Tutti conoscono la famosa cintura utilizzata in palestra da molti di coloro che si allenano con i pesi e, chiunque si sia cimentato in questo genere di allenamento, ha avuto modo di utilizzarla almeno una volta. La si vede spessissimo in tv nel corso di alcuni eventi sportivi e, anche molti body builder che frequentano le nostre palestre la indossano appena messo piede in sala attrezzi e non la tolgono sino alla conclusione del loro allenamento. C'è chi utilizza quella messa a disposizione dal centro sportivo, quindi in comune con tutti gli iscritti, e chi preferisce acquistarne una propria. Chi la indossa stringendola al massimo e chi la usa un po' allentata. Ma quanti di coloro che la usano si sono chiesti a cosa serva la cintura e, soprattutto, se è realmente utile? Se siete tra gli utilizzatori di una cintura fermatevi un attimo prima di proseguire nella lettura di questo articolo, e provate a rispondere a questa semplice domanda: a cosa serve una cintura mentre mi alleno?
Praticamente tutti sono portati a rispondere che serve a tutelare e proteggere la schiena. Allora occorre porsi un'altra domanda: cosa significa esattamente "proteggere la schiena"? Proteggerla da quale evento? E proteggerla in che modo? Moltissimi utilizzatori della cintura si limitano ad un esame superficiale nel dare questa risposta, convinti che attraverso la cintura ci si trovi "avvolti" da una fascia più o meno rigida, soprattutto nella regione lombare, e questo possa impedire il verificarsi di movimenti anomali e spiacevoli proprio in questa regione. Vale a dire quello che accadrebbe stringendo in una mano un pezzo di tubo flessibile, che quindi risulterebbe ben stabile grazie alla presa. Chi è convinto della bontà di questo meccanismo è fuori strada e, molto probabilmente, sta utilizzando male la cintura col risultato di amplificare i rischi per la colonna vertebrale e non certo di proteggerla.
Se il principio di funzionamento fosse quello descritto la cintura dovrebbe essere in grado di limitare i movimenti della colonna vertebrale. Ma quali movimenti è possibile compiere e quali di questi sarebbero inibiti dall'uso di una cintura? In questa analisi sarà fatto riferimento a esercizi svolti nella stazione eretta, ovvero nella situazione di maggior libertà per la colonna. Occorre partire da una premessa, durante l'esecuzione di qualsiasi esercizio i movimenti non previsti (e soprattutto i movimenti non previsti a carico della colonna vertebrale), sono il frutto di una errata esecuzione, e quindi potenzialmente traumatici. Basti pensare ad esempio all'esecuzione del curling con bilanciere con un peso troppo elevato a causa del quale si procede con continui "colpi di reni" durante il lavoro. Tutti questi movimenti, per quanto certamente pericolosi, determinano spostamenti di pochi cm, e molti di coloro che utilizzano una cintura sperano di ridurre l'impatto traumatico. Se fosse vero la cintura dovrebbe intervenire non tanto per bloccare la completa flessione del tronco in avanti o la sua completa estensione indietro, ma nel limitare il più possibile movimenti parziali.
Ponendosi nella stazione eretta, pur con una cintura serrata intorno alla vita, ci si può invece facilmente rendere conto che la colonna può assecondare la flessione o l'estensione del tronco, che risulterà certamente limitata rispetto alla piena escursione prevista, ma i piccoli movimenti che si determinano da esecuzioni errate del lavoro sono ancora possibili. Così come non è impedita l'inclinazione laterale e ancor meno la torsione. L'uso di una cintura non è neppure in grado di impedire l'antiversione o la retroversione del bacino, che continua a poter essere operata. Anche con una cintura indossata in modo estremamente aderente tutti i piccoli movimenti sui tre piani del corpo (frontale, sagittale e trasverso) continuano ad essere possibili. Di fatto quindi cosa sta contribuendo a fare la cintura? Di sicuro non sta impedendo i movimenti ritenuti traumatici, pertanto con tutta probabilità il suo ruolo non è quello che si crede.
Proseguiamo nell'analisi, ipotizzando invece che i presunti benefici di cui sopra, connessi con una stabilizzazione della regione lombare siano reali e concretizzabili mediante l'uso di una cintura. In questo caso occorre considerare che la regione lombare, area di intervento della cintura medesima, consta di 5 vertebre, per una lunghezza totale nel maschio adulto di circa 17 cm . Le comuni cinture presenti in palestra, e facilmente reperibili nei negozi specializzati, hanno un'altezza nella sede di contatto con la regione lombare di circa 10 cm, raramente di 15 cm, per poi diventare estremamente più sottili nella zona di chiusura sul versante addominale. Questo significa che, anche posto di poter stabilizzare realmente la colonna vertebrale, l'azione non sarebbe uniformemente distribuita lungo tutto il rachide lombare e, nel caso delle cinture più strette, resterebbero senza protezione alcune vertebre. Impiegando cinture più larghe in ogni caso sia la zona di articolazione tra rachide lombare e regione sacro-coccigea, che l'area articolare tra regione lombare e regione dorsale rimarrebbero prive di protezione e perfettamente esposte a movimenti traumatici. Questo non corrisponde a limitare l'ipotetico danno ma ad aggravarlo, perché le forze che agiscono in maniera potenzialmente avversa si andrebbero a concentrare su un numero minore di strutture articolari invece che distribuirsi in modo più uniforme. Ribadiamo, sempre nell'ipotesi in cui la cintura possa intervenire stabilizzando almeno parzialmente l'area lombare cosa che, dovrebbe essere evidente, non si può ottenere in questi termini.
È dunque necessario chiedersi qual è il reale apporto di un simile accessorio, se sia sempre e del tutto inutile oppure se, in alcune situazioni, possa portare a qualche vantaggio. Per rispondere a queste domande bisogna analizzare cosa accade nel corso dell'esecuzione di un lavoro e quali variazioni intervengono indossando una cintura.
Durante lo svolgimento di qualsivoglia esercizio, in maniera più o meno intensa, si verifica un aumento della pressione intraddominale e intratoracica in buona parte causato dalla diminuzione dello spazio per effetto della contrazione della parete addominale, cui si associa la chiusura della glottide impedendo la fuoriuscita dell'aria, situazione che prende il nome di manovra di Valsalva. In casi specifici, per esempio durante l'esecuzione di esercizi come lo squat con quantità di carico particolarmente elevate, l'aumento della pressione intraddominale agisce favorevolmente nel ridurre il carico diretto sulla schiena, diviene altresì un supporto che sostiene la colonna e riduce le forze di compressione. Questo intervento è favorito in modo naturale dai muscoli obliqui e dal muscolo trasverso. La contrazione del muscolo trasverso in primo luogo va a incrementare la pressione intraddominale e la tensione della fascia toraco-lobare, di conseguenza svolge un ruolo cruciale nella stabilizzazione della colonna lombare.
Non occorre pensare però che la riduzione del lavoro a carico della schiena come effetto dell'aumento pressorio sia un dato esclusivamente positivo e in assoluto privo di rischi, poiché questa situazione si ripercuote anche sui vasi venosi che decorrono all'interno dell'ambiente intratoracico e intraddominale giungendo a comprimere i grossi vasi venosi che riportano il sangue verso il cuore. Si innescano dunque due meccanismi di sofferenza cardiaca, da una parte l'aumento delle resistenze periferiche causato dalla contrazione muscolare provoca un conseguente aumento dello sforzo a carico del ventricolo sinistro (per l'eiezione sanguigna) e quindi l'aumento della pressione arteriosa . D'altro canto la venocostrizione causata dalla manovra di Valsalva abbatte la pressione venosa ed anche il flusso ematico di ritorno verso l'area ventricolare cardiaca, con esiti potenzialmente gravi. L'ideale quindi sarebbe poter calibrare in modo adeguato i rischi e i vantaggi determinati dall'aumento pressorio, considerando che i vantaggi potrebbero superare i rischi in modo pressoché esclusivo nel corso di quelle performance tipiche di una competizione o di allenamenti dove il peso utilizzato non solo è estremamente elevato, e certamente superiore all'80% del massimale, ma il tipo di lavoro che si sta eseguendo giustifica l'acquisizione di un vantaggio causato dall'aumento della pressione intraddominale a fronte dei potenziali rischi cui espone. Da questo si evince che non è sufficiente che la quantità di peso utilizzato superi l'80% del massimale, ma deve anche trattarsi di un carico particolarmente elevato in termini assoluti, gestito da atleti già particolarmente allenati e che il carico risulti gravante sulla colonna vertebrale.
Adoperare una cintura per esercizi come il curling con bilanciere o la panca piana è del tutto inutile e controproducente. Nel primo caso perché il tipo di "sbilanciamento" determinato dall'esercizio non può essere compensato dalla cintura, che esporrebbe solo ai rischi derivanti dall'aumento pressorio, e nel secondo caso perché quando si è in posizione supina e con la schiena in appoggio ad una panca, il rischio di compressione discale è già estremamente ridotto, ad esempio nel corso di un esercizio come le distensioni.
Diverso discorso per la sua applicazione in esercizi come lo squat se effettuati, come già detto, con carichi vicini al massimale. In queste circostanze si ricerca non solo la riduzione delle forze di compressione ma anche una maggiore e conseguente stabilità della colonna. Situazione sufficientemente garantita dalle strutture muscolari, soprattutto della regione addominale, se si stanno utilizzando carichi modesti o comunque inferiori all'80% del massimale. Negli altri casi il ruolo della cintura non si produce attraverso un'azione sul versante lombare, ma esattamente sul fronte opposto. La cintura deve offrire infatti un'ampia area di appoggio alla parete addominale col compito di evitare che possa cedere anteriormente riducendo l'effetto stabilizzante dato dall'aumento della pressione intraddominale. Le comuni cinture invece sono strutturate in maniera diametralmente opposta rispetto a quella che dovrebbe essere la loro applicazione. Non ha senso l'impiego di una cintura che sia molto alta nella zona a contatto con la regione lombare e invece stretta nel punto di aggancio a contatto con la parete addominale, semmai dovrebbe essere l'esatto contrario! La sua forma si limita ad assecondare un senso di sicurezza che è solo psicologico, che esula da ogni applicazione fisiologica e biomeccanica, determinando quindi un aumento del rischio. Non solo perché inefficace, ma perché convinti di avere una maggiore tutela si è spinti ad impiegare carichi maggiori rispetto a quanto non si sia realmente in grado di fare, oppure prestando meno attenzione durante l'esecuzione del lavoro. Non ultimo vi è un'amplificazione dei rischi derivanti dalla manovra di Valsalva che, se inevitabilmente sono insiti nell'esecuzione di lavori con i sovraccarichi, divengono accentuati dalla presenza di una misura contenitiva anche quando è tecnicamente più che superflua.
Le cinture comunemente in uso hanno una dimensione della porzione addominale di appena 5/6 cm, mentre quelle utilizzate professionalmente (per esempio dai powerlifter) hanno un andamento uniforme, ed un'altezza di 10 cm per l'intera lunghezza, proprio perché l'obiettivo è di limitare l'espansione in avanti della regione addominale, aumentando efficacemente la pressione e fornendo il giusto supporto alla colonna vertebrale. Devono produrre un vantaggio, e non semplicemente indurre una sensazione di sicurezza che tecnicamente non esiste.
Nella maggior parte dei casi, le vere strutture capaci di agire in ordine preventivo rispetto alla colonna vertebrale sono date dai muscoli che stabilizzano il corpo, e tra questi il trasverso dell'addome, il più importante muscolo deputato alla gestione della cosiddetta unità interna in sinergia con le fibre posteriori degli obliqui interni, diaframma, multifido e pavimento pelvico. La sua azione nel corso del lavoro aumenta la pressione nella cavità addominale producendo quella distensione della colonna, in particolare del tratto lobare, che determina anche la conseguente stabilizzazione. La contemporanea attivazione degli erettori spinali non fa altro che migliorare l'intero processo, riducendo ulteriormente i rischi.
Ricapitolando quindi, la cintura può avere un suo impiego in determinati esercizi ed a fronte di carichi particolarmente elevati, dove l'aumento di un rischio probabile è giustificato da uno di misura maggiore. Ma in questo caso occorre l'impiego di cinture particolarmente alte anche lungo la porzione addominale. L'impiego di cinture strette, soprattutto se tendono a restringersi ulteriormente in prossimità dell'addome, è perfettamente inutile, aumenta il rischio (e non solo a carico della regione lombare), e crea inevitabilmente altri problemi accessori, ad esempio sulla corretta stimolazione e risposta dei muscoli stabilizzatori. Chi indossa costantemente la cintura con grande frequenza o addirittura senza mai toglierla dall'inizio alla fine dell'allenamento sta solo producendo un indebolimento della regione addominale e degli erettori spinali.
Non a caso, oltre alla cosiddetta unità interna, poc'anzi analizzata e per mezzo della quale si produce l'azione distensiva della colonna vertebrale, le strutture muscolari del tronco determinano anche l'individuazione di una unità esterna costituita tra l'altro dal retto dell'addome, dagli erettori spinali ecc. Questa seconda unità non solo non è "secondaria" rispetto all'unità interna, ma è necessario che vi sia una sintonia funzionale tra le strutture. L'uso intensivo delle comuni cinture provoca (come dimostrato mediante elettromiografia) un prioritario e più intenso stimolo dell'unità esterna, riducendo la necessaria armonia funzionale.
È fondamentale invece che la muscolatura preposta a fornire quel cilindro anatomico (costituito anche da diaframma e muscoli del pavimento pelvico) capace di migliorare la stifness vertebrale sia mantenuta allenata e capace di rispondere al meglio agli stimoli sfruttando la naturale propensione a stabilizzare la colonna e garantire un fulcro stabile agli arti inferiori nel corso del movimento. Tra l'altro il trasverso dell'addome è caratterizzato dalla capacità di attivarsi con un lieve anticipo rispetto a movimenti inattesi del tronco e degli arti (sia superiori che inferiori) ed è quindi centrale nei meccanismi di controllo e aggiustamento posturale . L'uso continuo, smodato e nella stragrande maggioranza dei casi assolutamente ingiustificato della cintura, oltre a non fornire dei vantaggi ed esporre a maggiori rischi nel corso dell'esecuzione del lavoro, provoca come inevitabile conseguenza la riduzione della performance di queste importanti strutture anatomiche che, oltre ad avere un ruolo importante nel corso di un allenamento, sono determinanti nella vita di tutti i giorni.
In aggiunta ai rischi diretti causati da un impiego in modo inconsapevole della cintura, ignari dei principi di funzionamento e mediante cinture non conformi alle reali necessità, si apre il fronte a tutta una serie di problemi accessori, anche legati al risultato che si desidera ottenere dall'allenamento. Convinti di una maggiore tutela garantita dalla cintura, in molti si sentono autorizzati a usare carichi molto più elevati delle proprie possibilità, compromettendo tra l'altro in modo significativo l'esecuzione dell'esercizio, associando ai rischi già esaminati l'inutilità del lavoro allenante, spesso spinti solo dalla voglia di strafare e farsi notare dagli altri.
L'utilizzo di una cintura in comune fra i vari fruitori della palestra apre il fronte anche a non pochi problemi igienici, la cintura è in materiale assorbente e di sicuro non si procede al suo lavaggio frequente. Di fatto assorbe il sudore di ogni utilizzatore nel corso di mesi e anni, portando a contatto di ogni successivo fruitore il materiale di cui risulta imbevuta. Ma questo è un discorso che meriterebbe un altro tipo di approfondimento.
Da quanto detto si comprende facilmente che la stragrande maggioranza delle cinture in circolazione è di tipo sbagliato, viene usata per esercizi nei quali è del tutto superflua, con il solo risultato di incrementare il rischio diretto e indiretto a tutto svantaggio dei risultati. Anche dopo aver letto le ragioni di questa affermazione, le principali obiezioni non cercano di mettere in risalto possibili errori commessi, ma ci si limita a pensare "se davvero sono inutili perché in tanti le usano e perché continuano a venderle?". Il fatto che qualcosa si trovi in commercio e in tanti la acquistino ovviamente non può tramutare ogni prodotto in qualcosa di valido. Anche le creme brucia grassi sono del tutto inutili e continuano a essere vendute, proprio perché si fa più attenzione al messaggio che ciascuno vuol sentirsi dire (o vuol comprendere), che non a quello che c'è realmente dietro.
Il mondo del fitness, e del body building in particolar modo, vive purtroppo di numerosi falsi miti, idee che non poggiano su alcuna base scientifica ma sull'imitazione di quello che altri fanno, sempre sopraffatti dal timore di mettere in dubbio le affermazioni di chi è più muscoloso.