Biomeccanica delle leve e del movimento umano nell'apparato locomotore

Di Diego Campaci

L'articolo tratta il funzionamento delle leve nel corpo umano, evidenziando i diversi tipi di leve (1°, 2° e 3° genere) e il loro ruolo nell'apparato locomotore. Inoltre, spiega i movimenti corporei, l'anatomia delle ossa e dei muscoli, e come le fibre muscolari generano contrattilità tramite l'interazione tra actina e miosina.

Indice

Le leve

La leva è una macchina semplice costituita da un’asta rigida vincolata ad un punto fisso detto fulcro (f), attorno al quale è libera di ruotare. In due punti diversi della leva sono applicate due forze, una motrice ed una resistente, denominate rispettivamente potenza (P) e resistenza (R). La distanza esistente fra R ed f è detta braccio della resistenza (br), mentre la distanza esistente fra P ed f è detta braccio della potenza (bp). Le leve possono essere di tre generi:

  • Leva di 1° genere o inter-fulcrale (fig. 1a): il fulcro f è interposto fra la potenza P e la resistenza R. Può essere vantaggiosa se bp > br, svantaggiosa se br > bp o indifferente se bp = br;
  • Leva di 2° genere o inter-resistente (fig 1b): la resistenza R è interposta fra la potenza P ed il fulcro f. È sempre vantaggiosa, in quanto il braccio della potenza bp misura sempre di più rispetto al braccio della resistenza br;
  • Leva di 3° genere o inter-potente (fig. 1c): la potenza P è interposta fra la resistenza R ed il fulcro f. È sempre svantaggiosa, in quanto il braccio della potenza bp misura sempre meno rispetto al braccio della resistenza br.

Foto 1.a Anatomia del Gray: esempio di leva di primo genere, inter-fulcrale

Foto 1.b Anatomia del Gray: esempio di leva di secondo genere, inter-resistente e sempre vantaggiosa

Foto 1.c Anatomia del Gray: esempio di leva di terzo genere, sempre svantaggiosa

Foto 2: le tre tipologie di leve

Considerazioni sulle leve nell’apparato locomotore

Nel corpo umano le leve sono rappresentate dalle ossa, i fulcri dall’asse di rotazione delle articolazioni, la potenza dalla forza muscolare e la resistenza dal carico che si desidera sollevare. Il punto di applicazione della resistenza è rappresentato dal punto di appoggio del carico, ed il braccio di resistenza è rappresentato dalla sua distanza dall’articolazione. Analogamente il punto di applicazione della potenza è rappresentato dall’inserzione del muscolo sull’osso, ed il braccio di potenza è rappresentato dalla sua distanza dall’articolazione. 

Nell’apparato locomotore la maggior parte delle leve sono di 3° genere e quindi svantaggiose; a prima vista ciò può sembrare un controsenso, in virtù del fatto che le leve svantaggiose richiedono l’applicazione di una forza muscolare superiore rispetto all’entità del carico che si desidera sollevare. Una leva di 3° genere, avente l’inserzione muscolare (p) situata vicino all’articolazione (f), consente, però, movimenti più ampi e veloci, seppure a scapito del vantaggio di leva. Lo svantaggio in termini di forza è dunque controbilanciato dalla capacità di compiere movimenti più estesi e rapidi. 

La capacità contrattile del muscolo è limitata (al massimo di circa il 50% della sua lunghezza a riposo) pertanto un muscolo come ad esempio il deltoide, caratterizzato da una lunghezza limitata, se non fosse inserito nel contesto di una leva di 3° genere, consentirebbe dei movimenti del braccio di ampiezza minima; grazie alla sua inserzione sulla parte prossimale dell’omero, nelle vicinanze dell’articolazione scapolo-omerale, consente invece ampi movimenti dell’arto superiore con minime variazioni della propria lunghezza.

Termini di posizione e di movimento

I termini di posizione sono quelli che caratterizzano la situazione di una qualsiasi parte del corpo mentre i termini di movimento indicano il tipo di spostamento e, contemporaneamente, la direzione nella quale esso si concretizza. Entrambi i termini si riferiscono alla posizione anatomica che si ha quando il soggetto è in stazione eretta, con gli arti applicati ai lati del tronco e i palmi rivolti all’osservatore.

Termini di posizione

La posizione di qualsiasi parte del corpo umano può essere definita facendo riferimento a tre piani fra loro perpendicolari, nello specifico:

  • Piano sagittale, che decorre in senso antero-posteriore, verticalmente e divide il corpo in due metà quasi simmetriche (destra e sinistra);
  • Piano frontale, anch’esso verticale, perpendicolare al precedente e parallelo alla fronte (anteriore e posteriore);
  • Piano trasversale, perpendicolare ai due precedenti piani e parallelo alla superficie di appoggio del corpo in stazione eretta (superiore e inferiore).

Al piano sagitale si affiancano, con decorso parallelo, infiniti piani sagittali paramediani che decorrono rispettivamente a destra ed a sinistra di esso; ciascuno di questi offre due facce, delle quali, quella rivolta verso il piano mediano si dice mediale, quella opposta prende il nome di laterale. Infiniti piani, tra loro paralleli, possono essere condotti attraverso il corpo in senso frontale e in senso trasversale. Ciascun piano frontale presenta comunque due facce che si denominano rispettivamente ventrale (quella che nella stazione eretta volge anteriormente) e dorsale (quella che volge posteriormente). 

I termini ventrale e dorsale sono di uso più conveniente dei termini anteriore e posteriore, in quanto valgono per qualsiasi posizione del corpo. Anche gli infiniti piani trasversali presentano due facce che vengono dette cefalica (o superiore) e caudale (o inferiore). In questo caso è più utile usare i termini cefalico e caudale che indicano la posizione rispetto al piano trasversale, indipendentemente dall’atteggiamento del corpo. Nel caso di parti mobili, come per esempio gli arti, si usano anche termini di posizione che stabiliscono la maggiore o minore distanza di un punto rispetto al piano sagittale mediano:

  • Il termine prossimale indica una parte più vicina al piano di simmetria;
  • Il termine distale si riferisce ad una parte situata a maggior distanza dal piano di simmetria.

Foto 3: i piani di movimento

Foto 4: piani e assi di movimento

Termini di movimento

La direzione dei movimenti è indicata dall’asse intorno al quale essi hanno luogo. Gli assi di movimento sono individuati dall’intersezione dei piani precedentemente considerati:

  • asse trasversale, è situato all’intersezione dei piani frontale e trasversale;
  • asse sagittale, (o anteroposteriore) è definito dall’intersezione dei piani sagittale e trasversale;
  • asse verticale, si forma per l’incontro dei piani frontale e sagittale.

Asse trasversale: I movimenti che si svolgono sull’asse trasversale sono detti di flessione e di estensione. Nella flessione, la parte in movimento si allontana dal piano sagittale mentre, nell’estensione, si avvicina ad esso.

Asse sagittale: I movimenti che hanno luogo sull’asse sagittale sono detti di inclinazione laterale quando riferiti a movimenti della testa e del tronco, di abduzione e di adduzione nel caso degli arti. Nell’inclinazione laterale e nell’abduzione la parte mobile si allontana dal piano sagittale mentre nell’adduzione essa si avvicina a quest’ultimo.

Asse verticale: I movimenti sull’asse verticale vengono denominati di torsione in riferimento alla testa ed al tronco, di rotazione quando si svolgono negli arti. Il movimento di rotazione dei due segmenti più distali dell’arto superiore (avambraccio e mano) prende il nome di prono-supinazione.

I movimenti fondamentali

Abduzione: è l’allontanamento di un arto dall’asse longitudinale del corpo.

Adduzione: è l’avvicinamento di un arto all’asse longitudinale del corpo.

Flessione: è il passaggio di un segmento del corpo da un atteggiamento lungo ad un atteggiamento breve quando non è in appoggio al suolo.

Piegamento: è il passaggio degli arti in appoggio al suolo tramite il contatto dei piedi o delle mani da un atteggiamento lungo ad un atteggiamento breve.

Estensione: è il contrario della flessione, il passaggio di un arto dall’atteggiamento breve a quello lungo quando l’arto non è in appoggio.

Inclinazione: è solitamente riferita al tronco, che si sposta dalla posizione eretta a una posizione intermedia rispetto all’orizzontale.

Torsione: è il passaggio dalla posizione del busto eretto a quella di busto ruotato attraverso la rotazione delle vertebre attorno all’asse longitudinale.

Slancio: passaggio rapido di un arto fra due posizioni in atteggiamento lungo; può essere eseguito in avanti, indietro, in fuori o in dentro.

Oscillazione: è il movimento pendolare di tutto e di parti del corpo in atteggiamento lungo. Circonduzione: è il passaggio diretto e successivo di un arto per 4 direzioni diametralmente opposte che in questo modo descrive un cerchio: è il movimento rotatorio di un arto attorno alla propria articolazione.

L’apparato locomotore

L’apparato locomotore è costituito dall’insieme degli elementi del corpo umano che consentono all’uomo di muoversi rispetto all’ambiente; può essere suddiviso in due componenti: una passiva, costituita dalle ossa e dalle articolazioni, ed una attiva, costituita dai muscoli controllati dal sistema nervoso. La continua cooperazione fra gli apparati locomotore e neurosensoriale permette il mantenimento della postura ed il controllo degli spostamenti attivi e passivi dell’uomo nei riguardi dell’ambiente circostante. I componenti anatomici dell’apparato locomotore possono essere equiparati ai componenti meccanici di una macchina, nello specifico:

  • ossa, sono elementi rigidi di forma allungata o piatta che, dal punto di vista meccanico, svolgono la funzione di leve;
  • articolazioni: sono elementi di congiunzione fra due o più ossa, ed hanno caratteristiche tali da consentirne il movimento reciproco (possono essere accomunate a giunti);
  • muscoli: grazie alla loro capacità di contrarsi trasformano in energia meccanica l’energia chimica contenuta nella molecola di ATP e possono essere paragonati ad un motore;
  • tendini: sono elementi di forma mediamente allungata, robusti e poco elastici e hanno la funzione di trasportare alle ossa la forza generata dal muscolo (possono essere considerati dei cavi);
  • legamenti: sono elementi di struttura simile ai tendini che si inseriscono tra ossa contigue scavalcando generalmente un’articolazione. Essi mantengono la congruità fra gli elementi ossei uniti, stabilizzando l’articolazione. I legamenti concedono libertà di movimento all’articolazione, ma al tempo stesso vincolano tali movimenti entro limiti fisiologici ben precisi. Dal punto di vista meccanico i legamenti si comportano come raccordi e fermi di sicurezza.

Le ossa

Le ossa sono tessuti di varia forma e volume, dotati di grande resistenza meccanica. Lo scheletro dell’adulto è composto da 206 ossa, che fungono da leve nell’apparato locomotore fornendo i punti di inserzione per muscoli che, grazie alla loro capacità di generare tensioni (forze), ed alla presenza delle giunzioni articolari (fulcri), generano il movimento. Alcune particolari strutture ossee (come ad esempio cranio, gabbia toracica, colonna vertebrale) contengono e proteggono importanti e delicati organi (snc, midollo spinale, cuore, polmoni). Le ossa rappresentano inoltre un importante deposito di sali minerali (calcio, magnesio, fosforo). Il midollo osseo è sede dell’emopoiesi (produzione delle cellule del sangue – globuli rossi e bianchi). Le ossa sono caratterizzate da una componente inorganica (idrossiapatite) che conferisce loro elevata resistenza alla compressione, ed una componente proteica (fibre di collagene), che le dota di elasticità e resistenza alla trazione.

Grazie a questa struttura viene garantita la massima resistenza con il minimo peso. Si distinguono una parte esterna, compatta, detta corticale ed una parte interna, detta spugnosa. Quest’ultima è costituita da trabecole di tessuto connettivo che hanno lo scopo di rendere l’osso leggero ed al contempo resistente (lo scheletro umano pesa in media 14 Kg, meno del 20% del peso corporeo). All’interno della regione spugnosa si individua una cavità contenente il midollo osseo. All’esterno l’osso è rivestito da una membrana di tessuto connettivo detta periostio.

La superficie delle ossa è caratterizzata da sporgenze (apofisi, processi, tuberosità), da rilievi circoscritti (tubercoli), da spine appuntite, e da solchi sottili, che forniscono punti di ancoraggio per tendini e legamenti. Sulla superficie ossea si individuano inoltre fosse arrotondate e docce allungate, importanti per la formazione delle articolazioni. A seconda della loro morfologia e dimensioni le ossa vengono classificate in:

  • ossa lunghe: sono caratterizzate da una dimensione, la lunghezza, che prevale sulle altre due, larghezza e spessore. il loro corpo allungato è denominato diafisi e delimita una cavità ricca di midollo rosso; le due estremità terminali sono chiamate epifisi, esse sono ricche di tessuto spugnoso e possono essere più o meno ingrossate (es. femore);
  • ossa piatte: sono caratterizzate da due dimensioni, lunghezza e larghezza, che prevalgono sulla terza dimensione, lo spessore (es. scapola);
  • ossa corte: presentano le tre dimensioni, lunghezza, larghezza e spessore simili (es. vertebra).

Le articolazioni

Le articolazioni sono quelle strutture anatomiche dove due o più ossa vengono a contatto. Poiché il movimento avviene grazie al rotolamento ed allo scorrimento reciproco delle superfici articolari, è necessario ridurre al minimo l’attrito in maniera da evitare l’usura precoce e la dispersione di energia sotto forma di calore. L’attrito dipende dalla morfologia delle superfici, dalla loro levigatezza e dal lubrificante tra esse interposto.

Le epifisi articolari sono perciò ricoperte da uno strato di cartilagine ialina, che ha caratteristiche meccaniche tali da ridurre al minimo l’attrito. Il lubrificante interposto tra le articolazioni è detto liquido sinoviale, e si interpone tra le superfici articolari, impedendone il contatto diretto. Il liquido sinoviale, oltre all’importante ruolo di lubrificante, possiede la fondamentale funzione di nutrire la cartilagine. Esso, infatti, attraverso un processo di “spremitura e riassorbimento” determinato dalla alternanza delle pressioni muscolari e dal movimento delle superfici articolari, penetra nelle cartilagini ove trasporta sostanze nutritive.

Le articolazioni sono inoltre avvolte e protette dalla capsula fibrosa articolare, un insieme di fasci di tessuto connettivo fibroso che forma un manicotto i cui margini vanno ad inserirsi sulle estremità delle facce articolari dell’osso. Nelle articolazioni particolarmente sollecitate meccanicamente, la capsula è coadiuvata da alcuni legamenti che possono essere esterni o interni, oltre che dai tendini e dai muscoli che scavalcano l’articolazione. Si distinguono:

  • articolazioni che consentono il movimento attorno ad un solo asse, assimilabili a cerniere;
  • articolazioni che consentono il movimento attorno a due assi, assimilabili a giunti cardanici;
  • articolazioni che consentono il movimento attorno a tre assi, assimilabili a testine snodate.

L’ampiezza del movimento articolare è legata all’estensione, alla morfologia e al raggio di curvatura delle superfici articolari. L’articolazione è tanto più mobile quanto più la superficie articolare si avvicina morfologicamente ad una sfera. Le articolazioni vengono definite in base alle ossa o alle parti di ossa coinvolte e possono essere classificate in base alla funzione, al tipo di tessuto connettivo che lega assieme le ossa componenti, alla presenza o meno di liquido sinoviale al loro interno.

Foto 5: le varie tipologie di articolazioni presenti nel corpo umano

Distinguiamo:

  • Sinartrosi (fisse): articolazioni fibrose con scarsa o nulla possibilità di movimento (es. suture fra le ossa el cranio);
  • Anfiartrosi (semimobili): articolazioni cartilaginee moderatamente mobili (es. sinfisi pubica);
  • Diartrosi (mobili): sono le articolazioni più mobili, dette anche sinoviali (per la presenza di liquido sinoviale al loro interno).

Foto 6: focus sull'articolazione del ginocchio, visione frontale

Le diartrosi si differenziano, in base alla possibilità di movimento, in:

  • Articolazioni piane: sono costituite da superfici pianeggianti e consentono un leggero scivolamento tra le ossa (es. acromio-clavicolare, costo-vertebrale);
  • Articolazioni a sella: formate da due superfici a forma di sella, consentono movimenti attorno a due assi (es. sterno-clavicolare, carpo-metacarpale nel pollice);
  • Articolazioni a cardine (troclea): sono costituite da una superficie concava ed una convessa; consentono movimenti attorno ad un asse (es. interfalangea fra le falangi delle dita);

Foto 7: tre diverse tipologie di diartrosi

  • Articolazioni a perno (trocoide): formate da un processo osseo cilindrico racchiuso da un anello fibroso, consentono il solo movimento di rotazione attorno ad un asse (es. radio-ulnare);
  • Articolazioni a sfera (enartrosi): costituite da una superficie sferica situata in una cavità, consentono movimenti pluri-assiali (es. gleno-omerale, coxo-femorale);
  • Articolazioni ellissoidi: formate da una superficie ellissoide situata in una cavità, consentono movimenti attorno a due assi (es. atlanto-occipitale, radio-carpale nel polso).

Foto 8: tre diverse tipologie di diartrosi

L’apparato muscolare

L’apparato muscolare è formato dai muscoli scheletrici i quali sono costituiti da una parte contrattile, il ventre muscolare, e dai tendini, attraverso i quali essi, direttamente o indirettamente, si inseriscono alle ossa. I muscoli scheletrici, oltre a essere i responsabili dei movimenti volontari, permettono anche il mantenimento della postura e producono calore durante la contrazione.

I loro principali costituenti sono le fibre muscolari striate scheletriche (cellule muscolari) ed il tessuto connettivo. Nel ventre di ciascun muscolo le fibre muscolari sono circondate da un sottile strato di tessuto connettivo lasso (endomisio) che contiene capillari sanguigni e fibre nervose. L’endomisio si continua con il tessuto connettivo che circonda gruppi di fibre muscolari (perimisio). Il perimisio contiene i fusi neuromuscolari, i vasi ed i nervi che si portano all’endomisio.

Il perimisio, a sua volta, è in continuità con la guaina connettivale che riveste la superficie muscolare (epimisio). Il tessuto connettivo del muscolo si diffonde con quello che costituisce i tendini, dando origine a strutture solide e resistenti alla trazione.

I tendini

Di aspetto lucido e di colore biancastro, hanno forma di cordone o di nastro e hanno dimensioni che variano nei diversi muscoli. Quando si inseriscono in una superficie ampia, assumono forma laminare e prendono il nome di aponeurosi. Hanno un’alta resistenza alla trazione e sono formati da tessuto connettivo fibroso. Sono avvolti da una guaina peritendinea che ne facilita il movimento. In prossimità della zona di inserzione ossea la guaina peritendinea si continua con il periostio e in corrispondenza della giunzione muscolo tendinea si continua con il connettivo del muscolo.

Classificazione dei muscoli

È possibile classificare i muscoli sulla base delle loro dimensioni e della direzione delle fibre rispetto all’asse di trazione

Riguardo alle loro dimensioni, i muscoli possono essere distinti in muscoli lunghi, muscoli larghi e muscoli corti. Tra i muscoli corti si distinguono i muscoli circolari (o orbicolari), nei quali le fibre si dispongono a circondare un’apertura, regolandone il diametro (es: sfintere anale). La direzione delle fibre rispetto all’asse di trazione condiziona la morfologia e le caratteristiche funzionali dei muscoli e permette di distinguerli in muscoli a fibre parallele e muscoli a fibre oblique.

I muscoli a fibre parallele sono in genere lunghi e sottili, sviluppano una forza di contrazione piuttosto bassa, ma determinano movimenti di grande ampiezza. Possono essere quadrilateri (es: pronatore quadrato), nastriformi (es: retto dell’addome) o fusiformi (brachiale). I muscoli a fibre oblique sviluppano forze di contrazione elevate ma, in genere, determinano movimenti di ampiezza minore rispetto ai muscoli a fibre parallele. Possono assumere forma triangolare o pennata. I muscoli pennati si distinguono, a loro volta, in unipennati, bipennati, multipennati e circumpennati.

Nei muscoli unipennati (es: tensore lungo delle dita) una serie di fibre corte e parallele tra loro si estende obliquamente su un solo lato di un tendine, dando al muscolo la forma di una penna di uccello; nei bipennati (es: flessore lungo del pollice) le fibre muscolari terminano obliquamente su due lati del tendine, nei circumpennati (es: tibiale anteriore) si ha un tendine centrale sul quale, a 360°, si inseriscono obliquamente le fibre muscolari. Nei muscoli multipennati sono presenti numerosi tendini, tra i quali si estendono obliquamente le fibre (es: deltoide).

I muscoli si distinguono anche per le modalità di comportamento del tendine di origine e/o di quello di inserzione. I muscoli che originano con due, tre, quattro o più capi, prendono rispettivamente i nomi di bicipite, tricipite, quadricipite, mentre i muscoli che presentano più di un tendine di inserzione prendono il nome di policaudati.

Foto 9: le diverse tipologie muscolari

Azione dei muscoli in movimento

L’azione di un muscolo è quella di generare il movimento attraverso il suo accorciamento. Nella disposizione più semplice, un muscolo passa a ponte su un’articolazione e si inserisce sulle due ossa vicine. Quando il muscolo si contrae, determina una trazione sulle due ossa sulle quali è inserito e, se nessuna forza si oppone al movimento, le sposta. Alcuni muscoli, definiti poliarticolari, passano a ponte su più di un’articolazione e, contraendosi, possono determinare i movimenti di tutte le articolazioni che attraversano. Quasi tutti i movimenti avvengono per azione di diversi muscoli, alcuni dei quali sono direttamente responsabili del movimento mentre altri partecipano con azioni stabilizzatrici o neutralizzatrici di effetti non desiderati. In funzione del ruolo svolto in un determinato movimento, i muscoli vengono distinti in:

  • Motori primari (o agonisti primari): sono quelli direttamente responsabili dell’inizio e del mantenimento di un movimento;
  • Muscoli sinergici: pur determinando lo stesso movimento dei motori primari, hanno un’azione meno importante o intervengono solo in alcune specifiche condizioni;
  • Muscoli antagonisti: sono responsabili del movimento opposto rispetto ai motori primari;
  • Muscoli stabilizzatori: intervengono in un movimento stabilizzando un’articolazione;
  • Muscoli neutralizzatori: agiscono per prevenire azioni non desiderate nel corso di un movimento.

Fondamenti di anatomia e fisiologia muscolare

Molti degli aspetti pratici sulla metodologia dell’allenamento trattati in questo manuale si basano sulla conoscenza dei principi fondamentali dell’anatomia e della fisiologia del muscolo scheletrico. Al fine di dare al lettore le basi per comprendere al meglio gli argomenti trattati nella parte successiva, in questo capitolo si vedranno gli aspetti fondamentali dell’anatomia dei muscoli, del loro funzionamento e della loro stimolazione da parte del sistema nervoso. Il corpo contiene più di 600 muscoli scheletrici (circa il 40% della massa corporea) che variano per dimensioni, forma e utilizzo. I muscoli scheletrici sono i muscoli attaccati alle ossa per mezzo di tendini costituiti da collagene, responsabili della postura e del movimento dei vari segmenti ossei. Un muscolo è solitamente connesso alle ossa su cui agisce tramite due diversi tipi di siti di attacco, l’origine e l’inserzione. L'origine è generalmente sull'osso più vicino al centro del corpo, può essere un piccolo sito distinto su un osso o un'ampia area che copre la maggior parte della lunghezza dell'osso. L'inserzione è solitamente collegata a un tendine che attraversa l'articolazione su cui agisce il muscolo. Un muscolo può avere più di un'origine o inserzione e, in tali casi, il muscolo è diviso in diversi segmenti chiamati capi.

Il muscolo è formato da uno o più ventri muscolari, connessi ai punti di origine e inserzione dai tendini. Quando due ossa attaccate a un muscolo sono connesse da un'articolazione mobile, la contrazione del muscolo provoca un movimento dello scheletro. Il muscolo viene detto flessore, e il movimento flessione, se i centri di queste ossa si avvicinano durante la contrazione mentre viene chiamato estensore, ed il movimento estensione, se le ossa si allontanano quando il muscolo si contrae. La maggior parte delle articolazioni hanno sia muscoli flessori sia estensori, poiché la contrazione di un muscolo può spostare un osso in una direzione ma non può riportarlo indietro. Le coppie di flessori-estensori sono dette gruppi muscolari antagonisti, perché esercitano effetti opposti sull'articolazione. Quando un muscolo si contrae e si accorcia, l'antagonista deve rilasciarsi e allungarsi. Es: coppia di muscoli antagonisti nel braccio: il bicipite, che è un flessore e il tricipite, che è un estensore.

Anatomia delle fibre muscolari

Il muscolo scheletrico è un insieme di cellule specializzate, o fibre muscolari, di forma lunga e cilindrica, con centinaia di nuclei in prossimità della sua superficie. Le fibre muscolari scheletriche sono le più grandi cellule dell'organismo e sono generate dalla fusione di diverse cellule muscolari embrionali. Le singole fibre di un muscolo scheletrico sono avvolte da tessuto connettivo, denominato endomisio, e disposte con gli assi longitudinali in parallelo. Gruppi di fibre adiacenti, avvolte da un tessuto connettivo detto perimisio, costituiscono i fascicoli. Tra i fascicoli si trovano collagene, fibre elastiche, nervi e vasi sanguigni. L'intero muscolo è racchiuso in una guaina connettivale, l’epimisio, in continuità con endomisio e perimisio, e con i tendini che fissano il muscolo sulle ossa.

La principale struttura intracellulare delle fibre muscolari è rappresentata dalle miofibrille, fasci di proteine contrattili ed elastiche, altamente organizzate, responsabili della contrazione. Ciascuna miofibrilla è composta da sarcomeri in serie. I sarcomeri sono la più piccola unità contrattile nel muscolo e sono costituiti da molte proteine diverse: la miosina e l'actina, che sono proteine contrattili; la tropomiosina e la troponina, che sono proteine regolatorie; la titina e la nebulina, che sono proteine accessorie. La miosina è il motore del sarcomero. In diversi tipi di muscolo troviamo diverse isoforme di miosina, che sono responsabili della velocità di contrazione del muscolo. Ogni molecola di miosina è formata da una lunga coda a spirale e due teste globose. Nel muscolo scheletrico, circa 250 molecole di miosina si uniscono a formare un filamento spesso.

Ciascun filamento spesso è posizionato nel sarcomero in modo che le teste della miosina siano raggruppate alle estremità e la parte allungata sia nella regione centrale. Le teste sporgenti della miosina hanno la capacità di ruotare intorno al punto d'attacco. L'actina forma i filamenti sottili del sarcomero e la molecola di actina è una proteina globulare. Molte molecole di actina formano lunghe catene o filamenti e ogni molecola di actina ha un singolo sito di legame per una testa di miosina. Nel muscolo scheletrico, due polimeri di actina si avvolgono l'uno sull'altro come due collane di perle, dando origine al filamento sottile della miofibrilla. Per la maggior parte del tempo, i filamenti spessi e quelli sottili sono paralleli tra loro, con le teste della miosina che sporgono nello spazio tra i due filamenti. Al microscopio ottico, la disposizione dei filamenti spessi e sottili nella miofibrilla dà origine a una sequenza ripetitiva di bande chiare e scure alternate. Ogni sarcomero è formato dai seguenti elementi:

  • Dischi Z: un sarcomero è costituito dai filamenti compresi tra due dischi Z successivi. I dischi Z sono formati da una struttura proteica a zig-zag su cui si attaccano i filamenti sottili.
  • Bande I: sono le bande di colore chiaro alle estremità del sarcomero, composte solo da filamenti sottili. Un disco Z attraversa a metà ogni banda I, quindi le due metà della banda I appartengono a due sarcomeri adiacenti.
  • Bande A: sono le bande più scure del sarcomero e coprono l'intera lunghezza di un filamento spesso. Alle estremità esterne della banda A, il filamento spesso e quello sottile si sovrappongono, mentre il centro della banda A è occupato solo da filamenti spessi.
  • Zona H: regione centrale della banda A. È più chiara delle estremità perché è occupata solo da filamenti spessi.
  • Linea M: banda a cui si attaccano i filamenti spessi. Ogni linea M divide a metà una banda A.

Foto 10: anatomia del muscolo, dall’esterno all’interno

Il corretto allineamento dei filamenti all'interno del sarcomero è garantito dalle proteine titina e nebulina. La titina è un'enorme molecola elastica, che si estende da un disco Z alla linea M adiacente, ha la duplice funzione di stabilizzare la posizione dei filamenti contrattili e, grazie alla sua elasticità, di consentire al muscolo stirato di tornare alla lunghezza di partenza. La titina collabora con la nebulina, una proteina anelastica, che favorisce l'allineamento dei filamenti di actina al sarcomero. La contrazione delle fibre muscolari scheletriche consente di generare forza (tensione muscolare) per produrre un movimento o per sostenere un carico. La contrazione è un processo attivo che richiede apporto di energia sotto forma di ATP. Il rilasciamento consiste nel venir meno della tensione prodotta dalla contrazione.

La teoria dello scorrimento dei filamenti spiega come un muscolo possa contrarsi e generare forza. In base alla teoria dello scorrimento dei filamenti, la tensione generata nella fibra muscolare è direttamente proporzionale all'interazione tra filamenti spessi e sottili.

In una miofibrilla a riposo, all'interno di ogni sarcomero le estremità dei filamenti spessi e sottili si sovrappongono di poco. Quando il muscolo si contrae, i filamenti spessi e sottili slittano l'uno sull'altro, facendo avvicinare i dischi Z. In fase di rilasciamento, il sarcomero ha un'ampia banda I (solo filamenti sottili) e una banda A la cui lunghezza corrisponde a quella dei filamenti spessi. Quando si contrae, il sarcomero si accorcia. I due dischi Z, a ciascuna estremità del sarcomero, si avvicinano, mentre la banda I e la zona H, regioni in cui actina e miosina non si sovrappongono nel muscolo a riposo, quasi scompaiono.

Nonostante l'accorciamento del sarcomero, la lunghezza della banda A rimane costante. Queste variazioni sono compatibili con la teoria che propone lo scivolamento dei filamenti sottili di actina lungo i filamenti spessi di miosina, mentre si muovono verso la linea M al centro del sarcomero. La forza che spinge il filamento di actina è il movimento delle teste della miosina.

Ogni testa della miosina presenta due siti di legame, uno per la molecola di ATP e uno per l'actina. Le molecole di actina fungono da «funi» alle quali si legano le teste della miosina. Durante il colpo di forza, che è la base della contrazione muscolare, il movimento delle teste della miosina spinge i filamenti di actina verso il centro del sarcomero.

Al termine di un colpo di forza, ogni testa della miosina si stacca dall'actina a cui è legata, si ritrae e si lega a una nuova molecola di actina per iniziare un altro ciclo. Questo processo si ripete molte volte durante la contrazione di una fibra muscolare. Le teste della miosina legano e rilasciano ripetutamente le molecole di actina mentre spingono i filamenti sottili verso il centro del sarcomero.

Il movimento delle molecole di miosina avviene grazie all’energia rilasciata dall'ATP. Ogni molecola di miosina agisce da ATPasi, legandosi all'ATP e idrolizzandolo ad ADP e fosfato inorganico (P) con rilascio di energia. L'energia rilasciata dall'ATP consente quindi il colpo di forza che muove l'actina. Un ciclo contrattile comprende le seguenti fasi:

  1. Lo stato di rigor: le teste della miosina sono strettamente legate alle molecole di actina. In questo stadio non ci sono nucleotidi (ATP o ADP) sul secondo sito di legame della testa della miosina. Nel muscolo vivente, lo stato di rigor è presente solo per brevissimi periodi.
  2. L'ATP si lega e la miosina si sgancia: una molecola di ATP si lega alla testa della miosina cambiando la sua affinità di legame per l'actina; come risultato, la testa si stacca dalla molecola di actina.
  3. Idrolisi dell'ATP: il sito, sulla testa della miosina, che lega ATP, lo circonda e lo idroliza ad ADP e fosfato inorganico (Pi). Entrambi i prodotti riman- gono legati alla miosina.
  4. La miosina lega nuovamente l'actina: l'energia rilasciata dall' ATP induce una rotazione della testa della miosina, che si lega debolmente ad una nuova molecola di actina, distante una o due posizioni dall’actina, a cui era legata prima. A questo punto la miosina possiede energia potenziale ed è pronta a eseguire il colpo di forza che fa scorrere il filamento di actina. ADP e Pi sono ancora legati alla miosina.
  5. Rilascio di Pi e colpo di forza: il colpo di forza inizia quando il fosfato inorganico è rilasciato dal suo sito di legame con la miosina. Quando la testa della miosina ruota verso la linea M tira anche il filamento di actina nella stessa direzione.
  6. Rilascio di ADP: nell'ultima tappa del ciclo contrattile, la miosina rilascia ADP, che è il secondo prodotto dell'idrolisi dell'ATP. A questo punto, la testa della miosina è strettamente legata all'actina, nello stato di rigor. Il ciclo è pronto per ricominciare quando una nuova molecola di ATP si lega alla miosina.

Nel muscolo scheletrico, i filamenti sottili di actina della miofibrilla sono associati a due proteine regolatrici che impediscono alle teste di miosina di completare il colpo di forza. La tropomiosina avvolge il filamento di actina, bloccando parzialmente i siti di legame per la miosina. La troponina è una proteina legante il calcio che controlla la posizione della tropomiosina. Quando comincia la contrazione, il calcio rilasciato nel sarcoplasma dal reticolo sarcoplasmatico, si lega alla troponina. Tale legame causa un cambiamento conformazionale della tropomiosina, che libera i siti attivi permettendo alla testa della miosina di legarsi, di effettuare il colpo di forza e di spostare il filamento di actina. I cicli contrattili si ripetono fino a quando i siti di attacco actina-miosina sono scoperti.

Per avere il rilasciamento della fibra muscolare, la concentrazione di Calcio nel sarcoplasma deve scendere, in modo che lo ione si stacchi dalla troponina. Senza Ca2+, il complesso troponina-tropomiosina a coprire la maggior parte del sito di legame per la miosina. Durante la fase di rilasciamento i filamenti del sarcomero scivolano all'indietro fino alle posizioni originarie, con l'ausilio della titina. Vedremo ora come la contrazione abbia inizio dall’impulso nervoso; il processo può essere suddiviso in quattro tappe fondamentali:

  1. L'acetilcolina (ACh) è rilasciata da un motoneurone somatico.
  2. L'acetilcolina provoca un potenziale di placca, che a sua volta innesca un potenziale d'azione nella fibra muscolare.
  3. Il potenziale d'azione nella fibra muscolare induce il rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico.
  4. Il calcio si combina con la troponina e la contrazione può avere inizio.

L'acetilcolina rilasciata dal motoneurone nella sinapsi alla giunzione neuromuscolare si lega ai recettori-canale nella placca motrice. Quando questi canali si aprono, consentono sia al Na+ sia al K+ di attraversare il sarcolemma. Tuttavia, l'ingresso di Na+ eccede l'uscita di K+ perché il gradiente elettrochimico del Na+ è maggiore di quello del K+. L'aggiunta di carica positiva netta alla fibra muscolare depolarizza la membrana, dando origine a un potenziale di placca (PP). I potenziali di placca sono sempre sopra soglia e danno sempre origine a un potenziale d'azione muscolare.

Il potenziale d'azione si propaga sulla superficie della cellula e nei tubuli T grazie all'apertura dei canali del Na+ voltaggio-dipendenti Il potenziale d'azione che si muove lungo la membrana e lungo i tubuli T è responsabile del rilascio di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico. Il Ca2+ diffonde, quindi, nel citosol. 

Quando i livelli citoplasmatici di Ca2+ sono alti, lo ione si lega alla troponina e si ha la contrazione. Il rilasciamento si ha quando il Ca2+ citoplasmatico viene pompato nel reticolo sarcoplasmatico da una Ca2+-ATPasi. Quando la concentrazione citoplasmatica di Ca2+ libero scende, lo ione si stacca dalla troponina, la tropomiosina scivola all'indietro bloccando il sito di legame per la miosina e la fibra si rilascia.

Tipologie di fibre muscolari

Le fibre muscolari sono classificate in base alla velocità di contrazione e alla resistenza alla fatica in fibre ossidative a contrazione lenta (di tipo I o ST - Slow-Twitch), fibre ossidativo-glicolitiche a contrazione rapida (di tipo IIA o FOG - Fast Oxidative-Glycolitic), e fibre glicolitiche a contrazione rapida (di tipo IIB o FG - Fast-Glycolytic). Nei muscoli adulti è presente un quarto tipo di fibre, chiamate IX, con caratteristiche intermedie tra le IIA e le IIX.

Le fibre muscolari a contrazione rapida (tipo IIA e IIX) sviluppano tensione due o tre volte più velocemente delle fibre a contrazione lenta (tipo I). La velocità di contrazione di una fibra muscolare è determinata dall'isoforma di miosina presente nei filamenti spessi. Le fibre a contrazione rapida scindono l'ATP più rapidamente e quindi completano i cicli contrattili più velocemente di quelle a contrazione lenta. Questa maggiore velocità si traduce in un più rapido sviluppo di tensione nelle fibre di tipo II.

Anche la durata della contrazione varia in base al tipo di fibra. La durata di ogni scossa è determinata soprattutto dalla velocità di rimozione del Ca2+ dal citosol da parte del reticolo sarcoplasmatico: nelle fibre a contrazione rapida la rimozione del Ca2+ è più rapida rispetto a quelle a contrazione lenta, quindi hanno scosse più veloci. La contrazione delle fibre veloci dura solo 7,5 ms, rendendo questi muscoli utili per i movimenti rapidi e fini, le contrazioni delle fibre muscolari lente possono durare anche 10 volte di più. Le fibre veloci vengono usate raramente, quelle lente sono usate quasi costantemente per il mantenimento della postura e della stazione eretta o per la deambulazione.

Un'altra importante proprietà che differenzia le fibre muscolari è la capacità di resistere alla fatica. Le fibre di tipo IIX utilizzano principalmente la glicolisi anaerobica per produrre ATP, quindi si affaticano più facilmente di quelle ossidative, che non dipendono dal metabolismo anaerobico. Le fibre ossidative (tipo I e IIA) utilizzano, per la produzione di ATP, soprattutto il sistema aerobico. Queste fibre, rispetto alle fibre IIX, hanno più mitocondri, più enzimi ossidativi, più mioglobina (proteina che lega l'ossigeno all'interno della fibra) un maggior numero di vasi ematici che portano loro ossigeno e minore diametro.

La presenza della mioglobina, l'elevata capillarizzazione e il piccolo diametro permettono alle fibre ossidative di mantenere un apporto di ossigeno sufficiente per produrre ATP, a lungo, attraverso la fosforilazione ossidativa. Al contrario, il grande diametro, la scarsa quantità di mioglobina e il ridotto numero di vasi sanguigni fanno sì che le fibre di tipo IIX esauriscano velocemente l'ossigeno durante contrazioni ripetute, utilizzino, di conseguenza, la glicolisi anaerobica per sintetizzare ATP e si affatichino rapidamente.

Le fibre di tipo IIA sono più piccole delle fibre IIX e usano una combinazione dei metabolismi aerobico e anaerobico lattacido per produrre ATP. A causa delle dimensioni intermedie e dell'utilizzo della fosforilazione ossidativa, queste fibre sono più resistenti alla fatica delle fibre IIX. I muscoli nell'uomo sono costituiti da fibre di diverso tipo. I rapporti relativi tra i diversi tipi di fibre variano da muscolo a muscolo e da individuo a individuo.

Legge lunghezza tensione

La tensione sviluppata da una fibra muscolare durante una contrazione dipende dalla lunghezza dei singoli sarcomeri prima dell'inizio della contrazione stessa. Ogni sarcomero, durante la contrazione, sviluppa una forza massimale se si trova alla lunghezza ottimale (né troppo lungo né troppo corto) prima che la contrazione inizi. Nel corpo umano, per la quasi totalità dei muscoli, la normale lunghezza a riposo dei muscoli scheletrici garantisce che i sarcomeri siano alla lunghezza ottimale quando cominciano a contrarsi.

La lunghezza del sarcomero riflette la sovrapposizione tra filamenti spessi e sottili. La tensione che la fibra muscolare può generare è direttamente proporzionale al numero di ponti trasversali che si formano tra filamenti spessi e filamenti sottili. Se la fibra inizia la contrazione quando il sarcomero è troppo lungo, i filamenti sottili e spessi sono scarsamente sovrapposti e formano pochi, o nessuno, ponti trasversali. Ciò vuol dire che nella parte iniziale della contrazione i filamenti possono interagire solo in misura minima, o non possono interagire affatto, e non possono generare molta forza. Alla lunghezza ottimale si può formare il massimo numero di ponti trasversali tra filamenti spessi e sottili e la fibra può generare la sua massima forza contrattile. Se all'inizio della contrazione il sarcomero è più corto della sua lunghezza ottimale, i filamenti spessi e quelli sottili sono troppo sovrapposti, quindi i filamenti spessi possono trascinare i filamenti sottili, dalle due opposte estremità del sarcomero, solo per una breve distanza prima che questi comincino a sovrapporsi, impedendo la formazione di ponti trasversali. Se il sarcomero è così corto che i filamenti spessi finiscono a contatto coi dischi Z, la miosina non riesce più a trovare nuovi siti di legame per la formazione di ponti trasversali, e la tensione che la fibra può sviluppare è molto ridotta.

La forza della contrazione aumenta con la sommazione di singole contrazioni muscolari Una singola contrazione non rappresenta il massimo della forza che una fibra muscolare può sviluppare. La forza generata dalla contrazione di una singola fibra può essere aumentata incrementando la frequenza dei potenziali d'azione che stimolano la fibra. Un tipico potenziale d'azione muscolare dura 1-3 ms, mentre la scossa muscolare può arrivare a 100 ms di durata. Se potenziali d'azione ripetuti sono separati da lunghi intervalli di tempo, le fibre muscolari hanno il tempo di rilasciarsi completamente tra gli stimoli, se invece gli intervalli fra le contrazioni si accorciano, la fibra muscolare non si rilascia completamente tra due stimoli e sviluppa una contrazione più forte per effetto di una sommazione di forza.

Se i potenziali d'azione che stimolano una fibra muscolare si succedono a brevi intervalli l'uno dall'altro, il grado di rilasciamento tra le contrazioni diminuisce e la fibra muscolare raggiunge uno stato di contrazione noto come tetano. Il tetano può essere incompleto, la frequenza di stimolazione non è massimale e la fibra si rilascia leggermente tra i singoli stimoli, o completo, la frequenza di stimolazione è così alta che la fibra non ha il tempo di rilasciarsi per nulla tra uno stimolo e l'altro, e sviluppa la massima tensione possibile, tensione che mantiene finché perdura la stimolazione.

È quindi possibile aumentare la tensione sviluppata da una singola fibra muscolare variando la frequenza dei potenziali d'azione nella fibra. I potenziali d'azione muscolari sono evocati dal motoneurone somatico, che controlla la fibra muscolare. L'unità motoria è costituita da un motoneurone somatico e dalle fibre muscolari che innerva L'unità fondamentale contrattile nel muscolo scheletrico intatto è l'unità motoria, composta da un gruppo di fibre muscolari e dal motoneurone somatico che le innerva. Quando il motoneurone genera un potenziale d'azione, tutte le fibre muscolari dell'unità motoria si contraggono assieme. Un motoneurone innerva molte fibre ma ciascuna fibra muscolare è innervata da un solo neurone.

Il numero di fibre muscolari in un'unità motoria è variabile. Nei muscoli responsabili dei movimenti fini, come i muscoli che muovono gli occhi o i muscoli delle dita della mano, un'unità motoria può contenere anche solo 3-5 fibre. Se una di queste unità motorie viene attivata, solo poche fibre si contraggono e la risposta muscolare è assai piccola. Se vengono attivate altre unità motorie, la risposta aumenta di poco, poiché si aggiungono solo poche fibre muscolari. Questa organizzazione consente graduazioni fini dei movimenti. Un’unità motoria può anche contenere centinaia o migliaia di fibre muscolati, come nei muscoli usati per i movimenti grossolani (es: il muscolo gastrocnemio del polpaccio ha circa 2000 fibre muscolari per unità motoria). In questi muscoli, ogni volta che un'unità motoria viene attivata, si contraggono molte fibre muscolari in più e la risposta muscolare aumenta in misura notevole.

Tutte le fibre di una singola unità motoria sono dello stesso tipo, ci sono dunque unità motorie a contrazione rapida e a contrazione lenta. La determinazione di quale tipo di fibra si associa a un particolare neurone dipende dal neurone stesso. Le persone che ereditano una predominanza di un certo tipo di fibre possono eccellere in certi sport. Le caratteristiche metaboliche delle fibre, però, entro certi limiti, possono modificarsi. Con l'allenamento di resistenza la capacità aerobica di alcune fibre veloci può aumentare fino a farle diventare resistenti alla fatica come quelle lente. La contrazione di un muscolo in toto è funzione del tipo e del numero delle unità motorie attivate. All'interno di un muscolo scheletrico, ogni unità motoria si contrae con modalità tutto o nulla. Un muscolo può generare contrazioni di forza e durata diverse reclutando tipi diversi di unità motorie e cambiando il numero di unità motorie che rispondono in un certo momento. La forza della contrazione in un muscolo scheletrico può essere aumentata reclutando nuove unità motorie.

Il reclutamento è controllato dal sistema nervoso e procede in maniera stereotipata. Uno stimolo debole diretto a un pool di motoneuroni somatici nel sistema nervoso centrale attiva solo i neuroni che hanno la soglia bassa. Alcuni studi hanno dimostrato che questi neuroni a bassa soglia controllano le fibre lente resistenti alla fatica, che sviluppano una forza minima. mano a mano che lo stimolo aumenta d'intensità, altri motoneuroni a soglia più alta cominciano a scaricare. Questi neuroni stimolano unità motorie composte da fibre IIA. Poiché un maggior numero di unità motorie (e quindi un maggior numero di fibre) partecipa alla contrazione, il muscolo genera una forza maggiore.

Quando lo stimolo aumenta ancora, i motoneuroni somatici con la soglia più alta cominciano a scaricare; questi neuroni stimolano unità motorie composte da fibre IIB. A questo punto, la forza della contrazione muscolare si avvicina al valore massimale. A causa di differenze nella miosina e nei ponti trasversali, le fibre veloci possono generare una forza maggiore di quelle lente; tuttavia, poiché le fibre veloci si affaticano più rapidamente, è impossibile mantenere una contrazione muscolare al valore massimale per lungo tempo.

Il reclutamento delle unità motorie avviene in modo asincrono: il sistema nervoso modula la frequenza di scarica dei motoneuroni in modo che diverse unità motorie a turno mantengano la tensione muscolare. L'alternanza di unità motorie attive permette ad alcune di esse di riposare tra le contrazioni, prevenendo la fatica. Il reclutamento asincrono, tuttavia, previene la fatica solo nelle contrazioni submassimali, nelle contrazioni prolungate, in cui si sviluppa una tensione elevata, le singole unità motorie sviluppano una contrazione tetanica incompleto in cui si alternano contrazioni e parziali rilasciamenti. In genere quest'alternanza non viene avvertita, perché le diverse unità motorie si contraggono e si rilasciano in tempi leggermente differenti; di conseguenza contrazioni e rilasciamenti delle diverse unità motorie si sommano producendo una contrazione continua, priva di oscillazioni di forza.

Quando però diverse unità motorie si affaticano, non siamo più in grado di mantenere la stessa tensione e l'intensità della contrazione decresce gradualmente.

Muscoli al lavoro

Il rapporto tra la forza prodotta dal muscolo e la resistenza che gli si oppone permette di classificare il lavoro muscolare come segue:

  • L'azione concentrica rappresenta la forma più comune di azione muscolare; si verifica in attività dinamiche durante le quali i muscoli, producendo una forza maggiore rispetto alla resistenza che gli si oppone, si accorciano.
  • L'azione eccentrica (chiamata anche allungamento) si verifica quando la resistenza esterna supera la forza prodotta e il muscolo si allunga man mano che si sviluppa la tensione. I sarcomeri nelle fibre muscolari del muscolo interessato si allungano in un'azione eccentrica rallentando l’allungamento muscolare. Nel sollevamento pesi, i muscoli agiscono spesso in modo eccentrico mentre il peso ritorna lentamente alla posizione di partenza per iniziare la successiva azione muscolare concentrica (accorciamento). L'azione eccentrica durante questa fase di “recupero” si aggiunge al lavoro totale e all'efficacia della ripetizione dell'esercizio.
  • L'azione isometrica si verifica quando un muscolo genera una forza pari alla resistenza esterna che gli si oppone, non riuscendo, quindi, a vincerla e non cedendole. Da un punto di vista fisico, questo tipo di azione muscolare non produce lavoro esterno. Un'azione isometrica può generare una forza considerevole nonostante la mancanza di un notevole allungamento o accorciamento del muscolo e del conseguente movimento articolare.

Questo articolo è tratto dal libro Manuale di biomeccanica degli esercizi fisici.

A quali domande risponde questo articolo?

Che cos'è una leva e quali sono i suoi componenti?

Una leva è una macchina semplice che aiuta a sollevare pesi. È composta da un'asta rigida, un fulcro (punto fisso), una potenza (forza motrice) e una resistenza (forza che si oppone al movimento).

Quali sono i diversi tipi di leve e come funzionano nel corpo umano?

Esistono tre tipi di leve: inter-fulcrale, inter-resistente e inter-potente. Nel corpo umano, le ossa agiscono come leve, le articolazioni come fulcri e i muscoli forniscono la potenza per muovere le resistenze (come i pesi).

Come si descrivono i movimenti del corpo umano?

I movimenti del corpo sono descritti in relazione a tre piani (sagittale, frontale e trasversale) e ai loro assi. Termini come flessione, estensione, abduzione e adduzione sono usati per descrivere le direzioni di movimento.

Quali sono le funzioni principali dell'apparato locomotore?

L'apparato locomotore, composto da ossa, articolazioni e muscoli, consente il movimento, il mantenimento della postura e la produzione di calore. Ossa e articolazioni formano la componente passiva, mentre i muscoli, controllati dal sistema nervoso, costituiscono la componente attiva.

Come funzionano i muscoli a livello microscopico?

I muscoli sono composti da fibre muscolari contenenti miofibrille. Le miofibrille sono costituite da unità contrattili chiamate sarcomeri, che si accorciano grazie allo scorrimento dei filamenti di actina e miosina, permettendo al muscolo di contrarsi.

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Voci glossario

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