Il progressivo deterioramento delle capacità funzionali si traduce spesso nell’incapacità di svolgere normali attività della vita quotidiana, come per esempio, andare a fare la spesa, camminare, salire le scale, alzarsi da una sedia, far fronte all’igiene personale. Di conseguenza l’obiettivo del progetto sarà di valutare in modo specifico alcuni aspetti del comportamento motorio, quali l’equilibrio, la mobilità articolare, la forza degli arti inferiori e la resistenza al cammino.
Si è lavorato su un campione di 21 soggetti residenti nel territorio di Enna, già iscritti ai centri anziani e palestre. Si è provveduto a una suddivisione di tre gruppi, che rispettivamente frequentano il “ Centro Anziani G. Alessi”, il “Centro Anziani Proserpina”, e una palestra. Tutti i partecipanti erano in grado di poter adempiere autonomamente le proprie attività quotidiane.
I partecipanti sono stati informati dello scopo scientifico dell’iniziativa e dopo aver firmato un consenso, hanno aderito volontariamente e con entusiasmo. Si sono altresì sottoposti a una visita medico-sportiva non agonistica, presentando idoneo certificato. Il campione era formato esclusivamente da donne.
Il protocollo sottoscritto, era basato su esercizi motori combinati a stimoli cognitivi che, allenavano sia il corpo sia la mente. Gli esercizi proposti sono stati di tipo aerobico di moderata intensità e prevedevano strategie atte a stimolare l’attenzione e la memoria, associando movimenti di coordinazione progressivamente più complessi, con l’obiettivo di aumentare l’efficacia motoria e l’attività cognitiva, con il conseguente innalzamento dell’autostima. Il protocollo constava di un insieme di esercizi basati sulla percezione, sensazione del corpo e riposo, evitando sforzi e surplus energetici. A differenza della ginnastica tradizionale, che enfatizza l'impatto muscolare dell'allenamento, questo tipo di esercizi non solo stimola a rilassare i muscoli e le articolazioni, ma anche a riconoscere e liberare il flusso della nostra energia e ad acquisire felicità e benessere attraverso una maggiore consapevolezza del corpo. Ciò permette, quindi, di diventare consapevoli del movimento, di avere una concezione unitaria e non frammentata del corpo, e di fare un allenamento rilassato che favorisce le sensazioni e il lavoro senza eccessi, rispettando il ritmo interno. Per questo, la respirazione cosciente ha avuto un ruolo molto importante, così come gli esercizi per la schiena, punto in cui si scaricano tutte le tensioni. Le lezioni sono state svolte nelle tre sedi, in locali sufficientemente spaziosi, che hanno permesso di poter svolgere gli esercizi sia in piedi sia da seduti, ma anche a terra su idonei tappetini.
Il protocollo ha avuto una durata complessiva di tre mesi (da Febbraio ad Aprile 2016) per un totale di trenta lezioni. Gli incontri previsti erano due a settimana, con almeno un giorno di riposo tra le due lezioni; la durata era di sessanta minuti suddivisa in cinque fasi:
La singola lezione è iniziata sempre con una camminata sul posto o in circolo con varianti per favorire l’attivazione e ilcondizionamento cardiovascolare, l’aumento della resistenza, il miglioramento della coordinazione e della percezione spazio-temporale. La parte centrale ha interessato l’esecuzione di esercizi di mobilizzazione, delle principali articolazioni, e di rinforzo dei muscoli degli arti superiori e inferiori e dei muscoli della colonna. È seguita, poi, parte di coordinazione nella quale, oltre a favorire una mobilità generale e una fase cardiovascolare, va a stimolare l’attenzione e la memoria. Dopo si è passati al defaticamento, il cui obiettivo è di creare una transizione graduale tra la fase cardiovascolare e di tonificazione muscolare e/o lo stretching. La fase di tonificazione è stata eseguita sul tappetino, passando gradualmente dalla posizione seduta a quella di decubito. L'allungamento muscolare a fine lezione, ha avuto lo scopo di aumentare la mobilità articolare, di migliorare la flessibilità muscolare, di eliminare le scorie metaboliche accumulate durante gli esercizi, di tonificazione e di favorire il recupero dopo gli sforzi fisici, rilassando completamente il corpo. La durata, di solito è stata di almeno cinque minuti, anche se in base al tipo di lezione, si è protratta per un tempo superiore.
È noto che le numerose condizioni di morbosità, disabilità e mortalità prematura possono essere prevenute attraverso comportamenti e stili di vita sani, e l’attività fisica è riconosciuta come un fattore decisivo. Infatti è stato dimostrato, che in molte malattie croniche (artrosi, esiti d’ictus, Parkinson, cardiopatia ischemica, ecc.), il processo disabilitante è aggravato dall’effetto additivo della sedentarietà, causa di nuove menomazioni, limitazioni funzionali e di disabilità. Questo circolo può essere corretto con adeguati programmi di attività fisica regolare e continuata nel tempo. Essere anziani non è sinonimo di uno stato patologico, anche se spesso, con il progredire dell’età le malattie sono più frequenti. Proprio per questo motivo, la cosiddetta terza età è un periodo della vita, che, a differenza delle altre, richiede attenzioni particolari e soprattutto mirate, con il solo scopo di migliorare la qualità della stessa. Numerosi sono i problemi da affrontare legati all’invecchiamento, ma essere etichettato come “anziano”, cioè facente parte di una categoria da emarginare, non è né accettabile né tollerabile. Durante il percorso di vita, non è di facile individuazione il momento in cui da adulti si diventa anziani, in quanto, ciò non dipende dall’età anagrafica, bensì da quella biologica e psicologica. Sono queste le ragioni per cui l’approccio con una persona che rientra nella sfera “dell’anziano” non può essere standardizzato. Il compito principale, per chi si avvicina all’attività motoria per la terza età, consiste proprio nel trattare gli interessati come persone e non come malati.
L’attività motoria in un piccolo gruppo è consigliata per le sindromi croniche, che non limitano le capacità motorie di base o della cura del sé (sindromi algiche da ipomobilità, osteoporosi, artrite, artrosi, malattia di Parkinson, esiti d’ictus, ecc.), e anche per i soggetti che desiderano mantenere la propria autonomia.
La creazione di gruppi di allenamento è stata un elemento fondamentale durante le attività, al fine di stimolare l’interesse e gli scambi emotivi. I gruppi, sono stati formati in maniera eterogenea per età, perché in questo modo non si “ghettizza” l’individuo anziano, poiché spesso le capacità fisiche possono essere molto simili nell’anziano allenato e nell’adulto decondizionato. Bisogna pure rilevare che la ginnastica per la terza età non è uno sport, ma un’attività motoria di gruppo, rivolta a fare acquisire un maggiore livello di benessere psicofisico. Non esiste fine agonistico, infatti, non c’è nulla da vincere, anche perché, in un momento critico come la vecchiaia, la vittoria di uno significa automaticamente la sconfitta degli altri, con l’inevitabile frustrazione che ne potrebbe conseguire.
L’idea di creare un protocollo adattato alla terza età, nasce dall’esigenza di rendere l’anziano il più possibile autonomo e libero di svolgere le normali attività di vita quotidiane. Promuovere sani stili di vita attivi per la fascia di età superiore ai sessanta anni è dunque finalizzato alla prevenzione più che alla cura. Con questo protocollo sono stati prefissati degli obiettivi generali quali:
In particolare il protocollo di esercizi tende a:
Possiamo sinteticamente inquadrare gli obiettivi nel miglioramento delle funzioni fisiche, nell’arricchimento dell’autonomia e nel trasferimento dei risultati nella vita quotidiana, incidendo quindi sulla qualità della vita, attraverso un intervento strumentale sulle potenzialità residue del soggetto. Il protocollo di esercizi è basato sul contenuto delle seguenti pubblicazioni:
Questo programma di esercizi ha avuto lo scopo di migliorare la forza, la mobilità, l’equilibrio e la coordinazione. Le lezioni sono state svolte nella sede dei centri e nella palestra, in stanze, come già detto precedentemente, sufficientemente spaziose, tali da poter svolgere gli esercizi sia in piedi sia da seduti, ma anche a terra sul tappetino.
È datato 1973 l’acronimo “APA” (“AFA” in Italia) , che coincide con la costituzione della Federazione Internazionale “IFAPA” (International Federation of Adapted Physical Activity) (ADAPT) . Da allora, gli interessi e la capacità di chi è identificato, per le condizioni fisiche svantaggiate, quali disabili, malati e anziani, si possono identificare con un unico movimento italiano e internazionale: l’IFAPA, l’AFA (Adapted Physical Activity) . Sembra superfluo affermarlo, ma tutto ciò che è movimento, cammino, attività fisica, è, insieme alla comunicazione, l’identificazione della persona. Sono questi gli elementi essenziali che creano interconnessione fra le persone stesse e l’ambiente circostante. Tutti questi concetti sono la linea guida dell’ International Classification of Functioning (ICF) .
Notevoli passi in avanti per un più mirato e qualificato intervento, sono stati compiuti dalla Medicina Riabilitativa che, stimolata dalla “persona” nella sua globalità, propongono interventi sempre più innovativi ed efficaci, operando nell’ambito della prevenzione e dello sviluppo della salute. Le adesioni sono sempre in continuo aumento e quindi, oltre alle difficoltà di natura scientifica, si devono affrontare quelle di tipo economico, auspicando maggiori finanziamenti in questo campo. Nella difficoltà si sviluppa l’ingegno. Ne è da esempio il Dott. Benvenuti che con il proprio gruppo ha dato corso a una nuova strategia, in grado di conciliare la pochezza di fondi con una pratica clinica. I risultati sono stati soddisfacenti, e i programmi di esercizi non sanitario svolta in gruppo, sono stati identificati con il termine AFA (Attività Fisica Adattata) . I programmi AFA sono indirizzati ai cittadini con malattie croniche, finalizzati alla modificazione dello stile di vita per la prevenzione secondaria e terziaria della disabilità; quindi, non curano le malattie, bensì promuovono la salute. È importante che, di fronte a patologie croniche, la persona acquisisca la consapevolezza che il procedimento terapeutico deve necessariamente prolungarsi nel tempo per modificare lo stile di vita. I programmi di attività sono costruiti definendo spazi e ausili necessari, in modo da renderli facilmente ripetibili anche in ambienti non riabilitativi.
I programmi AFA mirano a ottenere un miglioramento generale delle condizioni dei pazienti, utilizzando la pratica graduale e incrementativa di alcuni parametri dell’attività motoria, della deambulazione e dell’equilibrio. Le azioni compiute sul tronco acquisiscono maggiore rilievo, in quanto, è proprio la mobilità del tronco che agisce sulla qualità e quantità del cammino, sul controllo della linea mediana e sulla percezione corporea che migliorano l’equilibrio statico e dinamico. Le finalità del progetto AFA sono così sintetizzate:
In Italia l’ AFA è tuttora diffusa in parecchie regioni italiane. Una delle prime è stata la Toscana, che ha iniziato nel 2004 e ha introdotto i percorsi AFA come risposta del Sistema Sanitario Regionale alle sindromi algiche da ipo-mobilità e croniche stabilizzate negli esiti con una specifica delibera (DGR 595/05)1. I corsi AFA in Toscana in questo momento attivi sono: “AFA Speciale” (persone con alta disabilità, tra cui esiti d’ictus cerebrale); “AFA Generica” (persone con bassa disabilità), “AFA Piscina” . Numerose sono le presenze in tutto il territorio Toscano, e l’organizzazione prevede in tutto un invio “libero” dei pazienti da parte del medico di Medicina Generale o di medici specialisti. L’erogazione dell’attività è assicurata da privati che utilizzano palestre o ambienti al di fuori delle strutture sanitarie, primariamente dedicati ad altre finalità, purché di adeguata superficie e conformi alla normativa vigente in materia di sicurezza. La formazione degli istruttori è affidata all’ AFA, e i soggetti solitamente sono laureati in Scienze Motorie o in Fisioterapia.
Anche in questo caso, come la sperimentazione oggetto di questo studio, il programma di esercizio è organizzato in due/tre accessi la settimana ed è continuo nell’anno. Altre regioni italiane stanno in questo periodo implementando la ricerca su questo nuovo tipo d’intervento, come mostra la (Figura 1).
La valutazione qualitativa è un metodo sistematico d’indagine recente, ma molto usato e dipende dal ricercatore che stabilisce gli strumenti di raccolta e la successiva analisi e l’interpretazione dei dati; pertanto, risulta, non essere un’analisi statistica, poiché soggetta all’arbitrio e alle scelte del ricercatore. Nella ricerca quantitativa, il ricercatore per l’acquisizione dei dati si avvale d’indici, variabili e strumentazione idonea, mentre nella ricerca qualitativa diventa lui stesso un elemento imprescindibile per la raccolta di dati e per la successiva analisi e interpretazione degli stessi, interagendo costantemente con i partecipanti alla ricerca. La discrezionalità dei criteri di valutazione, varia tra ricercatori, per cui molto spesso, si preferisce, nell’ambito della valutazione motoria, effettivamente abbastanza complessa, l’utilizzo di un approccio quantitativo rispetto a quello qualitativo. Bisogna comunque evidenziare che, molto spesso le ricerche qualitative in ambito motorio, sono messe in atto seguendo determinate griglie di valutazione già standardizzate e riconosciute valide scientificamente.