I pazienti sottoposti a trapianto devono essere sottoposti a trattamento immunosoppressivo al fine di evitare o controllare gli episodi di rigetto. I successi odierni del trapianto sono legati anche all’identificazione di farmaci immunosoppressori sempre più efficaci e caratterizzati da minori effetti collaterali. Tali farmaci hanno diversi meccanismi di azione; pertanto i protocolli prevedono una associazione di diversi farmaci per riuscire ad ottenere massima efficacia, sfruttando effetti sinergici o aggiuntivi e cercando di limitare gli effetti collaterali.
Ai farmaci tradizionalmente utilizzati, azatioprina, steroidi, ciclosporina A, si sono aggiunti in tempi più recenti anticorpi mono e policlonali diretti verso particolari antigeni delle cellule T induttori della proliferazione cellulare e della sintesi anticorpale nella risposta immune e successivamente antibiotici macrolidi (rapamicina, tacrolimus), farmaci che inibiscono la sintesi nucleotidica (micofenolato mofetil) ed infine anticorpi monoclonali diretti contro il recettore CD25 dell’interleuchina 2 (basiliximab) .
L’introduzione nei protocolli immunosoppressivi dei farmaci sopra ricordati ha permesso nella gran parte dei casi il controllo del rigetto acuto. È importante verificare l’efficacia di diverse combinazioni farmacologiche al fine di ottenere protocolli equilibrati, in grado di controllare le reazioni dovute a rigetto, acuto o cronico, e di evitare infezioni e neoplasie legate ad un eccessivo trattamento immunosoppressivo. L’obiettivo ideale del trattamento del rigetto acuto e cronico nei trapianti è però rappresentato dal raggiungimento dello stato di tolleranza immunologica, che significa deprimere la risposta del ricevente specificamente diretta verso gli antigeni del donatore, lasciando intatta la capacità di risposta verso gli altri alloantigeni.
Molti sono gli studi sperimentali su modelli animali, nei quali la tolleranza può essere indotta mediante agenti fisici (radiazioni), chimici e biologici (sieri anti-linfocitari), nonché protocolli che prevedono l’esposizione del ricevente agli antigeni del donatore in varie forme (iniezione di cellule glomerulari del donatore nel timo del ricevente, trapianto di midollo seguito da trapianto di rene). L’applicazione clinica nell’uomo di questi studi è però ancora lontana dall’essere realizzata.
Negli ultimi vent’anni un significativo numero di nuovi agenti immunosoppressivi è stato introdotto nella terapia del trapianto renale. Nonostante si siano raggiunti grossi miglioramenti in termini di riduzione di incidenza del rigetto acuto, l’analisi della sopravvivenza a lungo termine dei trapianti ha dimostrato che vi sono stati solo limitati progressi nell’allungamento della vita media del trapianto renale.1
Tra le cause di perdita dell’organo, al di là del decesso del ricevente con rene funzionante, la principale causa è rappresentata dalla nefropatia cronica da trapianto. Questa entità, la cui denominazione attualmente soffre di obsolescenza, è stata di recente caratterizzata come un gruppo eterogeneo comprendente diverse condizioni patologiche. Tra queste, quella con prognosi peggiore è costituita dal danno cronico risultante dall’azione di anticorpi anti-donatore, in particolare anticorpi anti-HLA. Nonostante il significato patologico degli anticorpi anti-HLA fosse noto da parecchio tempo, solo a cavallo del decennio scorso si sono identificati dei markers bioptici e sierologici applicabili alla normale routine trapiantologica. È nel 2001 infatti che viene documentata la validità della rilevazione del fattore del complemento C4d nelle biopsie renali come marker di rigetto anticorpo-mediato. Anche le tecniche di detezione, dosaggio e valutazione della specificità di anticorpi anti-HLA si sono evolute in sensibilità e possibilità di integrazione nella routine clinica. La congiunzione delle lesioni morfologiche (membrana basale glomerulare a doppio contorno e/o multistratificazione della membrana basale dei capillari peritubulari e/o fibrosi interstiziale/atrofia tubulare e/o ispessimento fibroso intimale delle arterie), della positività del C4d e della rilevazione sierologica degli anticorpi ha permesso di generare dei criteri diagnostici universali del rigetto cronico anticorpo-mediato (antibodymediated chronic rejection, AMCR), tuttora in costante affinamento.
I farmaci immunosoppressori più comunemente utilizzati nel trapianto di rene sono i seguenti:
Il successo nel recupero e nel mantenimento delle funzioni del nuovo rene dipende da un attento equilibrio di medicinali, che comprendono farmaci immunosoppressori (per prevenire il rigetto), antibiotici e altri trattamenti profilattici (per prevenire le infezioni), come anche farmaci anti-ulcera e altre medicine che contrastano gli effetti collaterali legati ai farmaci anti-rigetto. I pazienti iniziano la terapia durante il ricovero ospedaliero e continuano ad assumere la maggior parte di questi farmaci anche dopo la dimissione e per il resto della loro vita. Le dosi saranno progressivamente ridotte per adeguare la posologia ad ogni paziente e ridurre gli eventuali effetti collaterali.
Gli immunosoppressori possono essere assunti a stomaco pieno o vuoto, tranne il prednisolone che prevede l’assunzione a stomaco pieno. In genere l’assunzione è dopo la colazione del mattino e durante o subito dopo la cena. Per alcuni farmaci bastano una o due somministrazioni al giorno, altri possono richiedere più dosi durante il giorno. Durante la degenza e prima della dimissione il personale infermieristico e medico forniranno tutte le informazioni in proposito. Ricordarsi di assumere i farmaci tutti i giorni sempre allo stesso orario. Qualsiasi variazione dell’orario o della dose deve essere preventivamente concordata con il personale medico.
Se si dimentica di assumere una dose del farmaco prescritto regolarsi nel modo seguente: assumere la dose se sono trascorse meno di tre ore dall’orario mancato, non assumerla se ne sono trascorse di più. L’assunzione di dosaggi troppo ravvicinati può provocare effetti indesiderati.
Nell’impossibilità di assumere il farmaco a causa di vomito, interventi chirurgici, ecc., avvisare il medico di riferimento che prescriverà una terapia sostitutiva ed i sintomatici necessari.
Tutti questi effetti collaterali non sono da intendersi come conseguenza all’assunzione di una terapia anti-rigetto e spesso non esiste un rapporto causale tra sintomo e farmaco, ma come maggior predisposizione del proprio organismo a presentare sintomi di cui sopra.
Molti sono i farmaci che possono interferire tra loro, per questo motivo è necessario comunicare al medico qualsiasi variazione della terapia. Porre particolare attenzione agli antiacidi ed ai contraccettivi orali, che sono i responsabili della maggior parte degli effetti tossici da interazione con gli immunosoppressori. Discutere con il medico l’assunzione dei farmaci omeopatici o di erboristeria. Riferire sempre di prescrizioni aggiuntive per antibiotici o antidolorifici che possono interferire con gli immunosoppressori.
Per chi svolge attività sportiva, l’uso del cortisone (per esempio il deltacortene) senza necessità terapeutica costituisce doping e può determinare comunque positività ai test antidoping. Inoltre questi farmaci possono portare degli effetti negativi sul modo in cui viene metabolizzato il calcio nelle sue ossa e delle debolezze muscolari.
La disponibilità di nuovi farmaci immunosoppressori si è associata ad un progressivo miglioramento di risultati non solo nel breve termine ma anche nel lungo termine. Mentre i dati di registro americani riportano solo un modesto incremento dell’emivita del trapianto renale, i dati europei raccolti a Heidelberg dal Collaborative Transplant Study riportano che nel trapianto da donatore deceduto l’emivita teorica per i trapianti renali funzionanti ad un anno è passata da circa 9 anni per i trapianti effettuati tra il 1985 ed il 1987 ad oltre 20 anni per i trapianti effettuati dopo il 2000. Questa differenza con i dati americani può essere probabilmente spiegata dal diverso sistema sanitario americano rispetto a quello dell’Europa occidentale (negli USA il costo dei farmaci immunosoppressori viene coperto dal sistema sanitario nazionale per soli 3 anni, nel mantenimento il paziente viene spesso seguito dal medico generico e non dal centro trapianti).
Tuttavia, anche i dati europei riportano un’emivita sostanzialmente invariata nell’ultimo decennio. Due sono le cause principali di fallimento del trapianto nel lungo termine. Un lento e progressivo deterioramento della funzione renale e la morte con trapianto funzionante. Sia fattori immunologici (rigetto cellulare tardivo, rigetto anticorpo-mediato, cattiva aderenza alle prescrizioni, recidiva di nefropatie autoimmuni) che non immunologici (nefrotossicità di CNI e altri farmaci, diabete, ipertensione arteriosa, infezioni, cattiva qualità del rene etc.) possono determinare la perdita del trapianto. La morte del paziente è generalmente causata da eventi cardiovascolari, infezioni o neoplasie maligne.
La scelta dei farmaci immunosoppressori ed il loro dosaggio hanno un pesante impatto sul rischio di fallimento. Se poco aggressiva, l’immunosoppressione può favorire lo sviluppo di rigetto subclinico con progressivo deterioramento funzionale, se troppo aggressiva può esercitare una tossicità renale diretta o favorire lo sviluppo di complicazioni che amplificano i danni renali o causano eventi avversi potenzialmente letali. Queste complicazioni inoltre richiedono cambi di terapia, spesso seguiti dallo sviluppo di peggioramento funzionale.
Infine, i frequenti effetti collaterali provocati dagli immunosoppressori influenzano la qualità di vita del ricevente e favoriscono una cattiva aderenza alle prescrizioni terapeutiche, una delle cause maggiori di fallimento del trapianto. In fondo, nonostante gli enormi progressi realizzati, il clinico è tuttora indeciso se utilizzare un’immunosoppressione pesante per prevenire il rigetto o un’immunosoppressione più leggera per prevenire i frequenti e gravi effetti collaterali. Questa indecisione deriva anche da un dibattito tuttora irrisolto tra chi sostiene che la maggior causa di fallimento del trapianto sia rappresentata dalla tossicità di CNI197 e chi ritiene che sia invece conseguenza di rigetto cronico anticorpo-mediato. In verità, le cause di disfunzione del rene trapiantato sono numerose.
Anche se molte di queste sono direttamente o indirettamente correlate alla terapia anti-rigetto, nel bene e nel male sembra più importante l’intensità dell’immunosoppressione che la tipologia della stessa. Per questo motivo, molti clinici ritengono che si debba passare dalla medicina basata sull’evidenza alla personalizzazione. Purtroppo, i tentativi di personalizzare la terapia nel trapiantato sono tuttora basati sulla soggettività del clinico più che su parametri che indichino con buona approssimazione se e quando sia utile aumentare o ridurre l’intensità dell’immunosoppressione in un determinato ricevente.
Qualche progresso è stato ottenuto con l’interferon-gamma Elispot che può identificare un significativo aumento della risposta cellulare T diretta contro antigeni del donatore, ma si tratta solo di un primo passo su una lunga via da percorrere. In un prossimo futuro, è possibile immaginare che l’immunosoppressione del trapianto venga guidata dalla farmacogenetica e dalla farmacogenomica, cioè quelle branche della biologia molecolare che si propongono di studiare le variazioni nella sequenza dei geni (“varianti polimorfiche”) responsabili dell’efficacia e della tollerabilità di un farmaco in un determinato individuo. I test del DNA, che identificano queste varianti polimorfiche, sono in grado di predire, almeno in parte, come un paziente risponderà ad un determinato farmaco.I risultati del test genetico saranno utilizzati dal medico per scegliere quale farmaco impiegare per il trattamento di un determinato paziente, per ottimizzare il dosaggio da somministrare e per minimizzare il rischio di effetti collaterali. Buoni risultati sono già stati ottenuti in oncologia, ma lo sviluppo di queste tecniche dipende dalla capacità di identificare le variazioni genetiche in modo rapido e, possibilmente, economico. Quest’ultimo aspetto rischia di rappresentare un potente freno per quanto riguarda la possibilità di aumentare l’efficacia o ridurre la tossicità degli schemi attualmente usati sembra resa difficile dalla crisi economica. Non solo gli studi di farmacocinetica e farmacogenomica, ma anche l’impiego di farmaci biologici molto promettenti (belatacept, abatacept, eculizumab etc) hanno un prezzo troppo elevato per potere usati nella routine clinica.
Come noto, esistono molte evidenze sull’efficacia dell’esercizio fisico nelle diverse condizioni patologiche, ed esistono esperienze riguardanti l’uso corretto di questo nuovo strumento nella pratica clinica.
La sua introduzione nella pratica clinica richiede tuttavia di approntare concrete modalità organizzative all’interno delle quali possano avvenire sia la prescrizione di attività fisica, personalizzata sulle caratteristiche del singolo, sia la sua somministrazione, attraverso percorsi che garantiscano il raggiungimento e il mantenimento nel tempo dei livelli di attività prescritta.
La Regione Emilia-Romagna è da tempo impegnata sul tema della lotta alla sedentarietà e promozione dell’attività fisica: nel 2004, la Delibera n. 775 indicava, tra i compiti dei Servizi di Medicina dello sport presenti in ogni Azienda Usl, la promozione dell’attività fisica nella popolazione generale e il recupero funzionale di soggetti affetti da patologie che possono beneficiare dell’esercizio fisico attraverso l’utilizzo della sport-terapia.
Inoltre, in Emilia-Romagna si sono sviluppate alcune importanti esperienze che riguardano la prescrizione dellattività fisica a persone con fattori di rischio o affette da patologie cardiovascolari e dismetaboliche, e a soggetti anziani fragili: fra queste la più importante e strutturata è certamente quella di Ferrara, che coinvolge sia i Medici di Medicina Generale sia il Centro di Medicina dello sport di secondo livello e di fatto anticipa il modello più avanti descritto.
Infine, è in fase di avvio il progetto “Trapianto … e adesso sport” , attivato in collaborazione con il Centro Nazionale Trapianti e la Regione Veneto, che riguarda la prescrizione personalizzata di attività fisica a persone trapiantate di cuore, rene e fegato e di cui parleremo più avanti.
La Regione Emilia-Romagna, in applicazione del progetto promosso e finanziato dal Ministero della Salute, si propone di realizzare programmi di prescrizione dell’attività fisica, rivolti a persone che presentano problemi di salute per i quali questo trattamento è di dimostrata efficacia (patologie sensibili), costruendo a tal fine percorsi assistenziali integrati, secondo il modello sotto descritto, al cui interno i Nuclei delle Cure Primarie e i Centri di Medicina dello sport delle Aziende Usl svolgono un ruolo centrale.
L’Attività Fisica Adattata (AFA) , si rivolge a persone con disabilità stabilizzata da eventi patologici, richiede prescrizione medica (MMG, Fisiatri, Medici dello sport, altri Specialisti) e periodiche valutazioni; la somministrazione avviene prevalentemente in ambiente chiuso, in gruppi, con la presenza di laureati in scienze motorie opportunamente formati e l’eventuale supervisione di un terapista della riabilitazione.
Perché questa modalità di somministrazione possa essere praticata con continuità e in modo diffuso, è necessario sviluppare l’organizzazione territoriale delle diverse tipologia di attività fisica. A questo proposito occorre sottolineare che i progetti per la promozione dell’attività fisica nella popolazione generale non sono esclusivi per la popolazione “sana” ma rappresentano una opportunità anche per le persone cui è destinato il presente progetto. Infatti, i programmi rivolti a sviluppare le caratteristiche delle città che facilitano o addirittura “costringono” tutta la popolazione a eseguire attività fisica per svolgere le normali attività della vita quotidiana (es. percorsi casa-scuola, lavoro-spesa) non costituiranno un ostacolo per gli individui, con fattori di rischio o malattie, che possono fare attività fisica fuori dai percorsi sanitari, anzi li aiuteranno a mantenere una vita attiva.
Gli interventi sulle dotazioni di servizi della città sono orientati a rendere più accessibili (in tutti i sensi) e funzionali i luoghi ove potere svolgere attività fisica, quindi rappresentano una risorsa indispensabile anche per il presente progetto. Gli interventi volti a mutare lo stile di vita sedentario di gran parte della popolazione con offerta di attività organizzate (es. gruppi di cammino, orti per anziani, ecc) saranno diversificati anche per performance fisica richiesta, e il MMG (Medico di Medicina Generale) potrà consigliare quella più adatta.
Le persone con problemi di salute più complessi, che vengono prese in carico da una struttura specialistica con prescrizione di un programma individualizzato, devono invece essere indirizzati presso specifiche strutture, quali palestre o centri sportivi, “riconosciute” dal Servizio sanitario regionale con un processo di selezione tale da garantire la qualità degli interventi ed una ragionevole sicurezza per le persone: in queste strutture operano laureati magistrali in scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattate.
La selezione sul territorio di strutture riconosciute e certificate dal Servizio sanitario regionale avverrà sulla base del progetto già in corso “Palestra sicura” . Si tratta di un percorso attraverso il quale viene costruita una rete di Palestre attraverso azioni formative, la condivisione di valori etici e un sistema di valutazione della qualità degli interventi. Tali palestre, fidelizzate ai valori del Ssr e con esso cooperanti, sono strutturalmente idonee e dotate di personale specializzato ed opportunamente formato. Infine, come già accennato, per alcuni pazienti sarà necessario un periodo definito di attività fisica controllata e monitorata presso centri del Servizio sanitario regionale, collegati al Centro territoriale di Medicina dello sport di secondo livello. Una volta che il paziente abbia raggiunto l’autonomia nell’esecuzione degli esercizi e un livello di efficienza tale da garantire la sicurezza nell’esecuzione degli stessi, sarà indirizzato alle strutture sopra descritte, per essere preso in carico dal laureato in scienze motorie ivi operante e periodicamente controllato dal medico.
Nel 2008, in particolare, è nato il progetto “Trapianto…e adesso Sport”, che vede la collaborazione di CNT, Istituto Superiore di Sanità, Centro Studi Isokinetic, Università di Bologna, il Gruppo Cimurri Impresa e Sport, la Maratona dles Dolomites, la Novecolli di Cesenatico e le Associazioni di settore AIDO e ANED. L’obiettivo del progetto è diffondere tra i trapiantati l’importanza dell’attività fisica dopo l’intervento e, al tempo stesso, raccogliere i dati relativi alle condizioni dei trapiantati per studiare e misurare gli effetti dell’attività sportiva in questa particolare popolazione. Inizialmente nato come progetto di comunicazione “Trapianto…e adesso Sport” è stato successivamente integrato da un progetto di ricerca, per dimostrare scientificamente la validità dell’attività fisica come “terapia” post trapianto. Il centro dell’osservazione si sposta: è la salute del trapiantato e non più o non solo la malattia che lo ha portato al trapianto. Il protocollo "Transplant ... and now Sport" è uno studio multicentrico, prospettico e non randomizzato che considera l'iscrizione di 120 pazienti (range 18-60 anni), con trapianto di organo solido (rene, fegato, cuore) da 6 mesi a 8 anni di trapianto di vita, con stabilità clinica e funzionale controllata dai centri di trapianto.
La durata del periodo di osservazione per ogni paziente è di 12 mesi. I pazienti sono divisi in due gruppi: 60 pazienti (gruppo A) in cui l'attività fisica personalizzata è prescritta dai medici sportivi, 60 pazienti di controllo (gruppo B) in cui vengono indicati alcuni indicatori di stile di vita generici senza prescrizione specifica. L'iscrizione al gruppo B è dovuta a problemi logistici (distanza dal Centro Sportivo Medico, impossibilità dei pazienti di andare in palestra). Il consenso informato scritto viene ottenuto dai pazienti prima dell'inserimento, secondo le procedure approvate dal Comitato Etico del Centro Trapianti dell'Ospedale S. Orsola-Malpighi, Bologna, Italia. I criteri di esclusione sono: limitazioni ortopediche, disturbi psichiatrici o neurologici, episodi di rifiuto o variazioni funzionali degli innesti negli ultimi 6 mesi e qualsiasi altra controindicazione cardiovascolare all'esercizio fisico o alla formazione.
Lo stato clinico e la valutazione funzionale dell'innesto organico, dei livelli ematici (funzione renale, stato lipidico e glucidico, equilibrio elettrolitico, funzione epatica, conta del sangue), analisi urinaria, composizione corporea (misura antropometrica, analisi bioimpedenza) e valutazioni cardiovascolari vengono eseguite dal Trapianto Centro per valutare i criteri di esclusione. Il questionario SF-36 è utilizzato per valutare i domini autoprotici di stato di salute, che comprende otto livelli di qualità della vita correlata alla salute (HRQoL) : Funzionamento fisico (PF), Limitazione dei ruoli dovuta alla salute fisica (RP), Dolore corporale (BP), Salute generale (GH), Vitalità (VT) (SF), i limiti di ruolo dovuti alla salute emozionale (RE) e alla salute mentale (MH). Queste scale hanno un punteggio da 0 a 100, con un punteggio più alto che è più positivo.
Il Centro Sportivo Medico svolge le prove di valutazione funzionale per la capacità di esercizio e la forza muscolare in entrambi i gruppi. La prova ciclistica incrementale viene eseguita su un ergometro a ciclo a partire da 20W, con incrementi di 20W ogni 4 minuti fino a quando non si verificano esaurimenti volontari, comparsa di segni elettrocardiografici di patologia o di risposta inappropriata della pressione sanguigna. Un elettrocardiogramma a 12 piombo viene monitorato continuamente durante il test.
Misurazioni durante il test:
Sulla base dei test, i medici sportivi prescrivono il programma individuale di esercitazioni sorvegliate (esercizi aerobici e di rafforzamento) per i pazienti del gruppo A. Questi pazienti vengono inviati ad una palestra autorizzata per avviare l'attività fisica prescritta sotto la supervisione di un appropriato Fisioterapista addestrato o un laureato in Scienze Motorie con una frequenza di tre volte a settimana.
Tipi di esercizi proposti:
L'esercizio aerobico viene eseguito su una bici stazionaria (30 minuti), con frequenza cardiaca corrispondente alla soglia aerobica, precedentemente determinata. L'intensità giusta viene controllata costantemente dai monitor a frequenza cardiaca (Polar, Finlandia), quindi la frequenza cardiaca del paziente viene mantenuta costante con eventuali piccole regolazioni della potenza meccanica della moto stazionaria. Gli esercizi di rinforzo consistono in 2 set di 20 ripetizioni al 35% del 1RM precedentemente determinato, per ciascuno dei gruppi muscolari selezionati degli arti superiori e inferiori.
Per i pazienti del gruppo B i medici raccomandano esercizi generici per la forma fisica senza prescrizione medica, come al solito la gestione del paziente di routine. I pazienti di entrambi i gruppi sono controllati al basale (T0), ritornando al trapianto e ai centri sportivi medici a 6 mesi (T6) e a 12 mesi (T12) dal momento dell'iscrizione per ripetere sia la valutazione clinica che quella funzionale a prove effettuate a T0.
Nel complesso, i dati preliminari confermano i risultati di precedenti documenti riguardanti l'importanza dell'attività fisica controllata e prolungata, anche se il numero limitato di pazienti che hanno completato il follow-up non consente una conclusione definitiva. Questi risultati preliminari mostrano un significativo aumento della forma fisica aerobica (assorbimento massimo dell'ossigeno, adattamento al carico di lavoro); allo stesso modo, miglioramenti> 15% nella forza della gamba muscolare. Le variazioni nel rafforzamento delle braccia (<3%) non sono in linea con questi risultati.
Una possibile spiegazione è che la presenza di fistola arterio-venosa nei pazienti con rene trapiantato ha limitato l'intensità degli esercizi muscolari del braccio programmati durante lo studio. Anche in presenza di variazioni percentuali ridotte, i dati preliminari confermano il miglioramento dello stato nutrizionale nei pazienti che esercitano un'attività fisica regolare, come recentemente riportato. La tendenza a ridurre la massa grassa è promettente per la prevenzione della sindrome metabolica; La secrezione di adipochine infiammatorie è stata dimostrata come un meccanismo per indurre la resistenza all'insulina nei tessuti periferici. Lo studio dei cambiamenti indotti dall'attività fisica sullo stato infiammatorio del paziente trapiantato costituisce un campo di particolare interesse per il futuro. L'attività fisica regolare secondo il protocollo proposto non interferisce negativamente con la funzione renale e la proteinuria. I dati sono in linea con l'esperienza a lungo termine del nostro gruppo sull'andamento della funzionalità renale nei pazienti trapiantati che esercitano regolarmente attività sportive e sulle risposte fisiologiche a stress acuto, come una maratona di 130 km (osservazione personale).
Il miglioramento della HRQoL conferma l'importanza dell'esercizio fisico nella gestione delle malattie croniche;2 la pratica dell'attività sportiva dilettante può migliorare ulteriormente l'HRQoL. Ci sono alcune limitazioni in questa relazione preliminare. Un'analisi preliminare non ha mostrato in questo gruppo miglioramenti significativi nei parametri fisiologici e psicologici, ma finora il numero dei pazienti di controllo che ha completato il periodo di osservazione è troppo piccolo per fare un confronto adeguato. Una seconda limitazione è rappresentata dal disegno non randomizzato che dipende dal modello adottato per consentire ai pazienti selezionati di esercitare l'attività fisica in palestre con professionisti addestrati vicini alle loro case. Ad oggi, non tutte le diverse aree coinvolte hanno le stesse opportunità.
L'accessibilità alle strutture in cui i pazienti possono facilmente eseguire i programmi di esercitazione controllati sembrano essere cruciali in ogni proposta di esercizio come terapia; il plusvalore del progetto è stato la creazione in Italia di una rete tra centri di trapianto, centri sportivi medici e laureati in Scienze Motorie/ fisioterapia, che sarà in grado di collaborare in futuro. Vorremmo che questa cooperazione interdisciplinare sia usata anche per i pazienti in attesa del trapianto. Sulla base dei risultati preliminari di questo studio possiamo affermare che una dose appropriata di formazione fisica può rappresentare un contributo utile, sicuro e non farmacologico al trattamento dei pazienti trapiantati con miglioramenti significativi di variabili fisiologiche relative alla forma fisica (cardiovascolare e Sistemi muscolo-scheletrici, HRQoL percepiti). La sostenibilità, anche economica, dovrebbe essere valutata su scala più ampia. Anche se rimane opportuno evitare la medicalizzazione dell'esercizio fisico, è importante ricordare che l'attività fisica è una misura preventiva con un impatto economico minore rispetto alla terapia farmacologica; in realtà, tra l'altra ipotesi, suggeriamo periodi iniziali di esercizio sorvegliato prima di dare terapia autonoma personalizzata a casa. Studi randomizzati con periodi di osservazione prolungati sono necessari per valutare l'impatto dell'attività fisica regolare sulla morbilità / mortalità dei pazienti e sulla sopravvivenza dell'innesto.