Lo squat è uno dei principali esercizi multiarticolari per l’allenamento della muscolatura degli arti inferiori. Si tratta di un esercizio caratterizzato da una tripla flesso-estensione sul piano sagittale.
Quanto appena detto è in riferimento ad un’esecuzione generale dell’esercizio. È altresì importante precisare che, affinché vi sia un’adeguata esecuzione, molti dei fattori sopra citati devono essere adattati in base al soggetto in questione. In questo caso, l’antropometria del soggetto e il grado di mobilità delle articolazioni dello stesso possono influire sulla scelta della larghezza della presa del bilanciere con le mani o sulla larghezza dei piedi in fase di set-up: nel primo caso la personalizzazione dipenderebbe dalla mobilità scapolo-omerale; nel secondo caso si avrebbe l’influenza della lunghezza del femore e della mobilità tibio-tarsica individuali.
La respirazione consigliata durante l’esecuzione dell’esercizio è la classica, che prevede di inspirare durante la fase eccentrica (di discesa) ed espirare durante la fase concentrica (di salita). Tuttavia vi sono delle situazioni in cui sarebbe consigliabile utilizzare la cosiddetta “manovra di Valsalva”. In questo caso, viene incamerata aria (con estensione del diaframma) e trattenuta aumentando la componente pressoria a livello addominale. Si tratta di una situazione che presenta la chiusura della glottide con un concomitante sforzo espiratorio.
Questa tipologia di “respirazione” aumenterebbe quella che è la pressione intra-addominale con conseguente aumento della stabilità della colonna vertebrale. Se da un lato l’utilizzo di questa metodica può fornire maggior sicurezza durante l’esecuzione dell’esercizio con percentuali di carico elevate, è altresì vero che l’aumento pressorio a livello intratoracico potrebbe portare a problematiche di tipo circolatorio. In questo caso sarebbe consigliabile utilizzare la manovra di Valsalva solo in soggetti che non presentano problematiche cardiache e solo in situazioni in cui la percentuale di carico utilizzato risulta elevata. In caso contrario l’utilizzo di una respirazione classica è la scelta più sicura.
Uno degli argomenti più dibattuti in merito all’esecuzione dello squat sembra essere quello riguardante l’escursione in avanti della tibia: in particolare ci si riferisce a quanto le ginocchia possano o meno slittare in avanti oltre le punte dei piedi. Analizzando i diversi studi attinenti all’argomento, ne spicca uno in particolare (Andrew C. Fry et al. 2013) in cui vengono analizzate le principali differenze tra l’esecuzione di uno squat al parallelo che prevede il superamento delle punte dei piedi con le ginocchia e l’esecuzione dello stesso movimento in cui viene posto un blocco a livello delle punte dei piedi (per non permettere alle ginocchia di andare oltre le stesse).
I risultati suggeriscono che, in soggetti sani che non presentano patologie a livello di rotula, menischi o legamenti, le ginocchia possono andare oltre le punte dei piedi affinché si abbia una maggior verticalità del rachide nel mantenimento del centro di massa durante l’esecuzione dell’esercizio stesso. In questo modo verrà ridotto anche il carico a livello della zona lombare e si avrebbe un miglior rapporto rischi/benefici.
Sulla base di quanto appena detto in merito all’escursione in avanti della tibia, è doveroso fare delle precisazioni riguardo l’utilizzo del rialzo sotto i talloni. Durante lo squat (o una semplice accosciata) un rialzo sotto i talloni permette di aumentare lo spostamento in avanti del ginocchio. Utilizzare un rialzo potrebbe essere ottimale per soggetti che presentano una limitata mobilità tibio-tarsica al fine di diminuire la flessione in avanti del tronco durante l’esecuzione dell’esercizio. Non è consigliabile, invece, l’utilizzo di un rialzo in soggetti che presentano già una buona mobilità a livello dell’articolazione tibio-tarsica.
Quanto debba essere profonda l’accosciata è un’argomentazione molto controversa alla quale i diversi studiosi hanno dato risposte diverse. Dalla letteratura si evince come durante lo squat le ginocchia siano sottoposte a diverse forze di taglio; ad esempio si possono notare delle forze di taglio posteriori (a carico del legamento crociato posteriore) e anteriori (a carico del legamento crociato anteriore).
In aggiunta bisogna precisare che vi sono anche delle forze di compressione a livello della rotula, in particolare quando si supera il punto in cui il femore è parallelo al pavimento e ci si avvicina alla posizione di massima accosciata (minimo angolo a livello del ginocchio) (Escamilla 2001). Molte evidenze, inoltre, mostrano come l’esecuzione dello squat non sia pericolosa per la salute delle ginocchia ma, contrariamente, sia un ottimo strumento di riabilitazione e di rinforzo della muscolatura coinvolta nell’esercizio stesso (Hartmann et al. 2013).
Un altro tema frequente in merito all’esecuzione dello squat è quello relativo al posizionamento del bilanciere sulle spalle.
In particolare, esistono due tipologie di esecuzione del movimento in base a dove viene collocato il bilanciere: lo squat “High Bar” e lo squat “Low Bar”. Nel primo caso il bilanciere è posto sul trapezio superiore ma appena sotto il processo spinoso della vertebra C7.
Nel secondo caso la sbarra viene sistemata sul trapezio inferiore, appena sopra il deltoide posteriore e lungo la spina della scapola.
Nella review del 2016 di Glassbrook et al. vengono analizzate le principali differenze tra le due tipologie di esecuzione dell’esercizio e, nel dettaglio, il motivo per il quale la variante “Low bar” permette di sollevare più carico a parità di ripetizioni svolte. I risultati mostrano come vi siano differenze in merito all’escursione delle principali articolazioni coinvolte. Infatti mentre nella versione High bar il rachide viene mantenuto più verticale con maggior spostamento in avanti delle ginocchia, la variante Low bar presenta una maggior inclinazione in avanti del rachide, minor flessione a livello dell’articolazione del ginocchio e maggior spostamento posteriore del bacino. A quanto appena detto va associata anche la differenza in merito all’attivazione muscolare: nel modello High bar si ha maggior attivazione dei muscoli anteriori della coscia (quadricipite), mentre nella versione Low bar si ha maggior attivazione dei muscoli appartenenti alla catena cinetica posteriore (Femorali, Grande gluteo ed erettori spinali).
Un’altra tesi sullo squat riguarda la possibilità di far lavorare in maniera differenziata le diverse porzioni del quadricipite femorale, posizionando i piedi in extrarotazione o intarotazione. In questo caso, secondo una review di Escamilla (2001), gli studi sono concordi nell’affermare che la variazione della larghezza o dell’angolo dei piedi non localizza il lavoro sui diversi vasti del quadricipite.
Nello studio di Paoli et al. (2009) viene dimostrato come la larghezza del passo influisca sull’attivazione muscolare solo nel caso in cui la distanza tra i due piedi sia almeno il doppio rispetto alla larghezza del bacino. Solo in quest’ultimo caso si è rilevata una maggior attivazione a carico del muscolo grande gluteo. Anche allargando il passo non vi sono differenze di attivazione muscolare significative (né in merito agli adduttori, nè glutei), tranne che con un passo largo il doppio rispetto alla larghezza del bacino: in questo caso viene attivato maggiormente il grande gluteo e vi è l’esecuzione della variante Sumo (Paoli et al, 2009).
Qui di seguito verranno analizzati gli errori comuni (con le relative conseguenze) che vengono commessi durante l’esecuzione di uno Squat.
Una delle varianti più svolte nelle palestre è quella che prevede l’esecuzione del movimento al Multipower (o Smith Machine).
Questo avviene poiché vi è l’idea che un macchinario possa aumentare la “sicurezza” dell’esercizio.
Prima di procedere con l’analisi, bisogna ricordare che l’attrezzo è composto da due binari che permettono uno spostamento verticale sul piano sagittale ma, allo stesso tempo, fungono da vincolo impedendo un eventuale spostamento orizzontale sul piano sagittale stesso.
Esaminando, però, l’esecuzione dello squat, si può notare come esso sia un movimento che prevede non solo uno spostamento verticale, ma anche orizzontale sul piano sagittale (lo spostamento orizzontale può essere più o meno accentuato in base alle leve corporee del soggetto o, allo stesso modo, in base alla sua mobilità articolare). Di conseguenza, sulla base di quanto detto, l’esecuzione dello squat al multipower presenterebbe un ulteriore vincolo per l’individuo che lo svolge, limitando l’adattamento dell’esercizio alle peculiarità del singolo.
Quanto appena detto è in riferimento ad un “classico” svolgimento dell’esercizio; in altri casi si può assistere ad un’esecuzione dello squat al multipower che prevede di posizionare i piedi in avanti rispetto al rachide mantenendo (durante lo svolgimento) il tronco verticale e perpendicolare al pavimento. Questa tipologia di movimento inibisce il pre-stiramento dei muscoli posteriori della coscia (a causa di un’assente flessione in avanti del tronco) limitando anche il loro reclutamento. La conseguenza di ciò è che le forze di taglio a carico del ginocchio aumenteranno. In ultima istanza va considerato che l’utente, durante lo svolgimento di quest’ultima tipologia analizzata, tende ad “appoggiarsi” al bilanciere annullando quasi totalmente l’attivazione dei muscoli stabilizzatori.
Si può quindi affermare che l’esecuzione dello squat al multipower è decisamente sconsigliata e, in aggiunta, andrebbe posta più enfasi sull’apprendimento del movimento con bilanciere libero il quale, non solo risulta più sicuro, ma è anche più vantaggioso dal punto di vista funzionale e allenante.
Il Sumo squat è una versione dello squat che differisce dallo stesso solo per la distanza tra i due piedi di appoggio. Confermando quanto detto per l’esecuzione del classico squat, questa variante presenta una larghezza dei piedi che può arrivare ad essere anche il doppio della larghezza del bacino; questo cambiamento nel set-up andrebbe anche a differenziare i due esercizi sulla base dell’attivazione muscolare. In particolare, nello squat sumo si avrà un maggior reclutamento dei muscoli adduttori e grande gluteo (Paoli et al, 2009) (Coratella et al. 2021).
Il Front Squat si identifica come un’ulteriore variante dello squat con la differenza che il bilanciere viene posto anteriormente (sopra le articolazioni sterno-clavicolari). In alcuni casi il bilanciere viene posto addirittura nella piega del gomito (in questo caso si parlerà del famoso Zercher Squat). Il posizionamento del carico anteriormente andrà a variare quella che è la flessione in avanti del tronco durante l’esecuzione facendo sì che il rachide venga mantenuto più verticale rispetto al pavimento. La maggior verticalità del tronco diminuirà il pre-stiramento dei muscoli posteriori della coscia (glutei e ischiocrurali) spostando il focus dell’esercizio sui muscoli anteriori della coscia (quadricipite).
L’esecuzione di questa tipologia, però, richiede un’elevata mobilità dell’articolazione tibio-tarsica in quanto, il mantenimento del bilanciere obbligherà l’individuo a far slittare più in avanti le ginocchia. Il carico utilizzato sarà sicuramente minore rispetto al classico squat in quanto vi sarà un minor coinvolgimento dei muscoli posteriori della coscia. Un’ulteriore precisazione andrebbe fatta in merito alla presa del bilanciere: in questo caso potrebbe essere utilizzata la classica presa (palmi delle mani rivolti verso l’alto) o la presa a braccia incrociate (più consigliata per coloro che possiedono delle leve sfavorevoli o una ridotta mobilità scapolo-omerale). Per quanto concerne gli altri dettagli dell’esecuzione (distanza dei piedi, mantenimento delle curve fisiologiche ecc.) viene confermato quanto detto nel paragrafo relativo allo squat classico.
Tra le molteplici varianti dello squat è quasi d’obbligo citare l’Hack Squat. Si tratta di un esercizio che prevede il movimento di accosciata ma che viene svolto all’apposito macchinario. Dopo essersi posizionati, le spalle e la schiena aderiscono agli appositi cuscinetti; si posizionano i piedi ad una larghezza “comoda” per l’utente e con una leggera extrarotazione. È importante precisare che l’esercizio prevede il principale coinvolgimento della muscolatura del quadricipite con la possibilità di aumentare o diminuire l’interessamento dei glutei in base al posizionamento dei piedi: più i piedi verranno posizionati in avanti e più vi sarà un coinvolgimento della muscolatura del gluteo.
Esaminando l’esecuzione, vi è un richiamo a quello che è lo squat al multipower con i piedi collocati anteriormente: vi sarà quindi una diminuzione dell’attivazione dei muscoli del core con minor pre-stiramento della muscolatura posteriore della coscia a causa dell’assenza di una flessione del tronco sulla coscia stessa. Per quanto concerne l’esecuzione stessa, si consiglia di non esasperare l’accosciata (quindi non raggiungere la massima flessione del ginocchio) ma fermarsi leggermente oltre i 90° di flessione per evitare che le forze (di taglio e compressione) che agiscono a livello della regione poplitea possano raggiungere quote troppo elevate.
In questo caso, il carico viene rappresentato da un manubrio tenuto verticalmente tra le mani. Il carico deve essere tenuto quanto più vicino al corpo per coinvolgere nella minor misura possibile i muscoli flessori del gomito; a tal proposito si consiglia di tenere gli avambracci perpendicolari al terreno. Come nel Front, l’attivazione muscolare è prettamente a carico del muscolo quadricipite ed è richiesta un’elevata mobilità tibio-tarsica al fine di mantenere il rachide verticale rispetto al pavimento in concomitanza con il mantenimento delle fisiologiche curve della colonna vertebrale. Questa tipologia di squat, come anticipato precedentemente, può essere utilizzata come propedeutica al Front squat e, nel momento in cui il carico dovesse iniziare a diventare rilevante, si consiglia di passare all’esecuzione della variante Front.
Tra le varianti dello squat va sicuramente tenuto in considerazione l’esercizio “Sissy squat”: si potrebbe classificare come esercizio di “nicchia” utilizzato per lo più da atleti di bodybuilding avanzati per isolare al meglio la muscolatura del quadricipite. Il suo svolgimento prevede di posizionarsi incastrando i piedi (a livello dell’articolazione tibio-tarsica) nell’apposito macchinario facendo aderire tutta la regione del tricipite della sura al cuscinetto situato posteriormente; durante l’esecuzione si avrà una contemporanea flessione del ginocchio e dell’anca (nella fase di discesa o eccentrica) seguite dall’estensione delle stesse articolazioni (fase di salita o concentrica).
La verticalità del tronco inibisce l’attivazione dei glutei e dei muscoli posteriori della coscia spostando la quasi totalità del lavoro a carico del quadricipite. La versione a corpo libero, senza quindi l’utilizzo dell’apposito macchinario, prevede una partenza con il soggetto in stazione eretta, piedi ad una larghezza all’incirca come quella delle spalle e il mantenimento delle fisiologiche curve della colonna; da questa posizione si avrà una flessione delle ginocchia con mantenimento dell’anca estesa (quindi rispetto alla variante al macchinario l’anca non si flette). Il soggetto, durante l’esecuzione sarà costretto a portare molto in avanti le ginocchia oltre che a sollevare i talloni da terra spostandosi sulle punte dei piedi. Una volta raggiunta la massima profondità (che è soggettiva) con il bacino quanto più vicino possibile ai talloni, vie è l’estensione del ginocchio per ritornare alla posizione di partenza.
Se da un lato risulta un valido esercizio per la stimolazione del distretto target, dall’altro vi è da sottolineare che le forze di taglio alle quali viene sottoposto il ginocchio non sono da sottovalutare. Le forze appena citate sono molto simili a quelle a cui l’articolazione viene sottoposta durante esercizi come la leg extension e, di conseguenza, il consiglio è sempre quello di utilizzare determinati esercizi svolgendo un numero più elevato di ripetizioni (con intensità di carico più bassa) e non arrivando al completo cedimento muscolare (in soggetti che presentano delle ginocchia sane). In tutti i soggetti che presentano delle problematiche pregresse a livello dell’articolazione del ginocchio, si consiglia di evitare degli esercizi come il Sissy squat.
Insieme allo Squat, lo stacco da terra è uno dei principali movimenti multiarticolari per il condizionamento della muscolatura degli arti inferiori, in particolare della catena posteriore, usato nella preparazione atletica, nel bodybuilding, in fisioterapia e nella riatletizzazione dell’atleta. Si tratta di un esercizio caratterizzato da una tripla estensione sul piano sagittale.
Come per lo Squat, quanto appena detto si riferisce ad una descrizione generale della posizione di partenza per lo svolgimento dell’esercizio. È fondamentale precisare che la posizione di partenza può e deve essere modificata in base alle caratteristiche del soggetto. I principali parametri che potrebbero subire dei cambiamenti risultano essere: altezza del bacino in partenza, verticalità del rachide, altezza del bilanciere (in soggetti novizi o che presentano difficoltà nel mantenimento della posizione di partenza, si può iniziare posizionando dei rialzi sotto i dischi per rendere il bilanciere più alto).
Una variante dello stacco convenzionale potrebbe essere quella dello stacco con deficit: in questo caso il soggetto posiziona i piedi su dei rialzi (dei dischi ad esempio) andando, in questo modo, ad aumentare il ROM (range of movement) dell’esercizio. In questa variante il soggetto dovrà partire con una maggiore flessione di anca e ginocchio e, di conseguenza, con il bacino più in basso. Questa esecuzione aumenterà l’attivazione dei muscoli quadricipiti grazie alla maggior flessione dell’articolazione del ginocchio (Sarah N. Lanham et al., 2019).
Il principale metodo di respirazione prevede di inspirare durante fase eccentrica ed espirare durante la fase concentrica. Vi è da precisare che, come nello squat, anche nello stacco potrebbe essere utilizzata la manovra di Valsalva per ottenere maggiore stabilità durante l’alzata.
Molto spesso lo stacco da terra viene eseguito con quella che viene denominata “Hex bar” (bilanciere esagonale). Uno studio (Kevin D. Camara et al. 2016) ha esaminato le differenze, a livello elettromiografico, nell’attivazione dei muscoli degli arti inferiori durante l’esecuzione dello stacco con le due tipologie di bilanciere. Dal suddetto studio si evince come la sostanziale differenza sia nell’attivazione del quadricipite: infatti l’esecuzione con Hex bar aumenta l’attivazione del vasto laterale (sia in fase concentrica che in fase eccentrica) rispetto all’utilizzo del bilanciere classico; al contrario, l’esecuzione con bilanciere classico aumenta l’attivazione dei muscoli posteriori della coscia e dei muscoli lombari a discapito dei muscoli anteriori della coscia. Questo accade anche grazie alla maggior verticalità del tronco durante l’esecuzione dello stacco con Hex bar.
Il set-up (posizionamento iniziale dello stacco da terra) è un argomento importante per rendere quanto più personalizzata possibile l’alzata stessa. La principale differenza si può avere nella posizione del bacino (più in alto o più in basso) dalla quale scaturiscono dei cambiamenti in merito alla flessione del ginocchio e dell’anca. In letteratura sono stati analizzati due diversi set-up: infatti sembrerebbe che la partenza con il bacino più basso porterebbe ad un maggior grado di flessione del ginocchio (e quindi dell’articolazione tibio-tarsica) ma minore flessione a livello dell’articolazione dell’anca; un posizionamento in partenza con il bacino più alto, al contrario, prevede una minor flessione del ginocchio ma un maggior grado di flessione dell’anca.
Quanto appena detto si traduce con delle differenze sul piano dell’attivazione muscolare:
Nonostante ciò, la scelta del set-up dovrebbe avvenire anche e soprattutto in base all’antropometria del soggetto (lunghezza delle varie leve corporee) e al grado di mobilità delle articolazioni dello stesso. Inoltre non sono emerse differenze tra i due stili di sollevamento per quanto riguarda le forze di taglio e compressione interne nella colonna lombare o la forza totale in uscita.
Durante l’esecuzione dello stacco da terra non è difficile commettere errori. In particolare bisognerà porre attenzione ai seguenti fattori:
Lo stacco da terra esiste in diverse varianti, quella descritta in precedenza è la versione standard, ma possiamo trovarne, con lo scopo di enfatizzare il lavoro su alcuni distretti rispetto ad altri, almeno altre due.
La versione a gambe tese, eseguita con i piedi tra loro paralleli e le ginocchia quasi completamente estese per tutta la durata del movimento, pone in maggior prestiramento i muscoli posteriori della coscia rispetto alla versione standard, reclutandoli maggiormente. Anche in questo caso sarà importante cercare di mantenere il bilanciere sempre adeso al corpo (tibie e cosce) per evitare un sovraccarico della regione lombare.
La respirazione è rappresentata dalla classica metodologia: vi sarà l’inspirazione durante la fase eccentrica del movimento (fase di discesa) e l’espirazione durante la fase concentrica del movimento (fasi di salita).
Lo stacco sumo è la principale variante dello stacco da terra in quanto eseguita da tutti i soggetti che trovano difficoltà nell’esecuzione del classico stacco. Solitamente, la scelta di questa variante, avviene sia per motivi di “feeling” del soggetto con questo movimento (rispetto al regular) che per motivi antropometrici (lunghezza degli arti e del tronco).
Per quanto concerne l’esecuzione, vale quanto detto per il classico stacco da terra.
Nella versione sumo, si inizia il movimento con i piedi molto più larghi del bacino, circa il doppio, ed i piedi maggiormente extraruotati. In questo modo si riesce, durante la discesa, a mantenere il busto maggiormente eretto, riducendo il carico lombare.
In questa versione si ha un maggior grado di flessione del ginocchio e minore dell’anca, rispetto alla versione standard, con conseguente maggior reclutamento degli estensori del ginocchio; per quanto concerne la tensione espressa a carico dei muscoli paravertebrali ed estensori dell’anca (hamstring e gluteo), non vi sono delle sostanziali differenze di attivazione se confrontati con la versione standard (Escamilla F. et al., 2002) (Belcher, 2017)
In merito alla respirazione durante lo stacco sumo, si può affermare quanto detto nel paragrafo relativo alla respirazione da adottare nello stacco classico.
Gli affondi rappresentano uno dei principali esercizi multiarticolari per gli arti inferiori che, però, vengono svolti in modo unilaterale. Si tratta, come lo squat, di una triplice estensione sul piano sagittale che, in base alla variante svolta, potrebbe presentare anche uno spostamento orizzontale sullo stesso piano citato.
Il soggetto si trova in stazione eretta con i piedi paralleli.
Come in tutti gli altri movimenti citati, la respirazione avviene con un’inspirazione nella fase eccentrica del movimento ed un’espirazione nella fase concentrica del movimento.
Vale quanto detto per gli affondi in avanti con l’unica differenza che il primo passo per lo svolgimento dell’esercizio viene fatto posteriormente (mantenendo quindi fermo il piede relativo all’arto implicato nel lavoro muscolare).
Vale quanto detto per gli affondi in avanti con l’unica differenza che la partenza prevede che il soggetto sia con le gambe in apertura sagittale, di conseguenza si avrà una flessione ed estensione di anca e ginocchio lavorando prima con un singolo arto e poi con l’altro.
I principali errori durante l’esecuzione degli affondi (qualsiasi variante) possono essere:
Le tre varianti di affondi descritte precedentemente prevedono delle esecuzioni differenti tra loro. Partendo dalla variante sul posto, la caratteristica principale sarà data dal fatto che non vi sarà uno spostamento dei piedi dall’inizio alla fine della serie; questa peculiarità obbligherà il soggetto a non effettuare una completa estensione d’anca come invece avviene per la completa estensione del ginocchio. La conseguenza sarà un maggior focus sul muscolo quadricipite (per evidenti ragioni biomeccaniche).
Confrontando le varianti in avanti e indietro degli affondi è doveroso citare lo studio di Park S. et al. (2016) in cui sono state analizzate le differenze tra gli affondi in avanti, gli affondi indietro e la variante di affondi in camminata. I risultati ottenuti dimostrano che:
La “classica” esecuzione degli affondi prevede che il rachide sia mantenuto verticale (perpendicolare rispetto al pavimento); nonostante ciò, un cambiamento nel grado di inclinazione del rachide (e quindi nell’angolo a livello dell’anca) potrebbe influire sull’attivazione muscolare.
In particolare, una maggior flessione in avanti del rachide porterebbe ad una maggior attivazione dei muscoli estensori dell’anca rispetto all’esecuzione con rachide “neutro” (Farrokhi S. et al, 2008).
Questo potrebbe accadere per due principali motivi (nonché conseguenze della maggior flessione del rachide): lo spostamento del baricentro e il maggior pre-stiramento dei muscoli estensori dell’anca. Vi è da precisare che se si dovesse decidere di eseguire un affondo diminuendo l’angolo a livello dell’articolazione dell’anca, è di fondamentale importanza il mantenimento delle fisiologiche curve della colonna (in particolare la lordosi lombare).
Lo Squat bulgaro (conosciuto anche come “Bulgarian Split Squat”) è un esercizio multiarticolare svolto in modo monopodalico che, come lo squat, prevede una triplice estensione sul piano sagittale.
Come in tutti gli altri movimenti citati, la respirazione avviene con un’inspirazione nella fase eccentrica del movimento ed un’espirazione nella fase concentrica del movimento.
L’esercizio analizzato presenta svariate similitudini con gli affondi precedentemente visti. Viene di conseguenza confermato quanto detto in relazione all’inclinazione del rachide rispetto all’anca e quindi l’attivazione dei diversi distretti muscolari durante il movimento.
In relazione agli errori commessi durante l’esecuzione dello squat bulgaro, vale quanto affermato per gli affondi nel paragrafo precedente.
Tra i macchinari più conosciuti nelle sale attrezzi per la stimolazione del muscolo quadricipite vi è sicuramente la Leg Press.
Esercizio multiarticolare, di spinta, che dà la possibilità di vincere resistenze (carichi) molto alte e di sottoporre il muscolo target a stimoli decisamente elevati.
La respirazione prevede un’inspirazione durante la fase eccentrica del movimento ed un’espirazione durante la fase concentrica del gesto.
Durante l’esecuzione della Leg press sarebbe consigliabile evitare di:
Durante l’esecuzione dell’esercizio Leg press, la variazione del posizionamento dei piedi sulla piastra potrebbe variare quella che è la stimolazione dei diversi distretti muscolari degli arti inferiori. In particolare, posizionando i piedi più in basso si avrà una maggior stimolazione del quadricipite, posizionando i piedi più in alto si andranno a stimolare maggiormente i glutei e femorali (De Pascalis P., 2018) (Escamilla F., et al. 2001).
La differenza nell’attivazione dei diversi distretti è data dal cambiamento del grado di flessione del ginocchio: i piedi posizionati in basso costringeranno ad una maggior flessione di ginocchio e caviglia; i piedi in alto richiederanno minor flessione del ginocchio e, di conseguenza, minor reclutamento del quadricipite spostando il focus sugli estensori dell’anca.
Uno dei più rinomati esercizi per i glutei è sicuramente l’Hip Thrust (attenzione agli errori di trascrizione: no Hip Trust o Hip Trast).
L’esecuzione di questo esercizio prevede che vi sia un’estensione d’anca contro resistenza. Nonostante durante il movimento vi è un leggero cambiamento degli angoli di ginocchio e caviglia (considerandolo un esercizio multiarticolare), tutto il movimento ruota attorno all’articolazione coxo-femorale.
La respirazione prevede un’inspirazione durante la fase eccentrica del movimento ed un’espirazione durante la fase concentrica del gesto.
Come già detto in precedenza, l’Hip Thrust è un esercizio che coinvolge in modo marcato il muscolo grande gluteo.
Rispetto ad altri esercizi che coinvolgono lo stesso muscolo, come ad esempio lo Squat o il Romanian Deadlift, sembrerebbe essere quello che presenta la maggior attività del grande gluteo (Delgado J et al., 2019).
Nel momento in cui vi è un confronto tra due esercizi, è sempre importante analizzare il profilo della resistenza del movimento: nel paragone tra l’hip thrust e lo squat è fondamentale precisare come il muscolo è chimato ad esprimere una tensione massima in due gradi di allungamento diversi.
Mentre nell’hip thrust si avrà una massima tensione in massimo accorciamento del gluteo, durante uno squat la massima tensione verrà espressa durante il massimo allungamento del muscolo stesso.
Lo step up è un esercizio multiarticolare che, come lo squat, prevede una triplice estensione sul piano sagittale.
Il soggetto sale sul rialzo spingendo contro lo stesso con tutta la pianta del piede.
L’esercizio Step up può essere eseguito in due varianti:
Anche in questo caso la respirazione prevede un’inspirazione durante la fase eccentrica del movimento ed un’espirazione durante la fase concentrica del gesto.
In letteratura, una review del 2020, mostra come lo step up (con le sue varianti diagonale e laterale) sia il miglior esercizio per l’attivazione dei glutei (in % rispetto alla massima attivazione isometrica volontaria) se confrontato con molti altri esercizi come: Stacchi, Squat, Hip Thrust e le relative varianti di ognuno.
Questo dato ci comunica che lo step up è IL miglior esercizio per il gluteo? Analizzando lo studio (e le conclusioni alle quali gli autori stessi giungono) si evince come l’esercizio in questione sia quello che restituisce la miglior attivazione in percentuale del gluteo non solo per la biomeccanica del movimento ma anche per il contesto di esecuzione dello stesso. Infatti viene specificato come il gluteo, durante lo svolgimento, sia il responsabile del mantenimento dell’equilibrio a livello di bacino e anca oltre che a limitare l’adduzione e la rotazione mediale del femore.
Allo stesso tempo, però, lo step up presenta delle limitazioni: situazione di disequilibrio, ridotta possibilità di carico, difficoltà per tutti i soggetti neofiti. La conseguenza dei fattori appena elencati è una ridotta possibilità di costruzione di forza e volumi muscolari (Neto et al., 2020).
La leg extension è il principale esercizio monoarticolare per l’allenamento del quadricipite femorale. Il movimento è caratterizzato da un’estensione del ginocchio sul piano sagittale.
Il movimento prevede un’estensione del ginocchio.
Inspirare durante la fase eccentrica ed espirare durante la fase concentrica del movimento. Vi è da precisare che anche il posizionamento sul macchinario potrebbe variare leggermente quella che è l’attivazione muscolare. Infatti, ponendo in antiversione o retroversione il bacino, vi è un minore o maggiore reclutamento del muscolo retto del femore; essendo quest’ultimo un muscolo bi-articolare (flessore d’anca ed estensore del ginocchio), una partenza con il bacino posto in anteroversione (quindi un minor angolo tra rachide e femore) fisserà il retto femorale in una condizione di pre-accorciamento con una sollecitazione minore sullo stesso.
Una partenza con bacino in retroversione (quindi maggior angolo tra rachide e femore) porterà ad aumentare la lunghezza del retto del femore in fase iniziale con conseguente maggior attivazione dello stesso. Infine, l’esecuzione del suddetto esercizio dovrebbe presentare, in maniera generale, un mantenimento delle fisiologiche curve della colonna e, di conseguenza, viene consigliato di eseguirla ponendo il bacino in rotazione neutra.
Posso cambiare l’enfasi da porre sui diversi fasci del quadricipite? L’idea secondo la quale vi è la possibilità di reclutare diversi fasci del quadricipite femorale solo variando la rotazione dei piedi è stata smentita da diversi studi in letteratura (Paoli et al., 2013; Smith O T. et al., 2009). Va inoltre ricordato che, come anticipato precedentemente, essendo il retto del femore un muscolo bi-articolare, durante l’estensione del ginocchio ad anca flessa vie è maggio partecipazione dei muscoli vasto laterale, vasto mediale, vasto intermedio.
Durante l’estensione monoarticolare del ginocchio, il gruppo degli ischiocrurali non partecipa, con la loro co-contrazione, alla stabilizzazione del ginocchio. La tibia verrà quindi sottoposta alla sola forza di traslazione anteriore del quadricipite, creando forze di taglio che, senza l’intervento degli ischiocrurali, verranno opposte dal solo legamento crociato anteriore. Durante l’esecuzione della leg extension vi è una tensione di picco per il legamento crociato anteriore che si verifica ad angoli del ginocchio inferiori a 30°.
Pertanto, se l'obiettivo è quello di utilizzare l’esercizio leg extension in fase riabilitativa si consiglia di ridurre al minimo il carico sul legamento crociato anteriore, soprattutto durante le prime fasi dopo l'intervento chi rurgico di ricostruzione dello stesso, eseguendo il movimento ad angoli del ginocchio più elevati (ovvero 50° - 100°) (Escamilla et al., 2012).
In aggiunta, però, durante l’esercizio monoarticolare, il ginocchio viene sottoposto a delle forze di compressione (sia tibio-femorali che patello-femorali) nei gradi di maggior flessione dello stesso. Pertanto è consigliabile, durante l’esecuzione della leg extension, non esasperare lo stiramento del quadricipite in fase eccentrica portando il ginocchio ad elevati gradi di flessione (Kaufman et al., 1991) Per queste ragioni, nello stesso ed in altri lavori, si sconsiglia l’uso del leg extension in soggetti con legamento crociato anteriore danneggiato o con presenza di sintomatologia riferibile ai comparti patello-femorale e tibio-femorale.
L’esercizio di leg curling è il principale esercizio monoarticolare per l’allenamento del gruppo dei posteriori della coscia.
L’esercizio è eseguibile nelle due varianti seduto e prono.
Il movimento prevede una flessione del ginocchio ad anca flessa.
Inspirare durante la fase eccentrica ed espirare durante la fase concentrica del movimento.
La particolarità di questa tipologia di esecuzione è nella posizione di partenza del soggetto: ricordiamo che i muscoli ischiocrurali sono tutti muscoli bi-articolari (fatta eccezione per il capo breve del bicipite femorale) e, di conseguenza, una posizione iniziale da seduto (anca flessa) porrà i muscoli target in una condizione di pre-stiramento con conseguente maggior attivazione degli stessi.
Il movimento prevede una flessione del ginocchio ad anca estesa.
Inspirare durante la fase eccentrica ed espirare durante la fase concentrica del movimento.
La particolarità dell’esecuzione da seduto è nella posizione di partenza del soggetto: ricordiamo che i muscoli ischiocrurali sono tutti muscoli bi-articolari (fatta eccezione per il capo breve del bicipite femorale) e, di conseguenza, una posizione iniziale da seduto (anca flessa) porrà i muscoli target in una condizione di pre-stiramento con conseguente maggior attivazione degli stessi. Nella variante prono, invece, i muscoli ischiocrurali partono da una condizione di pre-accorciamento e, di conseguenza, vi sarà minor attivazione degli stessi.
Questa situazione può essere enfatizzata da una retroversione del bacino per aumentare la condizione di pre-accorciamento. Essendo gli ischiocrurali anche dei rotatori del femore, in particolare ricordiamo che il capo lungo del bicipite femorale è un extrarotatore del femore mentre semitendinoso e semimembranoso ne sono intrarotatori, è possibile enfatizzare il reclutamento dell’uno o degli altri facendoli partire da una posizione di maggior allungamento.
Nello specifico, applicando la legge di Starling, iniziando il movimento con gli arti inferiori extrarotati, il semitendinoso ed il semimembranoso, partiranno da una condizione di prestiramento e saranno, quindi, maggiormente reclutati. Al contrario, iniziando il movimento con gli arti inferiore intrarotatori, partirà da una condizione di prestiramento il capo lungo del bicipite, con un suo conseguente maggior interessamento.
Esercizio monoarticolare che prevede l’adduzione dell’anca a ginocchio flesso.
Il movimento prevede un’adduzione dell’anca a ginocchio flesso contro resistenza (pacco pesi del macchinario).
Inspirare durante la fase eccentrica ed espirare durante la fase concentrica del movimento.
Esercizio monoarticolare che prevede l’abduzione dell’anca a ginocchio flesso.
Il movimento prevede un’abduzione dell’anca a ginocchio flesso contro resistenza (pacco pesi del macchinario).
Inspirare durante la fase eccentrica ed espirare durante la fase concentrica del movimento.
I due esercizi (con relativi macchinari) appena analizzati sono i più utilizzati in ambito di allenamento in sala pesi per quanto riguarda la stimolazione dei muscoli adduttori e abduttori dell’anca. Vi è da precisare, però, che i muscoli in questione (soprattutto i muscoli abduttori) hanno una funzione di stabilizzazione del bacino in condizioni di disequilibrio, perciò l’utilizzo dei macchinari analizzati non è la scelta migliore per stimolare al meglio i gruppi muscolari interessati.
Per quanto concerne l’abductor machine, va sottolineato che il movimento tende a stimolare anche il muscolo piriforme il quale, in una condizione di rigidità e/o ipertono, potrebbe premere sul nervo sciatico causando anche dei problemi al soggetto stesso. Infine il consiglio è quello di stimolare e sviluppare i gruppi muscolari citati attraverso l’utilizzo di esercizi per gli arti inferiori che prevedano delle condizioni di disequilibrio o, allo stesso modo, l’esecuzione del movimento in modo monolaterale (un arto per volta); tra questi esercizi troviamo: affondi, step up, squat bulgaro ecc.
Esercizio monoarticolare per l’allenamento del tricipite della sura; consiste nella flesso/estensione della caviglia.
Il movimento prevede una flessione ed un’estensione della caviglia contro resistenza. L’esercizio può essere svolto anche senza apposito macchinario utilizzando un semplice rialzo e un manubrio; inoltre il movimento può essere effettuato lavorando con una singola gamba per volta.
Inspirare durante la fase eccentrica ed espirare durante la fase concentrica del movimento.
Si tratta di un esercizio monoarticolare che prevede la flesso/estensione della caviglia a ginocchio flesso.
Il movimento prevede una flessione ed un’estensione della caviglia a ginocchio flesso contro resistenza.
In questo caso, nel momento in cui non si avesse a disposizione il macchinario, l’esercizio può anche essere eseguito da seduto, poggiando i piedi su un rialzo (uno step ad esempio) e andando a posizionare il carico (dei dischi) sulle ginocchia. A differenza del calf in piedi, nel calf da seduto il muscolo gastrocnemio partirà da una condizione di pre-accorciamento andando, di conseguenza, ad aumentare l’attivazione del muscolo Soleo.
Questo articolo è tratto dal libro Manuale di biomeccanica degli esercizi fisici.
Dipende dall'obiettivo. Lo squat allena prevalentemente i quadricipiti e i glutei. Lo stacco da terra coinvolge maggiormente la catena posteriore (femorali, glutei, erettori spinali). Entrambi sono ottimi esercizi multiarticolari.
Non esiste un esercizio "migliore" in assoluto. L'Hip Thrust è ottimo per il reclutamento del gluteo, lo Step Up per l'attivazione in percentuale, lo Squat è un buon compromesso. Variare gli stimoli è la chiave.
Lo Squat è un esercizio fondamentale. La Leg Extension isola il quadricipite, ma con alcune cautele per la salute del ginocchio. Anche gli affondi, lo Step Up e la Leg Press sono ottime opzioni.
Lo Stacco da terra e le sue varianti sono esercizi chiave. Il Leg Curl, in particolare da seduto, isola i femorali. Anche l'Hip Thrust contribuisce al loro allenamento.
Alcune macchine, come la Leg Press, possono essere utili. Altre, come l'Abductor/Adductor Machine, offrono stimoli meno efficaci rispetto ad esercizi funzionali. In generale, i pesi liberi sono da preferire.