Il rilasciamento miofasciale auto/indotto: campi di applicazione

Di Andrea Casolo

I possibili campi di applicazione di questa tecnica sono numerosi e si presta particolare attenzione alla sua pratica nell’allenamento sportivo.

Ottimizzare l’allenamento sportivo mediante il SMR

Sempre più spesso il foam rolling è praticato dagli atleti professionisti come parte integrante dell’allenamento sportivo.

Tra i principali effetti che hanno contribuito alla diffusione di questa tecnica di auto-massaggio sia nel mondo del fitness, che nello sport professionistico di alto livello, sono il più rapido recupero dall’affaticamento post-esercizio e la sensazione di fatica ridotta percepita in seguito a un esercizio di SMR (self-myofascial release).

A oggi si contano pochi studi scientifici riguardo gli effetti del SMR sulla performance muscolare dell’atleta professionista e dilettante, ma vi sono testimonianze di atleti d’elite che affermano che eseguire il SMR durante il riscaldamento pre-esercizio riduce la percezione dello sforzo e diminuisce le disfunzioni o i microtraumi indotti dall’allenamento stesso.

Il self-myofascial release nel warm-up pre-esercizio

È verosimile che il potenziale effetto di riscaldamento dei tessuti derivante da un esercizio di self-myofascial release, può giustificare i benefici percepiti durante la performance.

In Figura1b si può osservare un esercizio di SMR per la muscolatura estensoria di ginocchio, eseguita con un foam roller. In questo esercizio il soggetto deve sostenere parzialmente il proprio peso corporeo con gli arti superiori e in parte utilizzare il peso stesso degli arti inferiori, per esercitare una certa pressione e auto-massaggiarsi i quadricipiti.

Il mantenimento di questa posizione durante l’esercizio richiede le stesse contrazioni isometriche che intervengono in un esercizio di plank (Figura1a).

plank1
Figura 1a
plank2
Figura 1n

Il plank è un esercizio comunemente praticato per il potenziamento dei muscoli del core e si basa sul mantenimento di una posizione in tenuta isometrica, in appoggio su piedi e gomiti.

Un esercizio isometrico come il plank, può avere un effetto riscaldante sui tessuti in quanto, grazie all’aumento della circolazione sanguigna locale, va a incrementare la temperatura cutanea e della miofascia, e a sua volta a migliorare l’elasticità dei tessuti.

Lo studio di Healey ha osservato come l’effetto del self-myofascial release eseguito prima dell’esercizio fisico, può contribuire al miglioramento della performance neuromuscolare dell’atleta.1

I ventisei soggetti che hanno preso parte allo studio hanno eseguito alcuni esercizi di planking, PL (n=13, g. controllo) oppure esercizi di foam rolling, FR (n=13, g. intervento), entrambi seguiti da una serie di test atletici. Sono stati eseguiti 5 esercizi per ogni training (SMR o planking) e ciascun esercizio ha avuto una durata di 30 secondi.

I test di potenza, salto verticale, forza isometrica e agilità sono stati eseguiti sia prima che dopo i due training per valutare la prestazione. Inoltre, è stata misurata la fatica, l’indolenzimento e l’intensità dello sforzo, prima e dopo l’esercizio.

La scelta degli esercizi di planking si basa sul fatto che l’impegno muscolare prevalentemente a regime isometrico, richiesto durante la pratica di tali esercizi, è equivalente a quello richiesto dalla pratica di un esercizio di SMR.

In tal modo, il potenziale effetto riscaldante, indotto dalle contrazioni isometriche necessarie a supportare il proprio peso corporeo in entrambi i training, non viene preso in considerazione nella valutazione della performance finale.

Non sono state rilevate differenze statisticamente significative tra i soggetti praticanti il protocollo FR e quelli del protocollo PL per quanto riguarda tutti e quattro i primi test atletici. Di conseguenza, si può dedurre che il foam rolling, se eseguito prima dell’esercizio fisico, non ha un effetto diretto sulla performance. Tuttavia, se da una parte non induce un miglioramento della prestazione, dall’altra non la condiziona negativamente diminuendo i livelli di forza esprimibili dal muscolo stesso, come invece avviene con la pratica dello stretching statico.

L’unica variabile che vede distinzione tra i due gruppi di intervento dello studio analizzato, è la riduzione della fatica percepita post-esercizio.

Nei soggetti che hanno eseguito il foam rolling rispetto a quelli che hanno praticato l’esercizio di plank, si riscontra una riduzione della percezione di affaticamento, misurata mediante l’utilizzo della scala di Borg (CRZ10).

Nonostante la pratica del foam rolling non sia in grado di influenzare in modo diretto la performance neuromuscolare, si può ipotizzare che la riduzione del senso di fatica percepito dall’atleta consenta di aumentare la durata e il carico di lavoro dell’allenamento post seduta di foam rolling. A sua volta l’incremento di questi parametri può contribuire indirettamente a un miglioramento della performance.

Lo studio appena analizzato, è l’unico che esamina l’effetto del SMR eseguito prima dell’esercizio fisico sulla performance atletica.

Nonostante in letteratura scientifica vi siano pochi studi recenti che indagano gli effetti del massaggio tradizionale eseguito nel riscaldamento pre-esercizio, esistono diversi studi interessanti che vanno ad analizzare le modalità attraverso cui viene alterata la percezione soggettiva della fatica. Questi potrebbero aiutare a comprendere i meccanismi fisiologici che portano il soggetto a percepire la riduzione del senso di fatica post foam rolling.

Uno dei primi studi in questo campo è stato quello di Weinberg che ha dimostrato come “il massaggio ha un effetto di miglioramento dell’umore, con un conseguente decremento della tensione, confusione, fatica, ansia, rabbia e depressione”.2
Uno studio più recente di Weerapong del 2005 ha osservato una riduzione dei livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, nella saliva in seguito ad un massaggio.
Questo fenomeno può essere attribuito al fatto che la pressione esercitata dal massaggio sui tessuti sottostanti, è in grado di attivare il sistema nervoso parasimpatico mediante la stimolazione dei meccanocettori cutanei e sottocutanei.

In altri termini, sembra che il massaggio abbia un potenziale effetto di benessere generale, riduzione dell’ansia e miglioramento dell’umore.
Si può ipotizzare che la tecnica di auto-massaggio del self-myofascial release, se eseguita prima del work-out, può avere un simile effetto sulla riduzione della percezione della fatica riproducendo gli effetti del massaggio.
Per diverse ragioni considerare interscambiabili il massaggio manuale e quello indotto dal SMR, non sarebbe corretto. Infatti, è opportuno non trascurare l’importanza del ruolo del terapista, che è in grado di adattare il suo trattamento ai feedback ottenuti dal contatto diretto con il paziente, sia in termini di percezione tattile della cute e dei tessuti miofasciali trattati, ma anche in termini di comunicazione verbale, elementi che ovviamente non sono presi in considerazione dall’auto-trattamento con foam roller.

Il Self-myofascial release per il recupero post-esercizio

Il foam roller è comunemente adoperato come strumento per ridurre l’affaticamento derivante dall’esercizio fisico intenso e per accelerare i tempi di recupero.

È ormai noto che l’esercizio fisico intenso provoca un danno alle fibre muscolari o EIMD (exercise-induced muscle damage) causando la comparsa dei cosiddetti DOMS (delayed onset muscle soreness), anche noti come dolori muscolari a insorgenza tardiva.

Questo fenomeno viene in genere riscontrato in tutti gli individui indipendentemente dal livello di allenamento, ed è una normale risposta fisiologica a sforzi fisici vigorosi, o allo svolgimento di attività fisiche a cui non si è abituati.

Lo stress meccanico cui sono sottoposte le miofibrille durante la contrazione, in particolare con l’esercizio eccentrico, danneggia il tessuto muscolare e il connettivo che lo riveste, innescando una risposta infiammatoria acuta. Questa provoca l’insorgenza di un edema e un’infiltrazione di cellule infiammatorie che causa la perdita dell’omeostasi cellulare.

Il danno dei sarcomeri, aumenta la concentrazione di ioni calcio e la degradazione delle proteine contrattili sensibilizza i nocicettori e altri recettori specifici presenti nel muscolo, provocando una sensazione di dolore tardiva (DOMS).

I sintomi percepiti dal soggetto sono crampi, indolenzimento, gonfiore e aumento della tensione muscolare, fattori che a loro volta causano una riduzione del ROM articolare e della forza muscolare. Il dolore e il disagio associato ai DOMS solitamente raggiunge il picco tra le 24 e le 48 ore a seguito dell'esercizio fisico, e si estingue entro 96 ore.

Spesso ed erroneamente si tende ad attribuire questa sensazione di indolenzimento o dolore alla produzione e all’accumulo di acido lattico in seguito a esercizi o attività particolarmente intense. In realtà nonostante la velocità di smaltimento dell’acido lattico dipenda dal livello di allenamento del soggetto, l’organismo impiega in media 90-120 minuti per smaltire tutto l’acido lattico accumulato. Per questo motivo, l’acido lattico non può essere considerato una causa diretta della comparsa dei DOMS.

In alternativa al tradizionale massaggio decontratturante o allo stretching statico comunemente utilizzato nel defaticamento, il SMR può proporsi come strumento efficace per migliorare il recupero, prevenire l’insorgenza di dolori muscolari ad insorgenza tardiva e limitare lo sviluppo dei trigger points.
In uno studio di Graham del 2013, 20 soggetti maschi sono stati assegnati in modo casuale al gruppo di controllo (n=10) o al gruppo di foam rolling (n=10).

Tutti i soggetti hanno svolto lo stesso protocollo in cinque sessioni di allenamento eseguendo 10 serie da 10 ripetizioni di squat con carico corrispondente al 60% dell’1RM con 2 minuti di recupero tra le serie. L’unica differenza tra i due gruppi è che il gruppo foam rolling (FR) ha eseguito 20 minuti di SMR al termine di ogni sessione di allenamento.

Lo studio ha dimostrato che i soggetti del protocollo FR hanno avuto il picco di dolore muscolare 24 ore dopo l’allenamento, mentre i soggetti del gruppo di controllo dopo 48 ore. Si è osservato poi che dopo il picco alle 24 ore, l’indolenzimento indotto dall’allenamento del giorno precedente tende a ritornare ai livelli base.

Inoltre, sono stati registrati valori di indolenzimento muscolare superiori nel gruppo di controllo, rispetto al gruppo FR, in tutte e 5 le sessioni di allenamento, dimostrando l’efficacia del self-myofascial release nel velocizzare il recupero post-affaticamento muscolare e ridurre la comparsa dei DOMS. In conclusione, integrare allo stretching statico esercizi di self-myofascial release crea i presupposti per un migliore recupero e riduce la comparsa dei DOMS.

In questo modo è possibile aiutare il muscolo a drenare i cataboliti e le altre tossine prodotte dall’esercizio fisico, che inducono il senso di indolenzimento nelle ore seguenti all’allenamento.

SMR per la riduzione della rigidità arteriosa

La rigidità arteriosa è uno degli elementi che contribuisce ad aumentare il rischio di malattia cardio-vascolare, soprattutto con l’avanzare dell’età.

La perdita di elasticità dei vasi conseguente al loro irrigidimento, è associata all’aumento della pressione sistolica e l’aumento delle resistenze del letto vascolare induce l’instaurarsi di ipertrofia del ventricolo sinistro, che si trova a dover pompare il sangue con maggior forza per garantire profusione a tutti i tessuti periferici.

I vasi sanguigni sono rivestiti sulla superficie interna da cellule endoteliali che sono responsabili della secrezione di sostanze vasoattive, cioè in grado di aumentare il calibro dei vasi sanguigni (vasodilatazione). L’irrigidimento delle arterie (stiffness arteriosa) è largamente influenzato dalla perdita di funzionalità di queste cellule.3

L’ossido nitrico, più comunemente noto come monossido di azoto, è una sostanza vasoattiva secreta dalle cellule endoteliali, in grado di aumentare il calibro dei vasi sanguigni.

Gli studi di Sugawara e Wilkinson hanno dimostrato che la produzione di ossido nitrico, può influire direttamente sulla riduzione della rigidità dei vasi arteriosi.4-5

Nonostante vi siano pochi studi a riguardo, si può ipotizzare che garantire la corretta funzionalità delle cellule endoteliali è fondamentale per prevenire e combattere la stiffness arteriosa.

Lo studio di Okamoto del 2013 ha dimostrato che la pratica del self-myofascial release mediante l’utilizzo del foam roller, riduce la stiffness arteriosa in acuto.

Dieci adulti sani hanno eseguito due training di allenamento diversi: cinque di loro (gruppo di intervento) eseguono SMR su alcuni distretti muscolari e i restanti (gruppo di controllo) rimangono per la stessa durata, sdraiati in posizione supina in condizioni ambientali standardizzate.

Il training con SMR prevede esercizi con foam roller su adduttori, ischio-crurali, quadricipite, banda ileo-tibiale e trapezio: la posologia prevede venti rullate di auto-massaggio su ciascun gruppo muscolare per una durata complessiva di 15 minuti.

Prima e dopo i training è stata misurata la velocità di propagazione dell’onda di polso caviglia-brachiale (baPWV), e la concentrazione nel plasma di monossido di azoto.

La velocità di propagazione dell’onda caviglia-brachiale fornisce una stima della stiffness arteriosa. Questa metodica si basa sulla registrazione con tecnica oscillometrica delle variazioni legate al polso arterioso, grazie all’utilizzo di bracciali sistemati sull’arteria brachiale degli arti superiori e sulla caviglia, analoghi a quelli utilizzati dai normali sfigmomanometri. Quanto più la velocità dell’onda è elevata, tanto maggiore è il rischio di sviluppo di arteriopatia periferica, cioè l’occlusione acuta o cronica dei vasi degli arti inferiori.

È stata osservata una riduzione della velocità di propagazione dell’onda di polso caviglia-brachiale e un aumento della concentrazione di monossido di azoto plasmatico in acuto, dopo il training con foam roller rispetto al training del gruppo di controllo. Si può assumere dunque che la stimolazione delle cellule endoteliali della tonaca intima dei vasi sanguigni indotta dalla compressione, agevola il rilascio di sostanze vasodilatatrici come dimostrato dall’aumento di concentrazione di monossido di azoto nel sangue in seguito alla pratica di esercizi di SMR.

Questi risultati suggeriscono che il SMR ha un effetto benefico sulla funzionalità arteriosa e che può essere una metodica alternativa rispetto allo stretching o allo yoga per prevenire o combattere la rigidità arteriosa e le sue complicazioni.

Una maggior elasticità arteriosa contribuisce inoltre a ridurre il lavoro cardiaco e la frequenza cardiaca media del soggetto.

Tecniche di inibizione dei Trigger Points miofasciali

Il termine trigger point viene utilizzato esclusivamente in riferimento a punti localizzati e iperirritabili, dei noduli palpabili situati in bande rigide all’interno dei muscoli.

I trigger points attivi proiettano dolore sia a riposo sia durante il movimento, quelli latenti sono clinicamente silenti dal punto di vista del dolore ma sono dolenti alla palpazione.

L’inattivazione o l’eliminazione di un trigger point è essenziale per la riduzione del dolore e il ripristino della normo-funzione. L’obiettivo del trattamento è quello di ridurre la sensibilità del TrP e uno dei fattori chiave per il successo è proprio la specificità del sito di azione.

Diverse tecniche terapeutiche sono impiegate comunemente per ridurre la dolorabilità legata a un trigger point, queste si distinguono in metodiche invasive e metodiche non-invasive.

In generale il processo di recupero può essere suddiviso in 3 step:

  • Inattivazione del punto trigger: si basa sul ridurre la sensibilità del TrP grazie all’impiego di tecniche invasive e non-invasive;
  • Correzione dei fattori perpetuanti: comprende l’eliminazione o la correzione di quei fattori e abitudini considerate come causa dell’attivazione dei TrPs. Richiede un’analisi più accurata della postura, della biomeccanica ed ergonomia del soggetto;
  • Ripristino della normo-funzione del muscolo affetto: avviene tramite il ripristino della lunghezza muscolare fisiologica.

Tra le metodiche non-invasive, la tecnica della compressione ischemica è una delle più utilizzate.

Questa tecnica si basa sull’applicazione di una pressione graduale, costante e crescente sul punto trigger fino alla percezione di una prima resistenza, o barrier palpabile, opposta dal tessuto stesso. È importante che la pressione applicata sia tollerabilmente dolorosa senza provocare la contrazione del muscolo interessato. Raggiunta la barriera, è necessario mantenere la pressione costante sul TrP fin tanto che non si avverte il rilasciamento della barriera stessa; a questo punto il tessuto consentirà una maggior penetrazione.

Quando la prima barriera viene rilasciata, occorre applicare una maggiore pressione sul punto trigger e ripetere la procedura fino ad incontrare una nuova barriera, fino all’estinzione dei sintomi.

La pressione esercitata direttamente sul trigger point, ottenuta mediante digitopressione o mediante l’utilizzo di particolari strumenti (foam roller, palline, rulli massaggianti etc.), causa l’allungamento dei sarcomeri e riduce la tensione muscolare.

Inoltre, l’applicazione della pressione su un tessuto provoca una riduzione significativa del flusso ematico loco-regionale. Quando la pressione esercitata viene interrotta, è raggiunto l’esito terapeutico desiderato ovvero un neo afflusso di sangue ricco di nutrienti.

Lo studio pilota di Moraska ha osservato un cambiamento del metabolismo cellulare in seguito al rilasciamento di un trigger point mediante compressione ischemica.6

Grazie alla procedura invasiva della microdialisi, è stato possibile prelevare di continuo il liquido interstiziale nel trigger point durante e al termine del trattamento di inattivazione.

È stato confermato come nei 20 minuti seguenti al trattamento pressorio sul TrP, il flusso sanguigno aumenti notevolmente agevolando l’afflusso al tessuto di nuovi nutrienti, evento confermato dall’aumento di concentrazione di glucosio al termine del trattamento.

Oltre all’aumento di concentrazione di glucosio è stato rilevato un aumento di concentrazione di acido lattico; questo fenomeno sembra essere apparentemente in contrasto con l’incremento di afflusso sanguigno, che avrebbe dovuto facilitarne la rimozione.

L’incremento iniziale di acido lattico è giustificato dall’intervento della glicolisi anaerobica, in cui il glucosio trasportato dal neo afflusso sanguigno, viene metabolizzato producendo energia (ATP) e acido lattico. Di conseguenza la concentrazione di acido lattico aumenterà fin tanto che il meccanismo aerobico non entrerà completamente in funzione in seguito alla risoluzione dello stato di ischemia legato al TrP.

Tra le metodiche non-invasive, la tecnica del self-myofascial release può contribuire in modo significativo all’inibizione di un trigger point.

La pressione esercitata sul TrP, mediante l’utilizzo di piccoli attrezzi come foam rollers, palle mediche, rulli massaggianti e palline, può contribuire a ricreare l’effetto ischemico e ridurre la dolorabilità del TrP.

In questo caso la tecnica del SMR non prevede movimenti ondulatori e massaggianti (tecnica dell’auto-massaggio), ma si basa sul mantenimento di una posizione statica (tecnica della compressione statica), in cui una pressione costante e crescente viene applicata sul TrP fino al rilasciamento della barriera e alla riduzione della dolorabilità.

Tuttavia la grandezza dello strumento utilizzato può limitare l’efficacia di questa tecnica poiché come anticipato, il segreto dell’efficacia del trattamento di un TrP è la specificità del sito di azione. È consigliato pertanto l’utilizzo di attrezzi di dimensione sempre più ridotta per avere un effetto più incisivo sul punto specifico.

Un’altra tecnica non-invasiva tra le più diffuse è quella dello stretch and spray, che si basa sul portare gradualmente il muscolo ad uno stato di stretching passivo e indolore fino al raggiungimento di un punto barriera. Dopo aver raggiunto lo stato di massimo allungamento del muscolo affetto da TrP, viene applicato il ghiaccio spray sull’area di dolorabilità. Il getto refrigerante tende a inibire il dolore proveniente dalla regione ipertonica che circonda un punto trigger.

Il Dottor D. Simons, autore di “Myofascial Pain and Dysfunction – The Trigger Point Manual”, sostiene che, nel processo di desensibilizzazione e inattivazione del punto trigger, è fondamentale ripristinare la normale lunghezza fisiologica del muscolo, mediante esercizi di stretching e allungamento globale. Pertanto la tecnica di stretch and spray diviene tecnica d’elite in quanto utilizza lo stretching come parte del trattamento.

A conferma dell’importanza dello stretching, lo studio di Hanten del 2014 propone l’esecuzione di un programma di auto-trattamento della durata di cinque giorni consecutivi comprendente SMR sui trigger point ed esercizi di stretching statico sostenuto della muscolatura del collo e della colonna dorsale. Lo studio dimostra come questo training contribuisca alla riduzione dell’intensità del dolore (valutata mediante la scala di VAS) e della sensibilità dei TrPs (valutata mediante la misura della soglia algica pressoria) in soggetti affetti da dolori al collo e mal di schiena.

Tra le metodiche invasive di competenza esclusivamente medica si distingue il dry-needling, letteralmente “puntura a secco”, una tecnica che si basa sulla penetrazione del punto trigger mediante un ago mantenuto in loco fino alla scomparsa della sensazione di dolore.

Ancora più invasiva è l’iniezione di sostanze anestetiche, come la procaina, o l’inoculazione della tossina botulinica che causa una vera e propria deafferentazione del trigger point.

Alcuni studi molto interessanti hanno dimostrato un possibile legame tra i trigger points miofasciali e i punti di agopuntura.
Lo studioso Melzack nel 1977 ha osservato come “vi sia una correlazione del 71% tra i trigger point e i punti di agopuntura, se si paragona la loro distribuzione spaziale e le regioni di dolore riferito”.7

A differenza del dry-needling in grado di penetrare nel tessuto muscolare profondo, l’agopuntura agisce in maniera più superficiale sullo strato sottocutaneo andando a stimolare alcuni punti specifici (acupoints), appartenenti ai meridiani energetici principali.

Secondo la medicina tradizionale cinese andando a tonificare o inibire l’energia che attraversa il singolo punto si può agire sia sull’organo di riferimento del canale energetico, sia sulla regione di spazio che lo circonda, andando a risolvere contratture, stress muscolari da sovraccarico e inattivare i trigger points. Tra le metodiche di ambito clinico, due tecniche emergenti nel management dei trigger points sono gli ultrasuoni e la magnetoterapia, che hanno la capacità di stimolare efficacemente e in modo meno invasivo il sito, offrendo un'alternativa sicura ed efficace al dry-needling.

Alle metodiche descritte, si aggiunge la terapia farmacologica soprattutto nelle fasi acute o durante il trattamento. Esistono tre classi di farmaci che possono essere utili: antidepressivi, antinfiammatori e miorilassanti.

Voci glossario

Allenamento Azoto Forza Frequenza cardiaca Glucosio Metabolismo Miofibrille Sangue