Il rilasciamento miofasciale auto/indotto: spunti sulle metodiche

Di Andrea Casolo

L’intento è di rendere nota la teoria che si trova alla base del self-myofascial release e il conseguente miglioramento che ne determina.

Definizione e tecniche di rilasciamento miofasciale

Il termine rilasciamento miofasciale o myofascial release è utilizzato per descrivere l’insieme delle tecniche di manipolazione e mobilizzazione dei tessuti molli utilizzate in diverse terapie manuali come il massaggio connettivale, il rolfing e la tecnica strain-counterstrain.

La finalità del myofascial release è quella di riequilibrare e allungare la miofascia, riducendo le tensioni e sciogliendo le aderenze fibrose che si formano all’interno di questa.

La fascia è una rete tridimensionale di tessuto connettivo che attraversa in continuità l’organismo collegando il capo con le estremità delle dita dei piedi, e gli strati superficiali a quelli più profondi. La fascia connettivale insieme al muscolo scheletrico dà origine al sistema miofasciale, un vero e proprio organo che riveste e collega tutti i tessuti dell’organismo.

Molti fattori apparentemente poco significativi, come lo stress fisico o emotivo indotto da uno stile di vita frenetico, condizioni ambientali sfavorevoli, un regime alimentare squilibrato, l’assunzione di posture scorrette, over-training ed eventi traumatici, possono provocare un cambiamento morfologico della fascia che da uno stato più fluido si addensa assumendo la consistenza di un “gel”. Questo fenomeno causa la comparsa di contratture, tensioni, rigidità e limitazioni del movimento, inducendo talvolta la comparsa di dolore.

Grazie alle tecniche di rilasciamento miofasciale la fascia viene manipolata direttamente o indirettamente al fine di riorganizzare le fibre del tessuto connettivo che la costituiscono, rendendole più funzionali e flessibili.
Le tecniche di rilasciamento miofasciale possono essere dirette, indirette o self-induced, letteralmente “auto-indotte”.

Rilasciamento miofasciale diretto

La tecnica di rilasciamento diretta è eseguita da una figura esterna, solitamente un medico, fisioterapista o massaggiatore, che tramite l’utilizzo di nocche, gomiti, lato ulnare della mano, o altri strumenti, lavora direttamente sulla fascia ristretta agendo in profondità. Il terapista si serve delle tecniche sopra citate per applicare un buon livello di pressione e allungare la fascia che a sua volta risponde al trattamento consentendo alle mani dell’operatore di affondare sempre di più nel tessuto man mano che la tensione va estinguendosi. Non è una metodica violenta ma può essere dolorosa soprattutto nel trattamento dei tessuti più profondi.

Rilasciamento miofasciale indiretto

Il metodo indiretto, anch’esso operatore-dipendente, consiste in un approccio più delicato. Dopo aver localizzato la fascia rigida, il terapista applica delicatamente una leggera pressione in direzione della restrizione fasciale “trattenendo l’allungamento” per circa 3-5 minuti, permettendo così alla fascia di allentare la tensione in maniera autonoma. La trazione leggera applicata alla fascia ristretta si tradurrà immediatamente in calore derivante dall’aumento della circolazione sanguigna locale.

In questa tecnica l’effetto terapeutico non è dato direttamente dall’applicazione della pressione, come avviene nel rilasciamento miofasciale diretto, ma da un riadattamento della fascia stessa che grazie allo stimolo del terapista tende a riacquistare delle caratteristiche di normalità.

La metodica del self-myofascial release

Negli ultimi dieci anni si è sviluppata una pratica molto comune per il trattamento dei tessuti molli, è una nuova tecnica di rilasciamento miofasciale che prende il nome di self-induced myofascial release, traducibile ad litteram come “rilasciamento miofasciale auto-indotto”.

Il self-induced myofascial release (SMR) è una tecnica estremamente pratica di auto-massaggio, finalizzata al trattamento della rigidità e delle restrizioni dei tessuti molli.
L’aspetto forse più innovativo di questa tecnica è l’auto-somministrazione, infatti questa non richiede la presenza di un terapista, ma allo stesso modo è in grado di agire sulle barriere restrittive e sulle aderenze fibrose che si sviluppano tra gli strati del tessuto miofasciale in seguito a stress muscolari o infortuni.

Grazie alla sua efficacia nel migliorare il recupero post-esercizio, il SMR è diventato progressivamente parte integrante dell’allenamento sportivo, andando a integrare o addirittura sostituire per la sua praticità ed economicità, la figura del massaggiatore.

Oltre ad avere un ruolo importante nel post-esercizio il suo effetto riscaldante sui tessuti, ne favorisce l’impiego anche nel riscaldamento pre-esercizio.

In generale si possono distinguere due diverse tecniche di applicazione:

  • la compressione dinamica o auto-massaggio: prevede che il soggetto in auto-trattamento sfrutti il proprio peso corporeo applicandolo su di un foam roller, ovvero un cilindro in gomma, per massaggiare, eseguendo delle leggere ondulazioni avanti e indietro, i tessuti miofasciali a contatto con esso. L’attrito indotto dallo stimolo meccanico e pressorio causa il riscaldamento della fascia, che grazie alle sue proprietà tissotropiche modifica la sua consistenza passando da uno stato più solido e denso “gel”, a uno più fluido “sol”, permettendo il ripristino dell’elasticità dei tessuti.
  • la compressione statica: anche questa tecnica si serve del peso corporeo del soggetto ma prevede il mantenimento di una pressione statica su una contrattura o un nodulo (trigger point) particolarmente dolente della miofascia in modo tale da creare un effetto ischemico locale. La compressione stimola i meccanocettori sottocutanei a inibire la tensione muscolare e dunque a decontrarre il muscolo contenente il trigger point; inoltre la compressione è determinante per il suo effetto ischemico locale che causa un maggior afflusso di sangue e di nutrienti nella regione interessata una volta che la pressione viene meno.

SMR per l’incremento della mobilità articolare

In letteratura scientifica vi è un numero limitato di studi che analizzano l’effetto del self-myofascial release per mantenere o migliorare il ROM articolare e molti trial clinici randomizzati (RCT) presentano scarsa validità metodologica.

Il primo studio che indaga l’effetto del SMR sul miglioramento della flessibilità e del ROM articolare è stato quello di Graham.1

Lo studio ha esaminato l’effetto di un bout acuto di SMR mediante foam roller, sui muscoli estensori di ginocchio, in termini di forza massima, attivazione neuromuscolare e ROM articolare. Undici maschi sani e fisicamente attivi hanno preso parte allo studio. È stata misurata la massima contrazione volontaria del quadricipite (MCV), la forza generata dal muscolo nei primi 200 ms di MCV, l’attivazione neuromuscolare e il ROM dell’articolazione del ginocchio prima del training e a distanza di 2 e 10 minuti dalla seduta di SMR.

Il gruppo di intervento ha eseguito 2 bouts da 1’ ciascuno di foam rolling con tecnica auto-massaggiante sul quadricipite con recupero di 1 minuto tra uno e l’altro, mentre il gruppo di controllo non ha eseguito alcuna seduta di SMR.

Lo studio dimostra una differenza statisticamente significativa del ROM articolare del ginocchio in favore del gruppo di intervento, con un miglioramento in media di 10° (12,2%) a 2 minuti dal trattamento di foam rolling, e di 8° (10,3%) dopo 10 minuti.

Più interessante ancora è stata la scoperta che nessuno dei primi tre parametri sopra testati, MCV, forza evocata nei primi 200ms e attivazione neuromuscolare, ha avuto una riduzione significativa. Pertanto si può affermare che il SMR è una tecnica efficace per il miglioramento del ROM articolare in acuto senza però causare, al contrario di tecniche come il massaggio prolungato e lo stretching statico, una riduzione dell’attivazione neuromuscolare e dell’espressione di forza al termine della seduta.

Lo studio di Sullivan ha dimostrato che una seduta di roller-massager (strumento a forma di mattarello) sulla muscolatura degli hamstrings può portare a un miglioramento del 4,3% del ROM articolare dell’anca. I soggetti reclutati sono stati sottoposti a 4 training differenti, rispettivamente: 1 serie da 5s, 1 serie da 10s, 2 serie da 5s, 2 serie da 10s di SMR con tecnica di auto-massaggio.2

Indipendentemente dal training eseguito, tutti i quattordici soggetti testati hanno avuto un significativo miglioramento del ROM articolare misurato mediante il sit and reach test. In particolar modo sembra che il tempo di esecuzione del SMR influisca sul miglioramento del ROM articolare in quanto i soggetti sottoposti a un bout di SMR di durata superiore (10s) hanno avuto un miglioramento del 2,3% in più, rispetto ai soggetti praticanti il training di SMR di 5s.

Lo studio ha anche dimostrato una differenza statistica irrilevante per quanto riguarda la MCV e l’attivazione neuromuscolare prima e dopo tutti i training di SMR. Ovviamente, i risultati degli studi di Graham e Sullivan appena analizzati sono ridimensionati dalla scarsa numerosità campionaria. In ogni caso sono molto interessanti poiché forniscono preziose informazioni sull’efficacia di questa tecnica. La teoria più diffusa per spiegare il miglioramento del ROM articolare in acuto in seguito ad una seduta di SMR, sembra essere legittimata dalle proprietà tissotropiche della fascia che riveste i muscoli, in grado di modificare la sua consistenza, passando da uno stato gelatinoso e denso a uno più fluido.

Fattori di natura traumatica, infiammazioni, infortuni, inattività o patologie, causano la disidratazione e la perdita di elasticità del tessuto fasciale e miofasciale. Questa “disfunzione” della fascia dà origine a degli anormali segmenti anelastici di tessuto cicatriziale che la rendono più rigida. La formazione delle aderenze fibrose limita l’estensibilità dei tessuti molli direttamente a contatto con la fascia e ciò comporta la riduzione dell’escursione articolare e in alcuni casi l’insorgenza del dolore. Si pensa che il SMR possa essere una metodica efficace per sciogliere ed eliminare tutte le restrizioni fasciali e muscolo-articolari che provocano disfunzione e perdita di mobilità articolare.

Il calore o uno stimolo meccanico, come può essere il self-massage e la pressione indotta dal foam roller o da una pallina da massaggio, agisce sulla fascia ammorbidendola e facendola ritornare al suo stato fisiologico fluido.

La frizione fa si che lo strato cutaneo superficiale scorra sullo strato fasciale sottostante e l’attrito tra i tessuti, garantito dalla pressione e dal movimento ondulatorio, scioglie e rompe meccanicamente i segmenti di tessuto cicatriziale anelastico restituendo elasticità alla fascia.

Come ha dimostrato Barnes, una volta ripristinato lo stato fluido della fascia anche i tessuti molli essendo meno vincolati, sono più predisposti all’allungamento e questo spiegherebbe il miglioramento del ROM articolare.3 Una seconda teoria in grado di interpretare il miglioramento del ROM articolare indotto dalla pratica del self-myofascial release, è quella giustificata dall’aumento della tolleranza del soggetto all’allungamento (stretch tolerance).

A oggi, i principi fisiologici che regolano lo stretch tolerance sono ancora sconosciuti ma si pensa che l’allungamento possa indurre un cambiamento di sensibilità delle vie nervose sensoriali, mediante la stimolazione dei propriocettori, dei meccanocettori e delle terminazioni nervose nocicettive.
Si può ipotizzare che la pressione esercitata dal peso corporeo sul foam roller, e di conseguenza trasmessa ai tessuti molli interposti, possa sovraccaricare i recettori cutanei, sottocutanei e muscolari offuscando la sensazione dolorosa dello stretching, e aumentando la tolleranza all’allungamento stesso permettendo così l’incremento del ROM articolare.

Stretching Statico versus self-myofascial release

“Il metodo dello stretching (dall’inglese to stretch=allungare) è una tecnica di allungamento muscolare che prevede l’assunzione, in circa 5 secondi, di una posizione di allungamento che dovrà essere successivamente mantenuta (componente statica) per un minimo di 10 secondi fino ad un massimo di 90 secondi”.4

Lo stretching è la metodica più praticata per migliorare l’estensibilità muscolare e di conseguenza per mantenere o recuperare nel caso di deficit, un ROM articolare fisiologico.

Malgrado in letteratura scientifica vi siano pochi studi solidi riguardo l’effetto preventivo dello stretching statico nella riduzione dell’incidenza delle lesioni muscolari, è opinione diffusa che questa tecnica riduca al minimo il rischio di infortunio in quanto cerca di inibire al massimo il riflesso miotatico da stiramento o stretch reflex.

Benché lo stretching statico (SS) sia praticato comunemente per mantenere o incrementare il ROM fisiologico articolare, è stato dimostrato da alcuni studi Bhem che se praticato in modo prolungato ha effetti negativi sulla performance dell’atleta.5-6

In particolar modo si è visto che post stretching statico vi è una riduzione dell’attivazione neuromuscolare e della forza esprimibile dal muscolo, soprattutto per quanto riguarda sforzi massimali ed esplosivi. Proprio per questo motivo la pratica dello SS è stata ridimensionata e in alcuni casi abolita dal riscaldamento pre-esercizio.

Lo studio di Morgan ha ipotizzato che la riduzione della performance possa essere attribuita al notevole stress in allungamento cui si sottopone il muscolo nel corso di un esercizio di stretching statico protratto nel tempo, che danneggerebbe i sarcomeri riducendo di conseguenza la forza muscolare esprimibile.7

Il principio che regola lo stretching è il cosiddetto riflesso inverso da stiramento noto anche come inibizione autogena, mediato dagli organi tendinei del Golgi, situati in corrispondenza dell’inserzione tra muscolo e tendine. La loro soglia di eccitazione agli stimoli di allungamento è notevolmente più elevata di quella dei fusi neuromuscolari. Per questa ragione, perché possano funzionare come recettori dell’allungamento, è necessario un allungamento di intensità notevole dell’unità funzionale muscolo-tendine. Se lo stato di allungamento del muscolo supera una soglia predeterminata, gli organi tendinei del Golgi interrompono improvvisamente la tensione muscolare di protezione del muscolo, fino a quel momento indotta dai fusi neuromuscolari in misura proporzionale all’allungamento, generando di conseguenza il rilassamento del muscolo relativo.

Il meccanismo fisiologico che regola il SMR inducendo il miglioramento del ROM articolare, è molto differente da quello alla base dello stretching statico.

Invece di applicare una certa pressione sul punto di origine e di inserzione del muscolo, consentendo l’allungamento dei sarcomeri in serie (stretching statico), il SMR potrebbe migliorare la natura tissotropica della fascia che avvolge i muscoli, incrementando la flessibilità dei tessuti molli e di conseguenza il ROM articolare.

Dagli studi sopra citati si può dedurre che il self.myofascial release migliora l’elasticità e l’estensibilità dei tessuti miofasciali, potenzialmente senza causare alcun danno muscolare ai sarcomeri e senza neppure condizionare l’espressione di forza del muscolo stesso.

In ogni caso a oggi, non vi sono studi scientifici che indagano l’eventualità di un danno muscolare derivante dall’utilizzo di strumenti come foam rollers per il rilasciamento miofasciale auto-indotto.

Il recentissimo studio di Halperin ha paragonato direttamente l’effetto del SMR tramite roller massager a quello dello stretching statico per quanto riguarda il miglioramento del ROM articolare.8 Lo studio ha consolidato i risultati dei due precedenti studi di Graham e Sullivan.

Quattordici soggetti allenati hanno preso parte allo studio ed hanno eseguito 3 serie da 30 secondi ciascuna di stretching statico (SS) o di self-myofascial release (SMR) sui muscoli flessori plantari.

Il risultato dello studio ha dimostrato che sia lo SS che il SMR migliorano il ROM dell’articolazione tibio-tarsica rispettivamente del 5,2% e del 4%, entro i primi 10 minuti post trattamento. I valori riscontrati sono in accordo con quelli precedentemente indicati dallo studio di Sullivan e Graham.

Lo studio ha anche dimostrato come il protocollo SMR ha portato a un miglioramento dell’espressione di forza (misurata mediante la MCV dei muscoli flessori plantari), dell’8,2% a 10 minuti dalla seduta, in confronto al protocollo SS in cui non è stata rilevata una differenza statisticamente significativa da prima a dopo il trattamento.

In accordo con i risultati di questo studio si può affermare che sia lo SS che il SMR sono entrambe tecniche efficaci per mantenere o migliorare il ROM articolare in acuto.

Voci glossario

Contrattura Fibre Forza Forza muscolare Organi tendinei del Golgi Sangue