muscolari può essere incrementato attraverso esercizi a carico naturale o con leggeri sovraccarichi. Il tutto andrà eseguito sempre in forma ludica, ma nei giochi possono essere inseriti obiettivi sempre più specifici. Saranno indicati il salto a ostacoli, salti fra i cerchi, corse con i sacchi, lanci con la palla medicinale, tiro alla fune e combinazioni varie fra questi. Si possono introdurre anche giochi di lotta, evitando comunque possibili litigi fra i partecipanti. Con l’entrata nella fase adolescenziale le metodiche di allenamento avranno sempre meno carattere ludico per avvicinarsi invece agli obiettivi specifici della disciplina praticata. Le maggiori possibilità di carico dei soggetti in questa età permettono di utilizzare attrezzi come manubri, bilancieri, cavigliere ecc. Ciò che conta è che i parametri di volume e intensità dell’allenamento siano adeguati al soggetto che abbiamo di fronte. Un concetto importante da seguire quando si parla di allenamento, che si tratti di bambini o adulti, è la personalizzazione dello stesso. Non può esistere l’esercizio o lo strumento che vada bene per tutti, a prescindere dall’età. L’allenamento va adattato sulle basi delle caratteristiche fisiche-morfologiche della persona e sugli obiettivi che si vogliono perseguire.
Definiamo la resistenza come la capacità di compiere una determinata azione motoria per il più lungo periodo di tempo possibile. La resistenza sarà specifica se richiederà l’impegno di pochi gruppi muscolari, generale se invece solleciterà in maniera globale tutta la muscolatura del corpo e l’organismo, compreso l’apparato cardiovascolare e quello respiratorio. Sotto il profilo della durata classifichiamo la resistenza in breve (lavoro non superiore ai 2 minuti), media (una decina di minuti) e lunga (oltre i 10 minuti). Con riferimento ai meccanismi energetici coinvolti durante il lavoro muscolare generalmente la resistenza di media e lunga durata viene identificata con il meccanismo aerobico di produzione di energia, quella di breve durata con quello anaerobico.
Non addentrandoci in spiegazioni supplementari sui meccanismi energetici coinvolti nella produzione di energia, rimandiamo il lettore a testi più specialistici di questo, diremo semplicemente che l’espressione della capacità di resistenza è diversa secondo l’età biologica. Essendo una capacità intrinsecamente legata all’apparato cardiocircolatorio, la crescita di quest’ultimo determina anche un miglioramento della resistenza. Alla stessa maniera, un allenamento finalizzato allo sviluppo della resistenza determina adattamenti positivi su cuore, vasi e apparato respiratorio sia negli adulti che nei più giovani. Attualmente non esistono motivi validi per sconsigliare un’attività incentrata sullo sviluppo della resistenza aerobica in età giovanile, anzi “sia dal punto di vista cardiocircolatorio che da quello metabolico, bambini e adolescenti sono particolarmente adatti a carichi di resistenza nella zona aerobica”. Differente è il discorso per quanto riguarda la capacità di prestazione anaerobica che invece è limitata nelle stesse fasce d’età. In particolare i bambini hanno scarsa capacità di eliminazione del lattato, ciò si collega a una minor capacità di recupero dopo sforzi particolarmente intensi. È da rilevare inoltre che all’aumento del lattato si collega un aumento degli ormoni dello stress (adrenalina e noradrenalina) che può portare a un’eccessiva sollecitazione psicofisica dei bambini. Con l’inizio della pubertà e il notevole aumento di testosterone che si registra in questo periodo, crescerà anche la capacità di prestazione anaerobica.
Tenendo conto di questi aspetti, i metodi di allenamento più adatti per lo sviluppo della resistenza nelle fasce d’età più giovani sono quelli del carico continuo e quello intensivo a intervalli con lunghezze contenute, in modo da non determinare lavori di tipo lattacido. Compito dell’istruttore o allenatore è quello di stimolare continuamente bambini e adolescenti con attività quanto più varie possibili. Nell’età prescolare, dai 3 ai 6 anni, l’allenamento finalizzato al miglioramento della resistenza deve possedere soprattutto un carattere estremamente ludico. Sono indicati quindi giochi e attività che sviluppino la resistenza ma allo stesso tempo divertano i bambini. Come detto in precedenza parlando delle fasi sensibili, seppur importante in questa età l’allenamento delle grandi capacità organico-muscolari (forza e resistenza) è secondario a quello delle capacità coordinative. Un deficit nella coordinazione si traduce in un’efficienza corporea più dispendiosa nei movimenti, quindi con più fatica e minor rendimento. Nel corso dell’età scolare, dai 6 ai 12 anni, si ha un aumento dell’efficienza cardiaca e dei volumi del cuore cosicché l’allenamento della resistenza può trarre vantaggio da un aumento del volume ma non dell’intensità. In questa età anche corse di velocità su 200/300 metri sono sufficienti a fare registrare picchi di lattato notevoli (Klimt, Felkel 1970), sono perciò da evitare queste attività così come corse con sprint e cambi di velocità. All’inizio si possono prevedere 2-3 minuti di corsa intervallati da pause in cui inserire esercizi ginnici o respiratori. Durante la corsa si dovrebbe cercare di distrarre i bambini dallo sforzo attraverso piccoli compiti (condurre una palla con il piede o con le mani ecc.), trasmettendo sempre un senso di facilità nell’esecuzione. Si possono prevedere staffette, piccoli giochi di squadra (mini- basket ecc.) o corse su figure per raggiungere l’obiettivo.
Così come per l’allenamento della forza, anche per quello della resistenza la massima allenabilità si ritrova nei periodi di crescita puberale, quindi dai 12 ai 14 anni per le ragazze e dai 13-15 per i ragazzi. In questa età compaiono anche le differenze di genere per cui soprattutto nei maschi si registra un incremento notevole del massimo consumo di ossigeno (VO2max) e quindi della capacità di prestazione aerobica. Nella seconda età puberale e in particolar modo nell’ adolescenza, fra i 15 e i 17 anni, la capacità anaerobica di prestazione aumenta notevolmente, ragion per cui l’allenamento può procedere verso un aumento sia del volume che dell’intensità e avvalersi di metodi con cambiamenti di ritmo.
La rapidità, o più comunemente velocità, è una capacità classificata generalmente nel gruppo delle condizionali, seppur venga ad essere determinata da un controllo di tipo nervoso e dalla percentuale di fibre rapide all’interno dei muscoli, quindi in gran parte predeterminata geneticamente ed in stretta correlazione con le capacità coordinative. Allo stesso tempo possedere una buona forza e mobilità articolare migliora sensibilmente l’espressione della rapidità.
Definiamo la rapidità come la capacità di eseguire efficacemente un’azione motoria nel minor tempo possibile. La rapidità si manifesta in forma diverse, per cui si distinguono:
Altre forme di rapidità si hanno in correlazione con la forza, per cui si ha:
Nella sua forma più complessa la rapidità si manifesta nella cosiddetta velocità generale di azione, determinata da processi di elaborazione dell’informazione oltre che dall’esecuzione di azioni motorie adeguate alla situazione. In virtù di una maggiore plasticità neuronale, l’allenamento della rapidità gode di particolari vantaggi nella fascia d’età che va dagli 8 ai 16 anni. Precedentemente abbiamo sottolineato come nei soggetti giovani vi sia una percentuale più elevata di fibre intermedie (non ancora specializzate) e come un allenamento mirato allo sviluppo della rapidità determini una specializzazione delle stesse in fibre di tipo II, dette per l’appunto “rapide”, con evidenti vantaggi in termini di velocità generale. La stessa tipologia di allenamento effettuata in età adulta non determinerà uguali benefici: ecco perché è importante intervenire precocemente. A partire dai 5-6 anni di età si può prevedere un allenamento mirato allo sviluppo della rapidità con situazioni di gioco in cui vi siano varianti come sprint, salti, lanci ecc., adeguando i carichi di lavoro alla piccola età dei partecipanti all’attività. Il tutto deve essere sempre eseguito sotto forma ludica e in maniera multilaterale; l’accento va posto sulla coordinazione. La frequenza e la velocità dei movimenti subiscono un notevole incremento nell’età scolare, in particolare fra i 9-10 anni. La maturazione anatomica e funzionale della corteccia cerebrale determinano una migliore qualità di movimento che si traduce anche in un aumento della velocità, soprattutto nella prestazione aciclica. Il naturale desiderio di movimento dei bambini tipico di questa età andrebbe sempre assecondato, soprattutto nella pratica d’allenamento. Indicato sarà un allenamento a circuito in cui inserire diverse varianti per l’allenamento della rapidità e della forza esplosiva, mirando sempre a una formazione varia nelle proposte. Riportiamo alcuni esempi di giochi per lo sviluppo della rapidità ripresi da Weinek.
I bambini partono a segnali diversi da posizione di partenza diverse (in piedi, seduti, proni o supini, dalla posizione raccolta, ecc.) ed eseguono corsa su coni o a slalom.
Un giocatore funge da mago ed esegue determinati movimenti che devono essere imitati dal gruppo distante circa 3-4 metri. All’improvviso parte in direzione del gruppo e cerca di acchiappare un giocatore qualsiasi. Gli “spettatori” mentre imitano i movimenti devono essere quindi pronti a sfuggire al mago. Questo gioco allena così la rapidità di reazione, l’accelerazione e la velocità, allo stesso tempo possono essere inseriti alcuni esercizi ginnici di coordinazione ed equilibrio nell’imitazione del mago.
Due bambini, uno di fronte all’altro, giocano al classico “carta, forbice sasso”. Il bambino che vince insegue immediatamente l’avversario tentando di acchiapparlo.
Un gruppo è collocato all’interno di uno spazio predefinito, come ad esempio l’area i 16 m di un campo di calcio, e cerca di sfuggire ai “cacciatori” di un altro gruppo collocati fuori dalla linea di demarcazione. Quando il primo “cacciatore” riesce a prendere una “preda”, parte subito il secondo “cacciatore” e inizia la caccia. Quanto tempo impiegherà il gruppo dei “cacciatori” a prendere tutte le “prede”? Alla fine della “caccia” si scambiano i gruppi. In questo gioco avvengono continui cambiamenti di direzione nella corsa, per cui ai partecipanti oltre buone capacità di accelerazione si richiedono anche capacità di osservazione e di cambiare rapidamente i movimenti.
I giocatori sono posti in fila e divisi in gruppi. L’allenatore chiama a turno dei numeri. I chiamati corrono alla massima velocità per aggirare un ostacolo (bandierina o cono). Il primo arrivato riceve tre punti, il secondo due, il terzo uno. Quale gruppo ottiene più punti? Quelli proposti sono solo piccoli esempi, esistono mille varianti per sollecitare in forma diversa la capacità di rapidità, anche attraverso l’ausilio di attrezzi come palloni ecc. Importante è valutare le distanze e i tempi di recupero, alternando sempre i ruoli. Se si vuole allenare l’accelerazione andrà già bene una distanza di 10 metri, per la velocità 20-30.
A partire dalla seconda età scolare e con l’inizio della pubertà i miglioramenti nelle prestazioni di velocità saranno dovuti principalmente a un parallelo aumento della forza. In questa età si manifestano anche le differenze fra i due sessi nelle prestazioni, soprattutto in quelle dove oltre alla velocità è richiesta anche una certa forza. Essendo comunque la pubertà un periodo critico per le modifiche che avvengono a livello corporeo, per far sì che tali condizioni non portino a un peggioramento dei presupposti elementari della rapidità (ossia dei programmi motori alla base della coordinazione rapida) è necessario, secondo Lehmann, un allenamento multilaterale sulla coordinazione, finalizzato alla rapidità e alla forza rapida. Se per lungo tempo l’allenamento si basa semplicemente su corse eseguite alla massima velocità si stabilizzerà uno “stereotipo” motorio che comporta la formazione di una barriera di velocità.
Intorno ai 15-16 anni aumentano le possibilità di prestazione e possono essere introdotti un numero crescente di contenuti anaerobici nell’allenamento, che si avvicinerà sempre più a quello degli adulti. In ogni caso il picco delle prestazioni di velocità avviene intorno ai 20-25 anni; successivamente si assiste a un progressivo declino, tanto più marcato quanto prima si riduce l’allenamento.
La mobilità articolare, o flessibilità, rappresenta la capacità di utilizzare la massima escursione articolare possibile, nei limiti fisiologici imposti dalle strutture articolari, muscolari e tendinee. Viene classificata come capacità intermedia fra quelle condizionali e le coordinative. Si suddivide in una mobilità articolare generale, che riguarda la capacità di escursione delle principali articolazioni di tutto il corpo (spalle, anca, colonna vertebrale) e mobilità articolare speciale, che riguarda invece la capacità di escursione di una singola articolazione. È una capacità che si ritrova già sviluppata fisiologicamente nei bambini ma che tende a regredire rapidamente se non è correttamente sollecitata, fino ad arrivare all’età senile dove vi è un ampio decadimento per la minore elasticità dei tessuti. A livello muscolare la flessibilità dipende dalla capacità di “collaborazione” fra i cosiddetti muscoli agonisti, quelli che contraendosi compiono il movimento, e i muscoli antagonisti, che per favorire la fluidità del movimento debbono possedere buone capacità di rilassamento e allungamento.
La mobilità articolare è una capacità praticamente richiesta in tutte le discipline sportive, in alcune in maniera più accentuata (ginnastica, danza, pattinaggio, ecc.); un suo corretto allenamento permette di ottenere notevoli vantaggi. Una muscolatura eccessivamente contratta e difficilmente allungabile non permetterà l’esecuzione di un gesto tecnico in maniera fluida e precisa. L’eleganza e la precisione dei movimenti di ginnaste, ballerine, pattinatrici, è data proprio dall’elevato sviluppo della mobilità articolare che è direttamente coinvolta quindi nell’espressione tecnica del movimento anche in altre discipline come il calcio, la pallavolo ecc. Uno sviluppo inadeguato della flessibilità corporea può rappresentare un ostacolo per l’ulteriore miglioramento tecnico-coordinativo e determinare un blocco nella prestazione. Uno sviluppo ottimale permette invece un apprendimento motorio più rapido ed efficace.
Una buona mobilità articolare consente l’ottimale sviluppo delle principali forme di sollecitazione organico-muscolari. Una muscolatura accorciata e con minore capacità di allungamento determina l’espressione di una forza inferiore. Un muscolo allungato permette invece di eseguire movimenti più rapidi e potenti sfruttando le sue capacità elastiche. Anche nella velocità di corsa una buona mobilità articolare favorisce un maggiore impulso di forza nella spinta a terra e un miglior rilasciamento nella fase di avanzamento. Gli atleti impegnati negli sport di resistenza trovano giovamento da un allenamento mirato alla flessibilità, migliorando così l’economia di corsa e determinando un minore dispendio energetico. Uno sviluppo ottimale della mobilità produce maggiore elasticità, capacità di allungamento e di rilassamento di muscoli, tendini e legamenti, fornendo così un contributo fondamentale per la tollerabilità del carico ma anche e soprattutto per la prevenzione degli infortuni. Allo stesso modo lo stretching, o altre tecniche di allungamento, contribuisce anche a evitare gli accorciamenti muscolari dovuti all’assunzione di posture statiche prolungate nel tempo, migliora la capacità di ripristino e di omeostasi dell’organismo dopo una prestazione o un allenamento intenso. Una muscolatura contratta è generalmente accompagnata anche da uno stato di tensione psichico; l’allungamento favorisce invece, oltre alla distensione muscolare, anche uno stato di rilassamento psicologico.
Esistono varie metodiche utilizzate per lo sviluppo della mobilità articolare; distinguiamo metodi di allungamento attivi, passivi, dinamici e statici. I metodi di allungamento attivi prevedono molleggi e slanci nella forma dinamica con i quali si cerca di ampliare i limiti normali di movimento delle articolazioni. In quella statica gli agonisti si contraggono portando il muscolo che deve essere allungato nella posizione finale di allungamento che poi viene mantenuta per qualche secondo. Le forme che prevedono oscillazioni e molleggi, detto anche stretching balistico, sono potenzialmente fonte di traumi e quindi andrebbe ben valutato il loro eventuale utilizzo. I metodi passivi di allungamento prevedono esercizi nei quali la posizione è mantenuta grazie alla presenza di forze esterne (peso corporeo, compagno, attrezzi ecc.). Nella forma dinamica si produce un’alternanza ritmica tra aumento e riduzione dell’ampiezza del movimento, in quella statica si mantiene invece la posizione di allungamento per qualche secondo (anche 20-30) senza mai arrivare alla soglia del dolore. Vista la concreta importanza che ha assunto la mobilità articolare all’interno della pratica sportiva, esistono oggi molteplici varianti e metodi utilizzati per l’allungamento muscolare, così come diverse sono le finalità. L’indicazione comune è di eseguire l’allungamento sempre dopo un adeguato riscaldamento (a temperatura più alta il muscolo si allunga più facilmente) e mai in condizione di stanchezza muscolare.
In età prescolare, nei primi 5-6 anni di vita, la mobilità articolare del bambino è ottima, tanto che non saranno ancora necessari esercizi specifici per il suo sviluppo. Un lavoro indirizzato allo sviluppo di questa capacità può essere inserito a partire dagli 8-9 anni. Se da un lato si riscontra in questo periodo la massima mobilità delle principali articolazioni (spalle, anche, colonna vertebrale), dall’altro si assiste da questo momento a un lenta regressione. Gli esercizi dovranno prevedere una sollecitazione globale del corpo. In questa età saranno quindi indicati i metodi attivi e dinamici piuttosto che quelli passivi e statici. Da evitare saranno soprattutto gli esercizi di mobilizzazione passiva a coppie, in quanto i bambini per divertimento o dispetto potrebbero indurre un allungamento forzato eccessivo con possibile insorgenza di lesioni.
A partire dai 12 anni e con l’inizio della pubertà si può assistere a un peggioramento della mobilità articolare, ciò può essere dovuto al fatto che l’allungamento dei muscoli e dei legamenti non tiene il passo con quello in altezza. Essendo le articolazioni particolarmente sensibili in questo periodo per via dell’accrescimento (soprattutto a livello della colonna e delle anche) è bene evitare esercizi di allungamento passivi che potrebbero sollecitare eccessivamente tali apparati. Nell’adolescenza, a partire dai 15-16 anni, si assiste a un riequilibrio delle dimensioni corporee che diventano nuovamente armoniose. Nelle femmine, in maniera particolare, si completano quasi del tutto i processi di ossificazione, con maggiore possibilità di sollecitazione dell’apparato motorio passivo e quindi migliore mobilità articolare rispetto ai coetanei maschi. Si cominceranno a utilizzare anche i metodi di stretching passivo e i contenuti previsti per gli adulti. Particolarmente importante sarà utilizzare le diverse metodiche di allungamento su quei muscoli particolarmente coinvolti nella pratica sportiva che, se non allungati, rischiano di creare scompensi posturali.
Definiamo le capacità coordinative come quelle capacità determinate primariamente da processi di controllo e regolazione del movimento, che mettono il soggetto in grado di controllare le sue azioni sia in situazioni di prevedibilità (stereotipate) che in situazioni imprevedibili come in diversi ambiti sportivi. Uno sviluppo elevato di queste capacità consente:
Le capacità coordinative si dividono in generali e speciali; in breve le descriveremo singolarmente.
Si può affermare che l’allenamento delle capacità coordinative andrebbe cominciato già a partire dall’età prescolare, assecondando il desiderio di movimento del bambino, per proseguire fino alla pubertà. Per lo sviluppo di queste capacità non esiste il “troppo presto”, quanto semmai il “troppo tardi” o il “troppo poco”. Nel corso della prima età scolare prevalgono a livello nervoso i processi di eccitazione piuttosto che quelli inibitori, in conseguenza di questo la precisione dei movimenti è ancora scarsa, così come la capacità di memorizzazione delle abilità apprese. Sarà preferibile concentrarsi sull’ apprendimento di abilità motorie semplici piuttosto che complesse, allo stesso tempo sviluppare le capacità di reazione, di equilibrio, di destrezza fine, sempre attraverso piccoli giochi e attività ludiche. Nel corso della seconda età scolare si assiste a una maturazione nervosa che consente al bambino di apprendere nuove abilità con straordinaria rapidità. Si riscontra una migliore capacità di differenziazione muscolare, del senso del ritmo e dell’orientamento spazio-temporale. L’allenamento si concentrerà sullo sviluppo di queste capacità, ampliando il repertorio di movimenti e abilità già posseduti dal bambino con proposte sempre nuove e di complessità crescente, avendo cura che le abilità più semplici siano state apprese correttamente.
Nella prima fase della pubertà il cambiamento delle proporzioni corporee può determinare un peggioramento delle prestazioni di precisione e controllo fine, soprattutto in soggetti non allenati. L’organismo e il sistema nervoso devono riadattarsi alle nuove condizioni corporee. Dopo questa fase e soprattutto con l’adolescenza si ritrova un miglioramento nelle capacità di controllo, adattamento, trasformazione e combinazione dei movimenti. Nel complesso l’adolescenza rappresenta quindi un periodo favorevole per l’apprendimento motorio, più nei maschi che nelle femmine, tale da permette una maggiore riuscita anche nelle prestazioni sportive. I metodi per l’allenamento delle capacità coordinative devono prevedere continue variazioni delle posizioni di partenza, dell’esecuzione, della dinamica del movimento, delle strutture spaziali del movimento (ad esempio riducendo o ampliando il campo da gioco), richiedendo comunque un continuo adattamento a situazioni diverse di gioco. L’allenamento a circuito può prevedere diverse tappe in cui sviluppare alternativamente le diverse capacità coordinative (equilibrio, ritmo, coordinazione globale ecc.). Particolarmente indicati saranno i piccoli giochi e i giochi sportivi che rappresentano la sintesi per l’allenamento di queste capacità, richiedendo un continuo adattamento alle condizioni mutevoli di gioco. Gli sport di combattimento sono altrettanto indicati per l’addestramento generale delle capacità coordinative, implicando il coinvolgimento degli analizzatori visivi, cinestesici e tattili durante la prestazione. Per ultimi citiamo gli sport come la ginnastica artistica, il pattinaggio su ghiaccio ed i tuffi in cui sono richieste grandissime capacità di controllo globale e segmentario del proprio corpo.
Questo articolo è tratto dal libro A scuola di salute.
Lo sport offre innumerevoli benefici per la salute fisica e mentale dei bambini, promuovendo lo sviluppo osseo, il controllo del peso, la riduzione dello stress e l'acquisizione di importanti valori sociali come l'amicizia, il rispetto e il lavoro di squadra.
Le fasi sensibili sono periodi specifici dell'età in cui l'allenamento di determinate capacità motorie, come la forza o la coordinazione, produce i maggiori benefici. Conoscerle permette di ottimizzare l'allenamento e massimizzare i risultati.
L'allenamento della forza nei bambini deve essere svolto in forma ludica e multilaterale, privilegiando attività come correre, saltare e arrampicarsi. Con la crescita si possono introdurre esercizi a carico naturale o con leggeri sovraccarichi, sempre adattati all'età e al livello di maturazione del bambino.
Le capacità coordinative sono fondamentali per il controllo e la precisione dei movimenti. Allenarle fin dalla giovane età favorisce l'apprendimento di nuove abilità motorie, migliora l'efficienza del movimento e previene infortuni.
Per i bambini sono consigliati metodi di allenamento della resistenza a carico continuo o a intervalli con lunghezze contenute, evitando lavori di tipo lattacido. L'allenamento deve essere vario e stimolante, privilegiando giochi e attività divertenti.
Il valore educativo e formativo dello sport è cruciale per la crescita dei giovani, promuovendo salute fisica, mentale e valori sociali come lealtà, autodisciplina e lavoro di squadra. Il coinvolgimento nello sport supporta lo sviluppo di abilità motorie, rafforza l’autostima e previene problemi come sedentarietà e ansia.
È importante bilanciare competizione e divertimento, evitando pressioni eccessive da parte di genitori e allenatori, per ridurre il rischio di abbandono sportivo. Lo sport diventa così uno strumento per la crescita positiva.