Lo stress ossidativo nell’obesità

Di Nicole Zaira Calvi

Esiste un’evidente relazione tra lo stress ossidativo e l’obesità poiché entrambi sono influenzati e provocati soprattutto da una cattiva alimentazione. Parole chiave: stress ossidativo, obesità

L’obesità, attualmente, è una malattia che si è diffusa nella nostra società a livello mondiale. Purtroppo esistono delle relazioni tra questa patologia e lo stress ossidativo, con tutti i problemi ad esso collegati. L’obesità è caratterizzata da un aumento del peso corporeo dovuto ad un accumulo eccessivo di grasso. Rappresenta una delle cause maggiori di malattia e di morte e può determinare numerosi problemi tra cui la sindrome metabolica, il diabete mellito, malattie cardiovascolari, disfunzioni epatiche e infine il cancro. Sfortunatamente, nei paesi più sviluppati, l’obesità colpisce un numero sempre maggiore di bambini.

Si è scoperto che bambini e adolescenti obesi nella maggior parte dei casi lo saranno anche da adulti, esponendosi così a maggiori rischi per la salute.1 Studi recenti hanno dimostrato che l’obesità è associata a un’infiammazione cronica di bassa entità del tessuto adiposo causata dall’attivazione del sistema immunitario all’interno di tale tessuto, che dà origine a una condizione pro-infiammatoria e a stress ossidativo.

Per stress ossidativo si intende un’alterazione dell’equilibrio tra la formazione e l’eliminazione delle specie ossidanti fisiologicamente prodotte nel nostro organismo. Queste ultime, conosciute meglio con il nome di radicali liberi, si formano in quantità maggiore principalmente a causa di situazioni di stress e cattiva alimentazione. Si è ipotizzato quindi, che l’infiammazione del tessuto adiposo nei pazienti obesi giochi un ruolo fondamentale nella patogenesi delle complicazioni collegate all’obesità. Il tessuto adiposo è un organo endocrino e di deposito, fondamentale nel processo di omeostasi dell’energia. Questo tessuto, composto soprattutto da adipociti, secerne ormoni e citochine quali adipochine e adipocitochine, che hanno funzioni endocrine, paracrine e autocrine. In condizioni fisiologiche, ma soprattutto patologiche, le adipochine inducono la produzione di radicali liberi centrati sull’ossigeno (ROS) , determinando stress ossidativo e uno stato infiammatorio.2

In primo luogo la presenza di tessuto adiposo in eccesso è causata da una sovrapproduzione di citochine pro-infiammatorie tra cui il fattore di necrosi tumorale alfa, interleuchina 1 beta e interleuchina L-6.

Il fattore di necrosi tumorale alfa è una citochina coinvolta nell’infiammazione sistemica che influenza l’apoptosi delle cellule adipose, il metabolismo dei lipidi, l’aumento della lipogenesi epatica e i segnali di insulina, causando stress ossidativo. Induce quindi la produzione di radicali liberi, attraverso il legame con specifici recettori, attivando la segnalazione del NF-kb, un complesso proteico funzionante come fattore di trascrizione.3

Questa citochina stimola la reazione della fase acuta attraverso il rilascio di IL-6, determinando quindi una riduzione nei livelli delle citochine anti-infiammatorie. I suoi valori aumentano con l’obesità e diminuiscono con la perdita di peso.

L’interleuchina 1 beta è una citochina pirogenica che viene rilasciata dai monociti in risposta a un danno tissutale, a un’infezione o a una risposta immunologica. Anch’essa promuove la produzione di citochine pro-infiammatorie in eccesso, come l’IL-6.

L’interleuchina 6, prodotta da una moltitudine di cellule tra cui adipociti, cellule endoteliali, macrofagi, monociti e cellule beta-pancreatiche, regola l’omeostasi dell’energia e l’infiammazione, influenzando il passaggio da uno stato infiammatorio acuto ad uno stato cronico, a causa dell’aumento di sintesi di citochine pro-infiammatorie.

Nell’uomo alti livelli di IL-6 sono stati associati ad un’alterata tolleranza al glucosio, diabete mellito, pressione alta e in particolar modo all’obesità. Quindi la produzione eccessiva di tali citochine potrebbe essere responsabile di un aumento di stress ossidativo. A questo punto, i radicali liberi centrati sull’ossigeno (ROS) , determinano non solo il rilascio di quest’ultime, ma inducono il rilascio di ulteriori citochine pro-infiammatorie e causano l’adesione di molecole e fattori di crescita attraverso fattori di trascrizione sensibili all’ossidoriduzione, tra cui NF-kb e il ciclo di NADPH-ossidasi (NOX) . NADPH-ossidasi, infatti, rappresenta un complesso di enzimi di membrana che trasferisce elettroni dal nicotinammide adenina dinucleotide fosfato (NADPH) all’ossigeno (O2) ed è una delle maggiori cause della sintesi di ROS negli adipociti.
I radicali liberi generati dall’ossigeno poi, vengono convertiti in perossido di idrogeno (H2O2) , il quale a sua volta stimola l’espressione genica di IL-4 e IL-6 e la secrezione di citochine. Il soggetto obeso, quindi, risulta essere maggiormente sensibile ad un possibile danno ossidativo, dove si verifica l’esaurimento delle fonti antiossidanti tra cui l’enzima superossido-dismutasi (SOD) , la glutatione-perossidasi (GPx) , la
catalasi (CAT) , la vitamina A, E, C e il precursore della vitamina A, il beta-carotene.

In secondo luogo, l’accumulo eccessivo di grasso nei pazienti obesi, porta ad un innalzamento patologico dei livelli di acidi grassi liberi (FFA) che danneggia il metabolismo del glucosio. Questo processo determina diverse conseguenze tra cui una sintesi maggiore di radicali liberi, stress ossidativo, danni a livello del DNAmitocondriale, esaurimento dell’adenosintrifosfato (ATP) e infine lipotossicità. Quindi, la sovrapproduzione di queste molecole provoca effetti negativi sulle strutture cellulari, con conseguente aumento nella produzione di fattori di necrosi tumorale che, a loro volta, generano radicali liberi nei tessuti, aumentando il tasso di perossidazione dei lipidi. Riguardo a quanto appena detto è importante notare che il tessuto adiposo è fonte di adipochine bioattive tra cui ricordiamo la leptina, l’adiponectina, la visfatina, la resistina e l’apelina. Queste sono coinvolte nell’omeostasi dei processi fisiologici e patologici dello stress ossidativo in modo differente.

La leptina infatti è un ormone prodotto principalmente dagli adipociti in proporzione diretta con la massa di tessuto adiposo. La sua azione anoressigena causa il senso di sazietà. Nonostante questo, l’obesità risulta essere associata ad un innalzamento dei suoi valori, in quanto alcuni dati sostengono che, nel momento in cui si verifichi una perdita di peso, si riscontri una riduzione nei livelli di leptina circolante e degli indicatori dell’infiammazione (TNF-alfa, IL-6, IL-2) dovuta all’obesità.

Differentemente dalla leptina, l’adiponectina, prodotta da distinti adipociti, mostra poteri altamente anti-infiammatori e anti-aterogenici. Essa promuove l'ossidazione degli acidi grassi nei muscoli, ne riduce l'apporto al fegato e il contenuto di trigliceridi e diminuisce la produzione di glucosio a livello epatico, aumentando inoltre i livelli di ossido nitrico (NO) nelle cellule endoteliali.
La mancanza di adiponectina risulta dalla riduzione di ossido nitrico e dall’adesione dei leucociti, causando un’infiammazione vascolare cronica. E’ stato osservato che l’esposizione degli adipociti ad un alto livello di ROS sopprime l’espressione e la secrezione di tale sostanza.

La visfatina è un enzima prodotto maggiormente dalle cellule adipose del grasso viscerale. La sua concentrazione diminuisce nel momento in cui si verifica una perdita di peso corporeo. Questa molecola produce effetti pro-ossidanti e pro-infiammatori. Alcune ricerche hanno dimostrato che la visfatina, i cui livelli nel siero sono più alti in pazienti con malattie infiammatorie, induce la produzione di leucociti umani e di citochine pro e anti-infiammatorie.4

La resistina, espressa maggiormente a livello dei monociti della circolazione sanguigna, è stata riconosciuta come un’adipochina coinvolta nella regolazione dell’appetito, nell’equilibrio delle energie e nella resistenza all’insulina. Diversi studi hanno evidenziato la relazione tra la produzione di tale ormone e l’obesità, sottolineando il suo ruolo nelle malattie cardiovascolari legate allo stress ossidativo. Quindi, un aumento nella concentrazione della resistina induce ad una condizione di insulino-resistenza a livello epatico e sovrastimola l’adesione di molecole e citochine vascolari pro-infiammatorie.

Infine, l’apelina, tramite la sua interazione con specifici recettori (APJ), sopprime la produzione e il rilascio di ROS nel tessuto adiposo.

In conclusione quindi, potremmo affermare che, possibili disfunzioni a livello del tessuto adiposo possono determinare stress ossidativo sistemico, il quale a sua volta è associato ad una produzione irregolare di adipochine che contribuiranno allo sviluppo di conseguenze sistemiche patologiche. Infine la sensibilità ai biomarcatori del danno ossidativo sarà più alta in individui obesi ed è strettamente correlata all’indice di massa corporea (BMI) , alla percentuale di grasso corporeo, al cosiddetto colesterolo cattivo (LDL) e all’ossidazione e livello dei trigliceridi. Contrariamente i marcatori delle difese antiossidanti saranno più bassi in relazione al grasso corporeo e all’obesità addominale.

Stress ossidativo, obesità e sindrome metabolica

Secondo l’International Diabetes Federation, la sindrome metabolica si verifica in seguito alle seguenti patologie: obesità, iperglicemia, ipertensione, basse lipoproteine ad alta densità, colesterolo alto e ipertrigliceridemia.

In relazione all’obesità, una delle cause nella patogenesi della sindrome metabolica risulta essere la produzione sregolata di adipocitochine e citochine data dal grasso accumulato. I livelli di plasma PAI-1 E TNF-alfa che si alzano contribuiscono rispettivamente allo sviluppo di trombosi e di resistenza all’insulina. Nei pazienti con sindrome metabolica sono stati riscontrati alti livelli di IL-6 correlati all’indice di massa corporea (BMI) che compromettono il segnale epatico. Studi recenti hanno dimostrato che anche lo stress ossidativo è notevolmente coinvolto nella patogenesi di tale sindrome, in quanto può determinare un danno nella secrezione di insulina delle cellule beta-pancreatiche e nel trasporto di glucosio nei muscoli e nel tessuto adiposo.5

Una componente della patogenesi dell’arteriosclerosi, dell’ipertensione e della steatosi epatica è rappresentata da valori alti di stress ossidativo a livello delle pareti vascolari. Infatti quest’ultimo, prodotto in ognuno dei tessuti menzionati, danneggia la struttura delle cellule, incluse membrane, proteine e DNA e per questo sembra essere coinvolto nella patogenesi di ogni malattia che porta alla sindrome metabolica.
In primo luogo l’accumulo di grasso viscerale porta ad un aumento di perossidazione sistemica dei lipidi e ad un danno attraverso l’eccessiva produzione di acidi grassi liberi e citochine , causando un danno ossidativo sistemico. In secondo luogo, i pazienti con sindrome metabolica mostrano un’attività antiossidante più bassa e presentano possibile disfunzione endoteliale, che porta a pressione alta e problemi all’arteria coronarica. Infine, per quanto riguarda la dislipidemia, studi in vitro e in vivo hanno riportato un rilascio maggiore di radicali liberi (ROS) e minor sintesi di enzimi superossido dismutasi (SOD) e nitrossido sintasi (NOS) .

Diversi studi quindi, hanno ipotizzato che, a causa del maggior stress ossidativo nell’obesità, il rischio di sviluppare una sindrome metabolica è molto più elevato in soggetti sovrappeso o obesi.6 Inoltre si sono focalizzati su come stress ossidativo e disfunzione mitocondriale contribuiscano al danno dei tessuti e delle cellule nella sindrome metabolica e nel diabete di tipo 2, caratterizzati entrambi da disturbi nel metabolismo degli acidi grassi e dall’accumulo di acidi grassi liberi (FFA) nel tessuto non adiposo. La maggior quantità di FFA liberati dalla lipolisi nei mitocondri è associata a un disordine del metabolismo degli stessi, caratterizzato da un’eccessiva beta-ossidazione e da una ridotta attività del ciclo di krebs. Questo fenomeno si verifica nei prodotti ossidati incompleti, determinando un aumento di produzione di superossido attraverso la catena di trasporto degli elettroni mitocondriali. Infatti, un individuo che assume una notevole quantità di grassi nella propria dieta, mostra una sovrapproduzione di superossido nei mitocondri e nelle fibre dei muscoli scheletrici.

Il fenomeno inoltre descrive questo sovraccarico come un meccanismo diretto attraverso il quale la scorta di lipidi in eccesso porti ad un aumento nei mitocondri del rapporto NADH/NAD+ e al rilascio di ROS dato da iperglicemia, inclusi la protein-chinasi C e il fattore di trascrizione NF-kB. A questo punto il processo di ROS, indotto da iperglicemia, attiva le protein-chinasi che contribuiscono a loro volta alla produzione di stress ossidativo e di ossidi di azoto (NOX), nonché all’attivazione della citochina TGF-beta e NF-kB, determinando infiammazione.

Stress ossidativo, obesità e diabete mellito di tipo 2

Il diabete mellito di tipo 2 è una condizione caratterizzata da elevati livelli di glucosio nel sangue, in un contesto di insulino-resistenza. Il collegamento tra una condizione di iperglicemia e obesità coinvolge diversi meccanismi cellulari, tra cui:

  • Alterazione della segnalazione dell’insulina;
  • Alterazioni nel trasporto del glucosio;
  • Disfunzioni nelle cellule-beta pancreatiche;
  • Stress ossidativo e infiammazione.

I suddetti meccanismi indotti dall’iperglicemia sono attivati principalmente dalla sovrapproduzione di ROS nei mitocondri. In questo caso lo stress ossidativo determina un ulteriore peggioramento delle funzioni delle cellule beta coinvolte nella patogenesi del diabete di tipo 2, promuovendo fenomeni interconnessi alla suddetta patologia, quali appunto la glucotossicità e la lipotossicità. Queste cellule infatti, rese sensibili dalla minor quantità di enzimi antiossidanti presenti, percepiranno maggiormente il danno indotto dalla produzione di ROS.

Tutti questi fattori di stress possono indurre una risposta infiammatoria. In conclusione quindi potremmo affermare che, nei soggetti obesi o in sovrappeso, nel momento in cui si verifichi una disfunzione del tessuto adiposo, glucotossicità e lipotossicità agiranno a livello pancreatico ed epatico, causando un malfunzionamento delle cellule pancreatiche e una condizione di insulino-resistenza nel fegato. Infine cambi anomali nel profilo delle citochine nel siero aumenta lo sviluppo e la persistenza dello stato diabetico, che può essere direttamente collegato all’obesità.

Stresso ossidativo, obesità e malattie cardiovascolari

Lo stress ossidativo gioca un ruolo cruciale nei disordini legati all’obesità, come la dislipidemia e l’ipertensione, che causano malattie cardiovascolari.

La dislipidemia è una condizione patologica in cui si verifica colesterolo alto e valori di tireoglobulina che possono aumentare i rischi di sviluppare una possibile cardiopatia. È stato dimostrato infatti che, casi di dislipidemia nell’obesità, possano determinare un principio di tale malattia. Questo legame è fortemente correlato allo stress ossidativo, in quanto un basso livello di lipoproteine ad alta densità nella circolazione ed un aumento post-prandiale nei livelli di tireoglobulina, promuovono la produzione di radicali liberi centrati sull’ossigeno (ROS) nell’endotelio.
Questi, oltre a determinare un processo pro-infiammatorio, possono causare mutamenti nell’espressione di lipidi e proteine e, quindi, un danno ossidativo irreversibile. Per questo motivo i prodotti derivanti dall’ossidazione, quali appunto lipoproteine ossidative a bassa densità (Ox-LDL) , giocano un ruolo fondamentale nelle cardiopatie. Esse infatti inducono la proliferazione di adipociti aumentando così l’infiltrazione di monociti/macrofagi, causando l’espressione di lipoproteine lipase e inducendo un accumulo di acidi grassi negli adipociti. Tutto questo, sommato a una produzione alterata di adipochine, può causare stress ossidativo.

Studi sugli esseri umani sembrano supportare il ruolo dello stress ossidativo nello sviluppo dell’ipertensione, specialmente nei soggetti obesi. Il monossido di azoto (NO) , rilasciato dall’endotelio, determina rilassamento vascolare, ma uno squilibrio tra la produzione di superossido e monossido può spiegare la vasodilatazione ridotta, causa che determina lo sviluppo dell’ipertensione. Il tempo di dimezzamento del monossido è di pochi secondi, dato che verrà immediatamente degradato dal radicale libero superossido di anione il quale ha azione vasocostrittrice, determinando un aumento dello stress ossidativo con effetti pleiotropici sulle funzioni vascolari.

Tra le cause che determinano ipertensione riveste un ruolo importante anche l’azione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, inclusa la stimolazione nel rilascio di renina del sistema nervoso simpatico. I metaboliti prodotti da tale sistema, quali appunto l’angiotensina 2 e l’aldosterone, sono potenti vasocostrittori che contribuiscono all’ipertensione. Inoltre, diversi modelli sperimentali hanno dimostrato che tale patologia risulta essere correlata ad un’alta attività cerebrale di stress ossidativo e alti livelli di radicali liberi nel cervello che possono ridurre la funzione del sistema nervoso simpatico. Questa condizione, quindi, può giocare un ruolo importante nella patogenesi dell’ipertensione indotta dall’obesità.

Stress ossidativo, obesità e malattie del fegato

La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) è una malattia caratterizzata dall’accumulo di grasso nel fegato (steatosi) all’interno degli adipociti e può evolvere verso una steatoepatite non alcolica (NASH). Il primo sintomo che si verifica è rappresentato dalla resistenza all’insulina che porta all’accumulo di grasso epatico e che può progredire verso una condizione infiammatoria determinata dai danni causati dai radicali liberi (ROS) .

L’elemento principale di una steatosi epatica non alcolica è delineata da un accumulo di tireoglobuline sotto forma di gocce di grasso nel citoplasma degli epatociti. Questo rappresenta un prerequisito per l’evoluzione della malattia verso una steatoepatite non alcolica. L’accumulo di tale glicoproteina è determinato da diversi fattori che comprendono un minor afflusso e utilizzo di acidi grassi liberi da parte del fegato, minor deflusso di tireoglobuline dallo stesso e un’irregolare beta-ossidazione degli acidi grassi negli epatociti.

Tale condizione danneggia la capacità ossidativa dei mitocondri, aumentando lo stato ridotto delle catene di trasporto degli elettroni e stimolando il percorso perossisomiale e microsomiale dell’ossidazione dei grassi. Inoltre la disfunzione mitocondriale può portare direttamente alla produzione di ROS. Se il flusso di elettroni viene interrotto in qualsiasi punto della catena respiratoria, la fase intermedia della respirazione precedente può trasferire elettroni all’ossigeno molecolare, con conseguente produzione di anioni di superossido e H2O2.

A questo punto i radicali liberi che ne derivano, attraverso l’attivazione del ligando Fas, possono determinare disorganizzazione cellulare. La conseguente maggior generazione di ROS e derivati aldeici promuove stress ossidativo e morte delle cellule, oltre che danni a DNA, lipidi e proteine. Le citochine correlate all’obesità, quali appunto l’IL-6, il TNF-alfa, l’adiponectina, la visfatina e la leptina, giocano ruoli importanti nello sviluppo della steatosi epatica non alcolica, causando danni epatocellulari legati alla produzione di ROS. In particolare, alti livelli dei fattori di necrosi tumorale alfa e bassi livelli di adiponectina sono associati a gravi danni a carico del fegato. Alcuni studi hanno inoltre dimostrato che l’accumulo di grasso epatico porta ad un aumento del fattore di trascrizione NF-kB il quale a sua volta produrrà mediatori infiammatori coinvolti in varie lesioni che caratterizzano la steatoepatite non alcolica (NASH) .7 In base a ciò che abbiamo descritto possiamo quindi affermare che, un fegato dove sia presente grasso in eccesso, risulterà maggiormente vulnerabile ai fattori di stress a causa delle disfunzioni dei meccanismi antiossidanti che favoriscono l’obesità legata a stress ossidativo.

Stress ossidativo, obesità ed esposizione al cancro

L’obesità ha aumentato significativamente il rischio di sviluppare il cancro. Finora, sebbene il collegamento tra obesità e tumori non sia stato sempre coerente, sono presenti dati significativi che mostrano che l’obesità, soprattutto quella viscerale addominale, è un importante fattore di rischio per sviluppare un tumore.

Secondo alcune analisi, il rischio di cancro può essere associato ad un aumento dell’Indice di massa corporea (BMI). In particolare negli uomini correlazioni significative erano state rilevate per il cancro alla prostata e al retto, mentre nelle donne per il cancro endometriale, gastrointestinale e al seno dopo la menopausa.

Molte osservazioni sono state fatte riguardo i meccanismi fisiopatologici alla base della sensibilità al cancro dei pazienti obesi. Questi includono meccanismi legati a fattori genetici, all’asse di segnale insulina/IGF-1, all’infiammazione cronica di basso grado, alla secrezione di adipochine e microbiota del fegato. È stato rilevato quindi che, per quanto riguarda i fattori genetici, essi possono determinare variazioni nel BMI, associato al rischio di cancro.8

Mentre, riguardo all’asse di segnalazione insulina/IGF-1, in risposta ai segnali dell’ipotalamo, il fegato produce isoforme multiple di fattori di crescita insulino simile, tra cui l’IGF-1, la quale rappresenta l’isoforma più abbondante presente nella circolazione sanguigna. I fattori di crescita infatti legano i rispettivi recettori e quelli insulinici, che si trovano maggiormente nel tratto gastrointestinale. In questo modo l’isoforma IGF-1 influenza l’assorbimento delle sostanze nutritive attraverso le vie endocrine e neurali, promuovendo la proliferazione delle cellule. Nel momento in cui l’attività cellulare di quest’ultima è sovrastimolata, il rischio di sviluppare tumori o metastasi aumenta fortemente. Quindi, le varie conseguenze descritte finora, che determinano uno stato pro-infiammatorio in un soggetto obeso, possono sviluppare carcinogenesi. In merito a questo è importante ricordare l’azione di due specifiche adipochine sintetizzate e secrete dal tessuto adiposo. Valori alterati nei livelli di leptina sono stati associati allo sviluppo del cancro. Quest’ultima infatti, prodotta in risposta ai mediatori pro-infiammatori, all’insulina, agli ormoni sessuali e ai lipopolisaccaridi, si lega con i recettori transmembranosi e inibisce l’apoptosi. L’azione di tale adipochina sulle funzioni cellulari viene bilanciata dall’adiponectina, con effetti anti-proliferativi e anti-angiogenici. Da questo possiamo comprendere in che modo l’ipoadiponectinemia sia un fattore di rischio per la nascita di un tumore.

Infine, il microbiota del fegato influisce sull’obesità tramite la sua capacità di determinare un aumento nel recupero calorico di polisaccaridi indigeribili, di regolare i geni intestinali che promuovono l’immagazzinamento del grasso e di indurre l’infiammazione gastrointestinale, contribuendo allo sviluppo di carcinogenesi gastrointestinale dovuta all’obesità. La composizione del microbiota intestinale infatti, potrebbe essere coinvolto nello sviluppo di neoplasmi intestinali, esofagei, gastrici e perfino pancreatici. Quindi, alla luce delle informazioni disponibili riguardanti l’obesità, è necessario tenere in considerazione il fenomeno dello stress ossidativo, soprattutto quello infantile. I bambini possono mostrare una vulnerabilità particolare agli effetti di tale squilibrio, in quanto i loro tessuti sono soggetti a crescita rapida e sviluppo. Inoltre, l’insorgenza di stress ossidativo in tenera età, predispone il soggetto a malattie caratterizzate da lunghi periodi di latenza. In merito a questo sarebbe utile sviluppare nuove terapie a scopo preventivo.

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