A seguito del lavoro di tipo fisico e, più in generale della pratica sportiva, il fabbisogno di ossigeno e di substrati energetici, subisce un marcato aumento, soprattutto in quei distretti corporei chiamati in causa in modo prioritario.
Per fronteggiare tali mutate esigenze, il muscolo cardiaco incrementa la frequenza di lavoro per assecondare un maggior afflusso ematico che può subire un incremento di 13 volte rispetto alle condizioni di riposo.
Analizzando più nel dettaglio cosa accade nel muscolo al lavoro, è possibile riscontrare non solo un maggior afflusso di sangue, ma anche un maggior deflusso durante le contrazioni muscolari.
Questo risultato è determinato dalla marcata pressione causata dal muscolo sulle strutture vascolari, che provoca uno schiacciamento ed il conseguente repentino e notevole deflusso sanguigno.
Tale processo è in grado di spiegare due fenomeni:
L'incremento della pressione sanguigna, ed il potenziale aggravarsi di stati ipertensivi, risulta particolarmente frequente quando il lavoro muscolare viene sollecitato con l'ausilio di sovraccarichi.
La compressione sui vasi sanguigni, per le ragioni sopra esposte, determina una maggiore resistenza rispetto al flusso ematico. Per contrastare tale resistenza la pressione sanguigna subisce anch'essa un incremento che, come è intuibile, sarà proporzionale al volume delle masse muscolari coinvolte.
È fondamentale sottolineare che, il maggior carico di lavoro da parte del cuore, essendo esso stesso un muscolo, richiede un apporto di ossigeno maggiore. Situazione non sempre gestibile da soggetti con difficoltà coronarie, che vedrebbero quindi il configurarsi di una situazione di grave rischio.
La compressione vascolare però, determina anche una maggiore difficoltà nel transito dell'O2, nell'afflusso di substrati energetici, e nella rimozione repentina dei cataboliti.
Tutto questo si ripercuote con l'insorgere della stanchezza e, nel caso di attività anaerobica, anche con il rapido accumulo di acido lattico nell'ambiente muscolare.
La conseguenza di un ambiente acido è l'alterazione dell'affinità O2-emoglobina (variabile in virtù del pH, della temperatura, e della concentrazione di 2,3-difosfoglicerato) implicata nel rilascio di ossigeno da parte dell'emoglobina.
Il risultato quindi non sarà soltanto un minor afflusso di ossigeno, ma anche una maggiore difficoltà nella sua cessione ai tessuti e l'inibizione della fosfofruttochinasi, imputata nel processo glicolitico.
L'incremento della pressione, indotto da allenamenti finalizzati all'aumento delle masse muscolari e della forza massimale, è ovviamente reversibile, inoltre risulta meno marcato in individui già allenati. È tuttavia sconsigliato somministrare tale tipo di training in soggetti ipertesi.
Allo stesso modo, e per ragioni analoghe, risulta sconsigliata la somministrazione di lavori di tipo isometrico anche se di tipo non massimale, poiché l'incremento dei valori pressori potrebbe divenire particolarmente gravoso.
Un ulteriore elemento che si trova ad incidere negativamente sulla pressione sanguigna durante il lavoro, soprattutto di tipo isometrico o con cospicui carichi, è la manovra di Valsalva. La chiusura della glottide infatti viene sfruttata per bloccare l'espirazione determinando, da un punto di vista meccanico, una stabilizzazione del movimento ma, dal punto di vista fisiologico, provoca l'incremento della pressione intratoracica.
Questa situazione, come intuibile, comprime i grossi vasi venosi che garantiscono il ritorno ematico al cuore, ponendolo in sofferenza. Per l'esattezza vi sono due elementi contrastanti ma entrambi gravosi sull'andamento dei valori pressori. Da una parte l'aumento delle resistenze periferiche, e di conseguenza l'aumento dello sforzo a carico del ventricolo sinistro (per l'eiezione sanguigna), e quindi l'aumento della pressione arteriosa. D'altro canto la venocostrizione causata dalla manovra di Valsalva, abbatte la pressione venosa ed anche il flusso ematico di ritorno verso l'area ventricolare cardiaca.
Nel caso di attività di tipo aerobico è possibile assistere ad un meccanismo diametralmente opposto, addirittura capace di migliorare modesti gradi di ipertensione (valori compresi fra 140mm/Hg e 150mm/Hg per la pressione sistolica, 90mm/Hg e 100mm/Hg per pressione diastolica) prevenendo forme più acute.
Questa situazione è possibile grazie alla diminuzione delle resistenze periferiche dovuta alla stimolazione della pompa venosa (particolarmente performante negli arti inferiori), che stimola il transito sanguigno ed il ritorno al cuore, con un conseguente calo della pressione sanguigna.
Ma è anche dovuta all'eliminazione di sodio che l'attività sportiva aerobica determina, in misura cospicuamente maggiore rispetto ad attività di tipo anaerobico. La perdita di sodio causa una diminuzione del volume ematico e, di conseguenza, uno stato ipotensivo. Non a caso, il meccanismo di regolazione della pressione sanguigna, a livello renale sfrutta il rilascio di aldosterone al fine di incrementare l'assorbimento di sodio e, di conseguenza, incrementare la pressione sanguigna.
Come già accennato l'afflusso ematico aumenta sensibilmente in un muscolo al lavoro, giungendo ad essere (in atleti di élite) anche 20/25 volte maggiore rispetto alla condizione di riposo, ossia passando da circa 3ml/min per 100grammi di muscolo, sino a 75-80ml/min.
Il meccanismo che determina questo incremento è dovuto a diversi fattori, principalmente di ordine metabolico (regolazione metabolica).
Il calo di ossigeno, già abbondantemente approfondito, comporta non solo una difficoltà nel lavoro muscolare, ma anche nella contrazione dei vasi sanguigni, che di conseguenza vanno incontro ad un processo di vasodilatazione, coadiuvata ulteriormente dal rilascio di adenosina (il rilascio di adenosina è marcato nelle condizioni di ipossia e di grande attività metabolica), ma anche dalla liberazione di tutti gli elementi che concorrono alla liberazione energetica o che sono frutto dell'utilizzo (aerobico ed anaerobico) dell'ATP (es. CO2 e acido lattico). Più in generale una minore disponibilità di ossigeno rispetto alla richiesta del muscolo, causa un rilascio di sostanze vasodilatatrici.
Il rilascio, e conseguente aumento del lume vascolare, nell'ipotesi sopra esposta, interessa particolarmente i vasi di resistenza, vale a dire proprio quelle arterie e arteriole, la cui parete è rappresentata quasi totalmente da cellule muscolari lisce, che sono quindi in grado di regolare il grado di distensione del vaso.
Sono, come il nome lascia immaginare, largamente imputate nella regolazione della pressione sanguigna. Peraltro, il meccanismo di rilassamento e contrazione dei vasi di resistenza, è anche regolato dall'entità delle forze che agiscono per la sua distensione. In altri termini, l'aumento della pressione sanguigna, stimolandone la dilatazione, avvia un meccanismo di contrasto che porta alla vasocostrizione, meccanismo opposto si osserva nei casi in cui la pressione sanguigna tende a diminuire. Questo meccanismo, noto come meccanismo miogenico, è interessato nel mantenimento di un flusso ematico costante nei tessuti anche al variare della pressione sanguigna.
In conclusione possiamo affermare che, l'attività sportiva, agisce su un vasto fronte di elementi adattativi del flusso ematico e della pressione sanguigna. Questi elementi possono essere favorevolmente utilizzati in caso di pratica di discipline aerobiche, in grado di riportare i valori pressori entro un range ottimale, prevenendo l'insorgenza di stati ipertensivi, anche in caso di familiarità con tale problema, ed ottimizzando eventuali problemi vascolari come il ristagno venoso.
Per contro, la pratica di discipline di forza massimale o volte all'ipertrofia muscolare, determinando un incremento considerevole della resistenza periferica, possono portare a stati ipertensivi più o meno gravi a seconda delle individuali condizioni fisiche e, più in generale, possono aggravare preesistenti stati di sofferenza coronaria.
Anche da un punto di vista vascolare, la compressione venosa persistente, tipica di tali allenamenti, ostacola il ritorno venoso e può causare aggravamento di situazioni tipicamente note come "vene varicose" e, nei casi più gravi, sfociare in problematiche a carico di cervello, cuore, reni, occhio.