Quando si parla di fitness è inevitabile associare a questo termine l'immagine di un soggetto intento ad allenarsi all'interno di un centro sportivo, molto spesso al lavoro con l'uso di pesi e macchine per la stimolazione muscolare. Il body building, con i suoi limiti e i suoi difetti, ma anche con i suoi vantaggi ed i suoi pregi, è certamente una delle discipline che più di altre ha consentito la diffusione del concetto stesso di fitness. Tutt'ora l'attrazione esercitata da grandi masse muscolari, o perlomeno il desiderio di rimodellare la propria struttura anatomica, sono le leve che spingono buona parte degli appassionati verso le attività sportive. Il principale limite del body building risiede nella grande difficoltà di comunicare, approfondire ed applicare i concetti scientifici alla base della disciplina. Malgrado la scienza del fitness si sia fortemente evoluta, vi è una resistenza nel voler abbandonare vecchie e stereotipate idee, che nella loro semplicità sono certamente rassicuranti e facilmente comprensibili, ma che spesso non poggiano su nessun elemento oggettivo e degno di riscontro.
Sviluppatosi in forma quasi auto-ghettizzante, invece di raccogliere a proprio vantaggio le evoluzioni tecnico scientifiche progressivamente disponibili, ha assunto un atteggiamento di chiusura rispetto al mondo esterno, subendo e percependo in modo frustrante l'individuazione degli errori commessi dai pionieri del culturismo. Atteggiamento che incontra ancora oggi numerose sacche di resistenza, alimentando stereotipi che colpiscono indiscriminatamente gli appassionati di questa disciplina. Il body building, e più in generale l'allenamento con i sovraccarichi, offrono invece occasione di miglioramento estetico e funzionale, oltre che efficace base per la preparazione atletica di pressoché tutte le altre discipline sportive. L'azione prodotta dal lavoro con i sovraccarichi sul corpo ha numerosi vantaggi, non solo a livello muscolare, ma anche sulle strutture ossee e a livello metabolico. Naturalmente la maggioranza degli utenti dei centri fitness puntano semplicemente e principalmente all'impiego del body building come strumento per migliorare la propria ipertrofia, soprattutto con riferimento al mondo maschile, mentre il sesso opposto in larga misura ancora oggi teme (erroneamente) di andare incontro a volumi muscolari esasperati.
Ribadendo i vantaggi che risiedono dietro l'allenamento con i sovraccarichi, pur calibrando l'intensità del lavoro alle esigenze del singolo, è sempre opportuno conoscere e analizzare i principali esercizi di muscolazione, i dettagli che caratterizzano ciascuno e l'analisi della loro corretta esecuzione.
È possibile analizzare i dettagli di un gran numero di esercizi da questo link www.nonsolofitness.it/esercizi, ma è necessario prima di tutto effettuare una classificazione generale che possa aiutare a comprenderne le differenze e le caratteristiche macroscopiche. Anche in questo caso occorre precisare che le classificazioni che seguono sono di ordine generale e sarà possibile in casi specifici osservare delle eccezioni che, anche dove non modifichino la classificazione di un esercizio, potrebbero mettere in luce effetti, limiti o benefici differenti rispetto al gruppo di appartenenza dell'esercizio medesimo. Parlando di allenamento con i sovraccarichi è possibile distinguere tra:
Sono rappresentati da esercizi che coinvolgono una sola articolazione nel corso dell'esecuzione del gesto, ad esempio l'esercizio pectoral machine chiama in causa esclusivamente l'articolazione della spalla. Questi esercizi mediamente determinano un minore impegno neuromuscolare rispetto agli esercizi poliarticolari e, con i limiti della definizione, sono anche detti esercizi di isolamento.
Sono rappresentati da quel gruppo di esercizi che, nel corso della loro esecuzione, coinvolgono due o più articolazioni, ad esempio nelle distensioni con bilanciere su panca piana è possibile individuare il ruolo dell'articolazione della spalla e del gomito. Normalmente implicano un impegno neuromuscolare maggiore per via di una esecuzione più complessa. Salvo specifiche esigenze o precise tecniche di allenamento (ad esempio preaffaticamento), gli esercizi poliarticolari vengono effettuati prima degli esercizi monoarticolari all'interno di un allenamento, chiaramente riferendosi alla sequenza di esercizi previsti per il singolo distretto anatomico. Sebbene la questione resti controversa, soprattutto in merito al sostanziale beneficio, numerosi autori concordano nel ritenere l'esecuzione di tali esercizi utili nel fornire un incremento nella quota di testosterone.
Gli esercizi poliarticolari vengono spesso definiti come esercizi di base, e quelli monoarticolari come esercizi complementari, tuttavia anche questo utilizzo dei termini come sinonimi è una semplificazione fallace, non fosse altro che il concetto di "esercizio di base" è correlato alle finalità per le quali lo si esegue. Pertanto l'utilizzo di tale terminologia dovrebbe tenere conto anche del significato stesso dei termini, in ogni caso nell'ambito di un allenamento finalizzato all'incremento dei volumi il concetto di poliarticolare/base e monoarticolare/complementare ha una sua logica essendo effettivamente gli esercizi poliarticolari maggiormente efficaci per lo stimolo ipertrofico (e quindi esercizi di base), mentre i monoarticolari svolgono prevalentemente il ruolo di "perfezionare" specifiche aree, e sono quindi di complemento.
Sono rappresentati da esercizi in cui il giunto terminale ha libertà di movimento, l'esempio più comune è dato dalla leg extension.
Sono rappresentati dalla presenza di un vincolo che limita la libertà di movimento del giunto terminale, l'esempio più comune è dato dallo squat. Rientrano in questa classificazione gli esercizi in cui la resistenza contro la quale ci si oppone può essere vinta ma anche quegli esercizi dove la resistenza è inamovibile e quindi lo spostamento avverrà in direzione opposta rispetto ad essa, ovvero tanto esercizi che permettono il movimento contro resistenza della parte vicina o a contatto con essa (ad esempio leg press), quanto esercizi che provocano l'allontanamento dell'estremità corporea opposta (ad esempio squat).
Nel descrivere gli esercizi che seguono sarà spesso citato il ROM e le forze di taglio. ROM è un acronimo che sta per Range of Motion e individua il grado di escursione articolare, ovvero il completo arco di movimento consentito da una articolazione dalla posizione di partenza a quella terminale. È fondamentalmente influenzato dal tipo di articolazione, l'elasticità delle strutture connesse con l'articolazione, la temperatura, ecc.
Le forze di taglio sono tra le più comuni forze cui le strutture articolari sono sottoposte, e ovviamente ne esistono di altri tipi come ad esempio le forze di compressione la cui identificazione è molto più semplice. Le forze di taglio coinvolgono prioritariamente quelle articolazioni protagoniste nei movimenti di flesso-estensione e sono rappresentate da forze che agiscono in direzione opposta fra loro e, più nel dettaglio, in direzione opposta rispetto alla trazione che agisce su una articolazione. Per definizione possiamo affermare che le forze di taglio provocano una deviazione delle tensioni che operano parallelamente alla superficie articolare e perpendicolarmente alle forze di compressione1. Un esempio classico per descrivere al meglio l'azione delle forze di taglio è l'esecuzione della leg extension. In questo esercizio infatti la forza esercitata dal pacco pesi sul versante distale della tibia, e l'attivazione del quadricipite per contrastarla, provoca uno slittamento in avanti dell'estremità opposta (prossimale) pressochè parallelo alla superficie articolare, se non vi fosse il supporto di tendini e legamenti la tibia si staccherebbe dal ginocchio spostandosi in avanti. Nel caso della leg extension il lavoro contenitivo è esclusivamente a carico del legamento crociato anteriore che opera passivamente ma, in altri tipi di movimenti, ad esempio nell'esecuzione di uno squat, entrano in gioco delle strutture attive e nel dettaglio i muscoli ischiocrurali (semitendinoso, semimembranoso, bicipite femorale) che con la loro contrazione tirano indietro la struttura tibiale opponendosi al suo slittamento in avanti. In questo caso si parla di co-contrazione degli ischiocrurali in armonia con quella del quadricipite, che riduce enormemente l'effetto negativo delle forze di taglio e, nei movimenti in cui ciò avviene, rende il gesto più sicuro e in misura ancora maggiore se, al piegamento dell'arto (flessione del ginocchio) si associa un'estensione dell'anca che attiva massimamente la porzione muscolare posteriore della coscia. Tornando all'analisi della leg extension nel corso dell'esercizio la contrazione delle muscolatura anteriore della coscia provoca, attraverso il tendine rotuleo, una applicazione di forza dal basso verso l'alto che, sempre grazie alla struttura articolare, non provoca lo "schiacciamento" (perlomeno non in senso stretto) della tibia conto il femore, ma ne determina una traslazione che la estende. Condizioni simili sono individuabili nella vita di tutti i giorni, e non solo eseguendo esercizi in palestra è sufficiente, ad esempio, salire delle scale o calciare una palla. Si deduce quindi che le articolazioni sono costantemente sottoposte a forze di taglio, e grazie a queste sono permessi alcuni movimenti quando gli arti si trovano in specifiche situazioni. Riassumendo e semplificando quindi, le forze di taglio se fossero libere di agire "staccherebbero" dall'articolazione una delle strutture ossee che la compone, ciò è impedito attraverso l'azione di alcuni muscoli e all'intervento di tendini e legamenti che, giocoforza, sono sottoposti a stress tanto maggiori quanto più elevate sono le forze di taglio. Non sono le forze di taglio in quanto tali a determinare un possibile danno ma, come per ogni altra forza agente sulle articolazioni, è la loro entità a poter esporre a una condizione di pericolo. Per questa ragione alcuni esercizi, o più frequentemente alcune esecuzioni, sono fortemente sconsigliate.
Qualche ulteriore parola andrebbe spesa in merito al concetto di corretta tecnica di esecuzione e alla sua rilevanza. Eseguire correttamente un esercizio è fondamentale sebbene, spiace dirlo, la quasi totalità degli individui baratta la tecnica esecutiva con la vanità di un gesto effettuato con un carico particolarmente elevato. Eseguire correttamente un esercizio non è importante solo per limitare eventi traumatici ma lo è soprattutto per ottenere un risultato migliore, spesso con un dispendio in termini di tempo e lavoro assai inferiore, e con una gestualità maggiormente vicina alla funzionalità corporea. Come se non bastasse occorre considerare che il corpo apprende secondo uno specifico pattern la metodica esecutiva, e se "impara" ad eseguire male un compito motorio continuerà farlo sempre in tale modalità. Per questo è necessario disinnescare tale rischio, farlo sin dall'inizio apprendendo le corrette modalità esecutive senza la fretta di "caricare". Variare spesso, o in ogni caso con la giusta frequenza, gli esercizi svolti per un medesimo gruppo muscolare consente di evitare una condizione di plateau determinata proprio dal consolidarsi di uno schema motorio che sarebbe eseguito con una modalità sempre uguale a se stessa, riducendo al minimo possibile l'impegno muscolare e quindi i successivi adattamenti.
Qualche altra considerazione andrebbe fatta in relazione alla corretta esecuzione degli esercizi e al rischio di traumi e infortuni. In maniera certamente provocatoria è possibile distinguere tali eventi in 3 categorie:
Gli incidenti sono, come il termine chiarisce col suo significato, eventi traumatici indesiderati causati da situazioni accidentali e a volte imprevedibili, è possibile limitarli drasticamente attraverso la corretta selezione del carico e la corretta esecuzione del gesto.
I traumi legati ad accumulo di stress sono spesso conseguenti una condizione di overtraining o di piccole imperfezioni nell'esecuzione del gesto che si ripercuotono con stress articolari o tendinei danno luogo alla lunga a eventi dolorosi persistenti e talvolta di difficile trattamento terapeutico.
Ci sono infine i traumi che (provocatoriamente) definiamo "desiderati", vale a dire causati da una esecuzione totalmente sbagliata di un esercizio, ad esempio le alzate laterali con intrarotazione dell'omero; dall'utilizzo improprio di un attrezzo, ad esempio con impugnature errate; o dalla pratica di esercizi perfettamente inutili ma potenzialmente pericolosi, ad esempio le torsioni con bilanciere. Statisticamente parlando la maggior parte dei traumi sono sicuramente attribuibili a questo terzo gruppo di eventi, ossia quelli "desiderati", poiché basterebbe un minimo desiderio di conoscenza della materia per evitarli, e se la pigrizia che risiede dietro la voglia di apprendere è talmente elevata da consentire esecuzioni macroscopicamente dannose, significa che probabilmente vi è la voglia di farsi male. Limitare tale gruppo di eventi è relativamente semplice, è facilmente intuibile pertanto che, se correttamente praticato, l'uso dei sovraccarichi è certamente un'attività a bassissimo rischio in rapporto ad altre discipline sportive.
Molto spesso, anche in questo sito, nella descrizione di un esercizio è chiarito come sia possibile enfatizzare il lavoro su un'area del muscolo piuttosto che su un'altra, se questo è didatticamente corretto, è errato invece pensare che tale dettaglio possa poi avere ripercussioni significative in termini di adattamento di una singola porzione di un determinato muscolo, dato che il muscolo al lavoro è qualcosa di molto più complesso rispetto al solo esame teorico di un esercizio. Questo è vero all'interno di uno stesso muscolo ma è altrettanto vero per muscoli chiamati in causa in modo sinergico nello svolgimento di un compito, il cui numero è certamente più elevato di quanto si possa immaginare così come l'intervento dei singoli muscoli ben più complesso.
Inoltre quando si parla di differente sollecitazione in diverse aree di uno stesso muscolo è da intendersi sempre e soltanto per quanto attiene aree parallele rispetto alla direzione in cui si sviluppa un muscolo osservando aree di origine e di inserzione, è invece privo di ogni logica differenziare aree di uno stesso muscolo in senso perpendicolare o trasversale rispetto all'andamento delle fibre.
Questa analisi è alla base del concetto di catene muscolari, ovvero di muscoli coinvolti contemporaneamente e con aggiustamenti continui al fine di consentire un movimento o, per dirla tutta, anche per mantenere una determinata postura. Prendendo in causa il modello delle catene muscolari coinvolte in ciascun movimento sarebbe perfino da chiedersi sino a che punto un allenamento ottimale dovrebbe prevedere la segmentazione dello stimolo allenante, e quindi l'esecuzione di esercizi per le spalle, esercizi per i pettorali ecc., o valutare se sia maggiormente idoneo e auspicabile uno stimolo globale delle strutture anatomiche attraverso movimenti di tipo dinamico più complessi o, per utilizzare un termine più noto e familiare al mondo del fitness, attraverso un allenamento di tipo funzionale. Del resto, come lo stesso Souchard2 afferma
il nostro sistema nervoso volontario si occupa di movimenti e non di muscoli e, per poter lavorare in modo coordinato, sia statico, che dinamico, i nostri gruppi muscolari sono, il più delle volte, pluriarticolari e si sovrappongono gli uni agli altri, formando così delle catene muscolari
È evidente che una simile stimolazione non porterebbe a risultati, in termini di ipertrofia, neppure paragonabili con quelli di un bodybuilder ma, anche senza voler scomodare l'impiego di farmaci anabolizzanti per poter raggiungere situazioni di vertice nel settore del bodybuilding, è innegabile che la maggior parte di chi si allena con i sovraccarichi in modo "classico" di sicuro (e in ogni caso) non va oltre un certo limite ipertrofico, limite che si potrebbe raggiungere senza problemi con un lavoro di globale e non analitico con in più il vantaggio di uno stimolo funzionale, e ricadute che vadano ben oltre un miglioramento estetico e un incremento della forza muscolare. Certamente molto si sta facendo, basti guardare l'evoluzione dell'allenamento funzionale (al netto del marketing che vi ruota attorno) o l'allenamento col metodo calistenico (anche in questo caso al netto della pretesa "innovazione" che risiede dietro una metodologia vecchia di secoli).
Mutuando infine l'affermazione di Ruggieri3, che evidentemente l'ha utilizzata per ben altro tipo di analisi
l'integrazione dei diversi distretti corporei ha un'importante funzione narcisistica che è la base della costruzione dell'identità dell'Io
ebbene il principale limite del bodybuilding è proprio il suo impiego fine a se stesso, troppo spesso limitante e limitato al soddisfacimento di un bisogno narcisistico e di affermazione identitataria che, in casi limite, può portare a problemi dismorfico corporei4.