Tra i parametri fisiologici più importanti da considerare per la valutazione del maratoneta abbiamo il costo unitario della corsa. Per avere questo dato bisogna chiedersi quanto ossigeno consuma il corridore per
percorrere un chilometro, quante calorie spende, e considerare il peso corporeo dell'atleta. Prima di tutto dobbiamo sapere che il carburante necessario per arrivate in fondo alla corsa deriva dagli zuccheri presenti nei muscoli
e nel fegato, presenti sotto forma di glicogeno, che è un polimero del glucosio.
Questo viene rilasciato via via che il glicogeno viene consumato dai muscoli sotto sforzo. Abbiamo però anche una scorta di grassi quasi illimitata, i quali non possono mai essere utilizzati da soli, ma sempre insieme agli
zuccheri. Anche le proteine costituiscono un contributo non indifferente.
Possiamo così definire l'equazione del costo unitario della corsa:
K è il coefficiente di economicità della corsa, e generalmente assume valori che possono variare da 0,85 per atleti di alto livello, con una corsa particolarmente economica e poco dispendiosa, fino a 1,1-1,15 per principianti che sprecano molta energia. Se consideriamo l'amatore medio che si avvicina alle lunghe distanze e che abbia una tecnica di corsa accettabile, possiamo pensare a un K uguale a 0,9.
Rodolfo Margaria, grandissimo fisiologo, diceva che questo è il costo unitario della corsa: una chilocaloria per ogni chilogrammo di peso corporeo e per ogni chilometro (1kcalkgkm). Se questo costo viene espresso in millilitri di ossigeno consumati, diventa 180mlkgkm. Esistono differenze tra un corridore e l'altro per quanto riguarda l'incremento della spesa con l'aumento della velocità, legate soprattutto alla differente percentuale di fibre veloci e lente contenute nei muscoli.
Peso corporeo (kg) | Corsa normale (0,90 kcal/kg/km) |
Corsa molto economica (0,85 kcal/kg/km) |
---|---|---|
40 | 1519 kcal = 304 l | 1435 kcal = 287 l |
45 | 1709 kcal = 342 l | 1614 kcal = 323 l |
50 | 1899 kcal = 380 l | 1793 kcal = 359 l |
55 | 2089 kcal = 418 l | 1973 kcal = 395 l |
60 | 2279 kcal = 456 l | 2152 kcal = 430 l |
65 | 2468 kcal = 494 l | 2331 kcal = 466 l |
70 | 2658 kcal = 523 l | 2511 kcal = 502 l |
75 | 2848 kcal = 570 l | 2609 kcal = 538 l |
80 | 3038 kcal = 608 l | 2869 kcal = 574 l |
Sapendo il costo unitario della corsa, è possibile risalire alla quantità di ossigeno consumata nel corso della maratona. Per un corridore che ha un costo pari a 180 mlkgkm, questa quantità di ossigeno è pari a circa 7,6 litri per ogni chilogrammo di peso corporeo. Quanto più velocemente si corre, tanto maggiore è la quantità di ossigeno che viene consumata dai muscoli nell'unità di tempo.
Le differenze nell'utilizzo dell'ossigeno tra un maratoneta e l'altro sono legate al fatto che quanto più velocemente si corre, tanto maggiore è l'intensità alla quale devono lavorare i muscoli che intervengono nella corsa e tanto maggiore è la quantità di "benzina" che essi hanno bisogno ogni minuto. Questa "benzina" è l'ATP (adenosin-tri-fosfato) e, nel corso della maratona viene fabbricata dai muscoli stessi con reazioni nelle quali interviene l'ossigeno e che vengono dette aerobiche. I muscoli del maratoneta sono al tempo stesso i produttori e gli utilizzatori di ATP: se per ogni minuto riescono a fabbricarne una grande quantità, possono lavorare a un'intensità più elevata e il maratoneta dunque può correre più velocemente.
Per capire qual'è la quantità di ossigeno che viene effettivamente utilizzata nel corso della maratona si deve distinguere l'apporto di ossigeno ai muscoli che avviene grazie all'intervento di vari organi e apparati, e l'utilizzo di ossigeno da parte dei muscoli stessi, che si determina grazie a organuli che si trovano dentro le fibre muscolari, i mitocondri, e a enzimi che si trovano nei mitocondri stessi.
L'atleta che nel corso della maratona utilizza una data quantità di ossigeno, in altri tipi di impiego, più brevi e più intensi, può consumarne una quantità superiore. La più elevata quantità di ossigeno che un atleta è in grado di utilizzare nell'unità di tempo si chiama "massimo consumo di ossigeno", e quello dei migliori maratoneti del mondo è di solito superiore a 80 mlkgmin.
È importante che ai muscoli del maratoneta arrivi una giusta quantità di ossigeno per ogni minuto, affinché possano lavorare e produrre ATP. Ciò è legato alla capacità del cuore di pompare molto sangue per ogni minuto, a parità del contenuto di emoglobina nel sangue.
Il cuore può migliorare molto da questo punto di vista quando viene sottoposto a impegni severi, anche se di durata limitata; per questo per il maratoneta sono utili per esempio le ripetute in pista di 400 metri, oppure tratti di 200 metri durante una seduta di corsa continua in piano, corsi più velocemente. Nel caso in cui gli allenamenti si facciano in salita, non si prende in considerazione la velocità, ma la frequenza cardiaca, che deve essere più alta di quella che si ha alla soglia anaerobica.
Secondo le ricerche di uno scienziato italiano, il prof. Gianni Benzi, per fare in modo che le fibre muscolari migliorino la capacità di utilizzare l'ossigeno che giunge a esse, bisogna fare in modo che ci sia in queste fibre una piccola produzione di acido lattico. Questo vuol dire che si può correre a una velocità con la quale una ridotta percentuale di ATP non viene fabbricata aerobicamente, ma con il meccanismo anaerobico lattacido, quello che comporta la comparsa di acido lattico nelle fibre.
Tale velocità sarà diversa in un campione e in un amatore, ma in entrambi è vicina alla rispettiva velocità di soglia anaerobica, che è appunto la velocità con cui nei muscoli e nel sangue comincia ad accumularsi acido lattico (può essere mantenuta per un'ora correndo a ritmo uniforme con il massimo impegno).
Anche se nei muscoli dell'atleta che sta percorrendo la maratona l'ATP è fabbricato principalmente con il meccanismo aerobico, una piccola parte viene sintetizzata grazie a reazioni che portano alla produzione di una sostanza, l'acido lattico, che può essere considerata una scoria che disturba il corridore, in particolare quando la sua produzione sia tale da superare una determinata concentrazione nei muscoli (cioè dove viene prodotta), o nel sangue (cioè dove si diffonde dopo essere uscita dai muscoli stessi).
L'acido lattico si produce nelle fibre muscolari soprattutto quando la necessità di ATP supera le possibilità di produzione di esso con il meccanismo aerobico. Visto che si parla di acido lattico, in realtà, nelle fibre e nel sangue si trovano il lattato, carico negativamente, e lo ione idrogeno, carico positivamente. Maggiore è la concentrazione di ioni idrogeno, maggiore sarà il grado di acidità dentro la fibra o nel sangue. Il grado di acidità si esprime con il pH.
Poco dopo essere state prodotte nelle fibre, molte molecole di lattato e ioni idrogeno cominciano a uscire da esse e a diffondersi nel sangue. Qui gli ioni idrogeno vengono in gran parte neutralizzati da sostanze chiamate tamponi, mentre il lattato viene utilizzato da vari organi (muscoli, fegato, cuore, reni) nei quali vengono utilizzati.
Correndo a una certa velocità, possiamo pensare anche a quella dei migliori maratoneti, cioè circa 20 km/h, non si verifica l'accumulo di acido lattico nei muscoli o nel sangue poiché esso può essere smaltito mentre lo sforzo è in corso. Via via che la velocità sale, aumenta anche la quantità di acido lattico che viene prodotta per ogni secondo fino a una tale velocità in cui le possibilità di smaltimento sono saturate; questa velocità è detta "soglia anaerobica".
A seconda del valore del maratoneta, la soglia anaerobica è più o meno elevata.
Approssimativamente possiamo considerare alcuni valori:
La velocità di soglia anaerobica può essere mantenuta per circa un'ora da un atleta ben allenato.
La conoscenza di questa informazione consente di impostare i ritmi di allenamento in funzione di determinati obiettivi agonistici con una certa precisione.
La concentrazione di acido lattico presente nel muscolo o nel sangue è l'effetto di due processi che si svolgono contemporaneamente:
Quindi l'accumulo di un'alta quantità di lattato, può essere legata sia a una notevole produzione di esso, che a un suo insufficiente smaltimento.
Se nell'andatura di gara dunque c'è poco lattato, questo non dipende solo dal fatto che la produzione è ridotta, ma soprattutto dal fatto che lo smaltimento è superiore alla produzione. Quando invece si supera la velocità di soglia anaerobica, lo smaltimento non riesce a compensare la produzione e si verifica l'accumulo.
Nel corso della maratona, i muscoli che intervengono nella corsa traggono l'energia necessaria per fabbricare l'ATP dall'energia contenuta nei legami chimici di alcune molecole, principalmente da quelle degli zuccheri, proteine e grassi.
Fra gli zuccheri, o carboidrati, i muscoli utilizzano principalmente il glicogeno, costituito da tante molecole di glucosio legate l'una all'altra in lunghe catene.
Questo si trova nelle fibre muscolari già al momento della partenza.
Nelle fibre muscolari le molecole di glucosio vengono via via staccate dal glicogeno per essere "bruciate" e ottenere l'energia che serve a fabbricare ATP.
I grassi consumati dal maratoneta sono principalmente gli acidi grassi liberi che arrivano ai muscoli attraverso il sangue mentre la gara è in corso. Una piccola scorta di grassi è presente fin dalla
partenza dentro le fibre e viene subito utilizzata.
Per correre l'intera maratona, i maratoneti devono abituare i loro muscoli a utilizzare una miscela di grassi e zuccheri, più ricca dei primi, e più povera dei secondi; questo perché i grassi non possono essere utilizzati da soli. Nella nostra
tattica di gara quindi dovremmo fare in modo che ci sia sempre una certa quantità di zuccheri disponibili.
Solo con un allenamento regolare e costante possiamo insegnare al nostro organismo a gestire adeguate quantità di grassi per minuto (potenza lipidica); senza questo adattamento, è possibile che appena ci si trovi in
gara a correre a ritmi un po' più elevati rispetto a quelli tenuti in allenamento, il consumo lipidico cali drasticamente. Dunque per abituare i muscoli a diventare ottimi consumatori di grassi, sono utili allenamenti su distanze superiori ai 30-35
km, che hanno come scopo fondamentale quello di migliorare l'attività degli enzimi che mobilizzano gli acidi grassi a livello dei depositi e di quelli che li utilizzano nelle fibre muscolari.
Anche le proteine possono fornire parte dell'energia necessaria a produrre ATP. In particolare ci sono tre aminoacidi, quelli a catena ramificata (leucina, isoleucina e valina), che costituiscono circa un quinto del totale degli aminoacidi delle proteine del muscolo, e dal muscolo stesso vengono utilizzati in parte per produrre direttamente energia, soprattutto quando è carente il glicogeno.
Quindi si può dire che il muscolo mangia sé stesso.
La parte di questi aminoacidi contenente azoto invece si unisce al piruvato per produrre un altro aminoacido, l'alanina, che poi passa nel sangue, va nel fegato e viene trasformato in glucosio che può andare nel sangue ed essere utilizzato dalle fibre muscolari. Il contributo dato da questo glucosio è solitamente una piccola percentuale.
L'utilizzo delle proteine muscolari però determina uno stato di affaticamento e diminuzione dell'efficienza dei muscoli e richiede che nelle ore successive alla gara o all'allenamento, vi sia una risintesi di tali proteine.
L'allenamento può essere considerato uno stimolo che agisce sull'organismo e che è in grado di provocare in esso: cambiamenti momentanei o "aggiustamenti", che regrediscono quando la seduta termina entro pochi minuti
o poche ore dalla fine di questa, e cambiamenti duraturi, o "adattamenti", che invece permangono a lungo, quindi per giorni, o addirittura anni.
Nel primo caso possiamo pensare all'elevarsi della frequenza cardiaca o della temperatura del corpo mentre si sta correndo e al ritorno a valori normali dopo pochi minuti al termine della seduta; nel secondo caso possiamo considerare
l'abbassamento della frequenza cardiaca a riposo o l'aumento delle concentrazioni di alcuni enzimi muscolari.
Questi adattamenti avvengono perché nel corso dell'allenamento c'è un atteggiamento catabolico dell'organismo, cioè si consumano e si distruggono molecole; dopo l'allenamento invece c'è di solito un atteggiamento anabolico, con cui l'organismo fabbrica, per compensare le distruzioni verificatesi durante la seduta, ma anche per far si che ci siano dei cambiamenti secondo quello che è l'obiettivo della preparazione. Quindi in questa fase anabolica, l'organismo cambia sé stesso in funzione del tipo di stimolo che ha ricevuto nel corso dell'allenamento.
Nel caso del maratoneta che fa diversi tipi di lavori, ciascun tipo di questi porta prevalentemente a una determinata modificazione: è l'insieme dei lavori che determina quegli adattamenti che portano a un miglioramento della prestazione.
L'uomo generalmente ha una temperatura interna di circa 37°C. Se fa un'attività fisica abbastanza intensa e protratta la sua temperatura sale, e può arrivare anche a essere superiore ai 38°C. Questo è vantaggioso per l'atleta in quanto favorisce la prestazione. Se la temperatura è troppo elevata, e arriva sopra i 40-41°C, può essere molto dannoso per l'organismo, soprattutto per il sistema nervoso centrale.
Nel lavoro muscolare, la maggior parte dell'energia spesa si trasforma in calore, che viene chiamato calore metabolico e deve essere eliminato dal corpo il più presto possibile. Se durante la maratona il corridore è esposto al sole,
il suo corpo assume una certa quantità di calore di irraggiamento, che può essere di molte decine di chilocalorie e deve essere comunque eliminato dal corpo. Questo calore di irraggiamento porta a effetti negativi per il corridore,
perché già una piccola parte del calore metabolico è sufficiente a elevare di un grado la temperatura interna del corpo, che è già di 37°C; una temperatura interna di 42°C può essere sopportata per periodi molto brevi e può costringere
il corridore a sospendere lo sforzo.
Questa temperatura può portare a sintomi come: abbassamento della pressione sanguigna, polso molto frequente e debole, insufficienza circolatoria, che può portare anche allo svenimento.
Quindi possiamo affermare che durante la gara è fondamentale che il corridore elimini calore dal corpo. Quando i muscoli cominciano a produrre calore, comincia a intervenire il "centro termoregolatore", situato nel diencefalo, che appunto, regola la temperatura corporea.
Il centro termoregolatore fa accadere nell'organismo quegli adattamenti che favoriscono l'eliminazione del calore, quindi l'inizio o l'aumento della sudorazione, e l'aumento della quantità di sangue che circola nella cute. Se dopo il riscaldamento la temperatura corporea si eleva, è perché l'innalzamento della temperatura corporea mantenuto entro certi limiti è vantaggioso per la prestazione. Il centro termoregolatore, a seconda dell'intensità dello sforzo, fissa una nuova temperatura di equilibrio, che nel caso della corsa lunga è sopra i 38°C. Quindi all'inizio una certa quota di calore prodotta dai muscoli viene trattenuta dall'organismo, per fare in modo che la sua temperatura interna salga a quel livello al quale la prestazione viene favorita. Una volta raggiunta la nuova temperatura invece, l'organismo tende a eliminare tutte le calorie che vengono via via prodotte.
Un meccanismo con cui viene eliminato calore dal corpo è quello per convezione: lo straterello di aria a contatto con la pelle viene riscaldato, e viceversa la pelle viene raffreddata; il sangue porta continuamente
calore verso la cute, quindi se l'aria a contatto con essa continua a ricambiarsi, dal corpo dell'atleta può venire eliminata una certa quantità di calore.
Il calore eliminato per convezione è tanto maggiore quanto più alta è la differenza tra temperatura cutanea e temperatura dell'aria.
Dobbiamo tener presente però che quando la temperatura interna è alta, aumenta notevolmente la quantità di sangue inviata alla cute, favorendo così una maggior dispersione di calore, ma diminuisce la quantità di sangue che va a irrorare i muscoli e fornisce ossigeno a essi. In questo caso si parla di "furto di sangue".
Un altro meccanismo con cui viene eliminato calore dal corpo è l'evaporazione: l'aria espirata infatti contiene vapore acqueo; altra acqua viene eliminata dal corpo attraverso la "perspiratio insensibilis", e infine una grande quantità di acqua viene secreta come sudore dalle ghiandole sudoripare.
Non sempre comunque il corpo umano riesce a liberarsi di tutto il calore superfluo: la somma del calore metabolico (M) e del calore di irraggiamento (R) può essere sensibilmente superiore al calore di convezione (C) e a quello di evaporazione (E).
Dunque avremo:
Questo succede quando R è molto grande, per esempio perché c'è molto sole, oppure quando C ed E sono piccoli per esempio perché la temperatura ambientale e/o l'umidità relativa sono elevate.
Dunque quando le condizioni ambientali sono sfavorevoli e il maratoneta non è nelle condizioni più vantaggiose per una buona termoregolazione, la sua temperatura corporea tende a innalzarsi, dunque il maratoneta dovrà scegliere una
velocità adatta affinché il calore prodotto possa essere eliminato. Se la velocità di corsa è superiore, la temperatura corporea sale a valori che non possono essere sopportati, dunque il corridore è costretto a rallentare o a fermarsi.
Ci sono alcuni fattori che favoriscono la termoregolazione del maratoneta: tra i fattori ambientali troviamo la bassa temperatura dell'aria, la bassa umidità relativa dell'aria e la mancanza di sole. Invece tra i fattori individuali abbiamo
l'abbigliamento adatto, una buona idratazione dell'organismo e la presenza di elettroliti in concentrazione ottimale e l'essere acclimatato, cioè essere abituato a correre quando i fattori ambientali rendono difficile la termoregolazione.
(Da E. Arcelli, "Correre è bello", Sperling e Kupfer editori, Milano 1978)
Ci sono diversi fattori che possono portare il corridore a una crisi, cioè a una serie di disturbi che lo costringono a ridurre l'andatura alla quale sta correndo o addirittura a fermarsi o abbandonare la maratona.
Il corridore può avere una "crisi da ipertermia", cioè causata dall'aumento della temperatura corporea; oppure una crisi da disidratazione, cioè da perdita eccessiva di acqua, dovuta soprattutto al sudore.
Altra crisi che può colpire il maratoneta è quella da colpo di sole, dovuta principalmente all'irraggiamento al capo.
La crisi da esaurimento del glicogeno muscolare può essere causata da un ritmo molto vicini alla soglia anaerobica mantenuto per tratti lunghi; importante è dunque la scelta di un'andatura corretta fin
dall'inizio della gara, e la capacità di mantenere tale andatura per tutta la gara.
Infine possiamo avere la crisi da squilibri elettrolitici, dovuta al fatto che nei giorni precedenti la maratona si è sudato molto senza reintegrare i sali persi.