Educazione fisica a scuola? Aboliamola!

Di Pierluigi De Pascalis

Ma non è folle che l’educazione fisica sia una materia reale che preveda anche di essere valutata? Non sarebbe meglio abolirla? 50 anni di tragicomiche vicende, che qualcuno chiamerebbe capriole, e altri impettiti direbbero si tratti di capovolte!

Lo scenario è questo: in Italia (dati dell’Istituto Superiore di Sanità del 2022-2023) il 51% delle persone è sedentario, tra questi almeno 4 giovani su 10.
Risparmio per campanilismo di rimarcare la solita differenza tra un Sud Italia con percentuali imbarazzanti, e un Nord Italia che potrebbe migliorare ma, tutto sommato, se la cava.
Risparmio anche di sottolineare, in questo caso per evitare polemiche, in quali regioni le strutture sanitarie paiono essere meno performanti e quanto la sedentarietà sia legata a doppio nodo con le condizioni di salute. Non vorrei neppure lasciar trasparire quello che penso comunicando questi dati, ossia che chi già vive in aree geografiche dove accesso e qualità dei servizi sanitari appaiono più difficoltosi, si permette anche il “lusso” di essere sedentario, e quindi di correre maggior rischio di averne bisogno.

Come spesso affermo, tutti chiedono il certificato di idoneità alla pratica sportiva, ma andrebbe verificata invece l’idoneità a restare sedentari.

In ogni caso, ripeto, queste cose preferisco non dirle, non scriverle, e andare direttamente ai dati.

Un recente report pubblicato sul Maternal and Child Health Journal1, lancia l’allarme segnalando che dal 1990 ad oggi l’aumento del sovrappeso e dell’obesità infantile ha caratterizzato ogni angolo del globo, con Grecia, Italia e Spagna che hanno il 15% circa di bambini obesi, gli stessi le cui mamme sobillano i pediatri con la famosa (testuale) affermazione: “Dottore, mio figlio non mi mangia”.
Perché nella cultura mediterranea il cibo è sinonimo dell’amore, al punto che se il figlio “non mi mangia” è quasi un urlo di dolore, perché forse l’amore materno non è adeguatamente ricambiato, la madre non è introiettata.

L’altro dato che devo segnalare è che a scuola l’educazione fisica non si chiama più “educazione fisica” (come ho scritto nel titolo di questo editoriale), e sicuro qualcuno degli indignati in servizio permanente era già pronto a farmelo notare. Ma questo cambio di denominazione ha più o meno lo stesso valore e il medesimo vantaggio della scritta “inesitate” sulla scatola degli uffici postali, o del “titolo di viaggio” necessario a prendere il treno. Anche con termini forbiti il risultato non cambia: il mio postino (spesso) non suona neppure, lascia l’avviso e porta le raccomandate nella scatola delle “inesitate”, così fa prima e tocca a me andarle a recuperare, e il regionale, anche se siete adeguatamente muniti di “titolo di viaggio”, avrà mediamente 20 minuti di ritardo. Se non lo cancellano.

Cambiamo il nome ma non la sostanza. Allora (forse) tanto vale eliminare l’educazione fisica dalla scuola, non certo perché io la ritenga inutile, ma perché proprio questa mattina mentre ero “diversamente impegnato a lavorare” mi imbatto in una discussione su X (il fu Twitter), in cui un utente affermava testualmente: “per me è una follia che educazione fisica sia una materia reale e che venga anche valutata”.
Di primo impatto ero pronto anche a replicare in malo modo, perché le Scienze Motorie (ops… mi è scappato, e l’ho scritto perfino con le maiuscole), per me sono un po’ come un figlio. “E i figlie so' piezz' 'e core”, se a rimproverarli siamo noi genitori va bene, ma se a criticarli sono gli altri, salta la mosca al naso.

Tuttavia per una volta, visto che avevo anche una “diversa voglia di lavorare”, invece di rispondere ho letto per intero la discussione che, in poche ore, contava 700.000 visualizzazioni, 800 condivisioni, 6.200 “like”, 262 repliche. Che non saranno l’equivalente di uno studio randomizzato controllato, ma in ragione di un profilo social che non è legato all’ambito specifico delle Scienze Motorie, certamente non parla a una bolla egoriferita.

Ebbene le critiche e le fragilità che hanno portato a una simile esternazione non sono di poco conto. Si contesta il tipo di approccio e il metodo di valutazione, l’umiliazione del non avere idonee peculiarità fisiche per affrontare le richieste, l’impossibilità di testare vari ambiti motori o discipline. Replica dopo replica emerge sotto al tweet una condizione che è di fondamentale stallo nel corso degli ultimi 40 anni, chi lamenta di aver sempre e solo giocato a pallavolo, chi di essere stato deriso nell’esecuzione del quadro svedese (e anche su questo ce ne sarebbe da dire).

Per fortuna in molte delle repliche emerge anche un senso di forte consapevolezza dell’importanza e delle ricadute possedute dall’attività motoria, dall’ambito cognitivo a quello psicopedagogico, passando per la prevenzione di problemi posturali e metabolici, per finire alla sacrosanta osservazione che è compito della scuola anche insegnare elementi utili per la vita.
E se non lo è l’attività motoria, non si comprende cos’altro possa esserlo. Però poi si cade sempre su quel “ma”, e quel ma è dannatamente troppo spesso legato alle strutture realmente disponibili o alle competenze e attitudini del docente (che una volta era il prof. di ginnastica).

E io qui conosco già le barricate e le obiezioni dei sindacalisti delle Scienze Motorie, la prima fra tutte “non occorre generalizzare, anche tra i docenti delle altre materie ci sono i fannulloni e gli incapaci!”.

Certo, è la mia risposta, ci mancherebbe altro, ma non mi pare un buon punto di partenza giustificare la propria fallacia evidenziando quella degli altri. E mi pare anche che ci si sia ingegnati più per trovare nomi fighissimi per una categoria, che non fosse più un banale “professore di ginnastica”, piuttosto che pretendere un percorso formativo idoneo, serio nella valutazione, e al passo con i tempi. Il senso di scarsa considerazione, prima che da ricercare su Twitter (pardon, su X), o ai colloqui scolastici, è radicato nella categoria medesima.

A tal punto radicato che mentre una volta non si vedeva l’ora di indossare la “tuta”, i neo laureati di oggi non vedono l’ora di indossare il camice bianco e di definirsi “clinici”. L’attività fisica, l’elemento innato che più innato non si può, invece di essere esaltata nella sua peculiarità, necessita della “patologia” e dell’elemento “clinico” per avere dignità, almeno quella lessicale.
Pazienza se poi l’ambizione massima è da sempre rimasta quella di un posto fisso per far giocare a pallavolo i ragazzi, e se l’Italia è da sempre tra gli Stati in cui si praticano meno ore settimanali.

Negli ultimi 50 anni non si è riusciti a far cambiare la percezione di una materia in chi transita per il mondo della scuola, se non ci si rende conto che è questo un fallimento totale, fatto di colpevoli e complici, allora questo fallimento ce lo meritiamo, e anche cambiando nomi alle cose non si modificherà nulla di sostanziale.

Non l’educazione fisica, giammai, ma questo modo di intenderla e mortificarla, andrebbe abolito.

  1. 1 Charles H. Hennekens, et al., Navigating the Global Pandemic in Pediatric Overweight and Obesity: Emerging Challenges and Proposed Solutions. Maternal and Child Health Journal, 2024