Si scrive fitness, si legge disagio e patologia psichiatrica

Di Pierluigi De Pascalis

Il fitness ha smesso di essere una strada verso il benessere reale, ed è diventata un’etichetta buona per giustificare ogni disagio umano legato al cibo e all’attività fisica

In origine il fitness, tra i diversi significati propri del termine, certamente ha inteso descrivere l’insieme delle pratiche di tipo fisico, nutrizionale, comportamentale, finalizzate al raggiungimento di uno stato di equilibrio e benessere.
Camminare è fitness, correre è fitness, andare in palestra, mangiare frutta e verdura, non fumare, è fitness. Ma è fitness anche limitare lo stress, trascorrere tempo con gli amici, rilassarsi con la meditazione e la lettura di un libro.

Poi pian piano questo termine è divenuto sempre più legato ad un approccio rigido e codificato, quindi camminare ha smesso di essere ritenuto fitness da quelli che corrono, e anche andare in palestra 3 giorni a settimana è divenuto meno fitness, perlomeno agli occhi di chi ci va tutti i giorni. Trascorrere tempo con gli amici è fitness se si affronta una spartan race, ma non se si fa la partita scapoli-ammogliati, e men che meno se si fa una camminata in centro, quand’anche l’obiettivo fosse quello di un centrifugato mango, papaya, maracuja, noce moscata e l’immancabile pistacchio di Bronte.

Mangiare frutta e verdura è rimasto fitness, ma a patto di escludere carni rosse, frittura, zucchero, farine raffinate, sale, vino, caffè e, a seconda della religione alimentare in cui si è deciso di credere, bevendo almeno 5 litri al giorno di acqua alcalina ionizzata all’idrogeno molecolare (ultimo business per i polli che si credono volpi), eliminando i legumi o mangiando minimo 6 uova al giorno, intossicandosi di seitan o dichiarando guerra al glutine e al lattosio senza motivo, citando il Boris (il famoso manuale di fisiologia della nutrizione) "così de botto, senza senso".

Insomma, il fitness ha smesso di essere una strada verso il benessere reale, ed è diventata un’etichetta buona per giustificare ogni disagio umano legato al cibo e all’attività fisica, sino a nascondere condizioni di una franca patologia psichiatrica.

Così chi ha una forma di dismorfofobia e/o fatica ad accettare l’immagine corporea, non ritiene necessario andare da uno psicoterapeuta, ma decide di rafforzare il problema con una forma di exercise addiction che non solo non migliorerà la propria condizione, ma lo porterà a disprezzare chiunque si alleni meno spesso, o segua un’altra disciplina, o segua la medesima disciplina ma si alleni con minore intensità. Ma restando strenuamente convinto di essere nel giusto, perché il suo comportamento è “fitness”.

Il sud-est asiatico è diventato da una (tristemente nota) meta per il turismo sessuale, a una località “fitness” e di esilio volontario per chi spaccia fiale di anabolizzanti e usa il doping come se fosse succo delle bacche di goji. Nel primo caso sfruttando la miseria economica degli abitanti del posto, nel secondo la miseria culturale e intellettiva in tutta Italia (isole comprese, come si diceva una volta).
Ma, non dimentichiamolo, il fisico c’è, muscoli torniti e voluminosi pure, camicie che fanno fatica ad abbottonarsi e, se si possiede un atteggiamento a metà tra il maestro di vita e il farmacista si può “fatturare” alla grande in nome del fitness.

Per ottimizzare tutto basta cambiare il termine da “anabolizzanti” (che in effetti se non paura, mette un po’ di soggezione) a TRT, che sembra la sigla di una nuova provincia tra la Puglia e la Basilicata, ma è in realtà un modo per usare impropriamente dei farmaci.
Talvolta perfino col compiacere di alcuni medici che possono vantare decine e decine di citazioni, sebbene mi riferisco a citazioni nei documenti della Procura della Repubblica, non nella letteratura scientifica. Ma si sa, siamo in Italia, mica in Ammmerica, che sono più avanti, e li vendono anche nei supermercati!

Pazienza se poi i clienti di questi sciacalli solitamente periscono in modo tragico prima dei 50 anni, siamo nell’epoca del complotto (altra forma di disagio), e facilmente si può far credere alla manica di proseliti che la causa sia un’altra. E’ esattamente quello che desiderano credere e, del resto loro si allenano, hanno il fisico… quindi è senza dubbio fitness.

Ma, anche senza giungere a questi estremi, non mancano situazioni altrettanto imbarazzanti, soprattutto quando ci si mette a tavola. Così, quando qualche giorno fa in uno dei gruppi fitness che seguo (a dire il vero tra i più seri), qualcuno chiedeva: “è sabato sera, cosa mangerete oggi?” e, credetemi, lo chiedeva con tutte le migliori intenzioni e la buonafede del mondo, le risposte di molti non hanno tardato ad arrivare.
C’era chi orgogliosamente era pronto per “pizza keto e dolce keto” (in pratica il metadone dei carboidrati); chi “le solite 4 uova del piano nutrizionale” che ne prevede 120 al mese e non è una battuta; chi avrebbe saltato la cena perchè era prevista la pizza in casa, e via di male in peggio, al punto da far rimpiangere il classico dell’alimentazione “fitness”: riso e pollo.

Ancora una volta tra digiuni punitivi, pasti liberi come premio, cibi idealizzati e altri figli del demonio, finte intolleranze e vere carenze (anche cognitive) quello che nel migliore dei casi è un disturbo del comportamento alimentare con tratti ossessivo compulsivi, diventa agli occhi di chi la consuma… una cena fitness da esibire con orgoglio.

Così in un sussulto di megalomania (certamente la patologia psicopatologica che meglio mi descrive), non ho potuto che trovarmi ancora una volta in accordo con me stesso, quando scrivevo:

Che differenza tra c’è tra chi è ossessionato dalla sua alimentazione e chi non se ne cura per nulla?

Coloro che non se ne curano hanno perso il controllo della propria vita, chi ne è ossessionato ha smesso di averne una.

Il fitness, credetemi, è un’altra cosa!

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