Come sostenuto anche dall’UNICEF lo sport è un elemento fondamentale per il sano sviluppo dei bambini, tanto da esser stato riconosciuto dalle Nazioni Unite come un diritto fondamentale.
Secondo l'art. 31 della Convenzione sui diritti dell'infanzia, "Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica [...]".
Sebbene in tale articolo non venga citato lo sport, la dottrina ha specificato successivamente che le parole riposo, svago, gioco e attività ricreative, benché sembrino apparentemente sinonimi, implicano differenze sostanziali.
Riposo sottintende la necessità di rilassarsi mentalmente e fisicamente, nonché di dormire.
Svago è un termine dal significato più ampio, che fa riferimento al tempo libero ed alla libertà di fare ciò che uno più desidera.
Attività ricreative abbraccia la vasta gamma di azioni svolte per libera scelta, il cui scopo è il piacere e il divertimento: lo sport, le arti creative, i passatempi di carattere scientifico, tecnico, artigianale, agricolo.
Gioco include tutte le attività dei bambini che non sono controllate dagli adulti e che non richiedono il rispetto di regole precise.
Anche in Italia l'UNICEF si impegna a promuovere una vita sana, fondata sulla salute fisica, mentale e psicologica dei bambini e degli adolescenti, grazie a sport, svago e attività ricreative.
Lo sport fa bene, e non solo al fisico...
L'attività fisica regolare apporta innumerevoli benefici al corpo e alla mente:
Attraverso lo sport, il divertimento e il gioco i bambini e gli adolescenti imparano alcuni dei valori più importanti della vita.
Come dichiarato dal Direttore esecutivo dell'UNICEF Ann Veneman, l'attività fisica promuove non violenza, tolleranza e pace.
Lo sport insegna importanti valori quali amicizia, solidarietà, lealtà, lavoro di squadra, autodisciplina, autostima, fiducia in sé e negli altri, rispetto degli altri, modestia, comunicazione, leadership, capacità di affrontare i problemi, ma anche interdipendenza. Tutti principi, questi, alla base dello sviluppo.
Oltre ad avere un ruolo fondamentale nel trasformare i bambini in adulti responsabili e premurosi, lo sport riunisce i giovani, li aiuta ad affrontare le sfide quotidiane e a superare le differenze culturali, linguistiche, religiose, sociali, ideologiche.
Lo sport è un linguaggio universale in grado di colmare i divari e di promuovere i valori fondamentali indispensabili per una pace duratura. È un mezzo straordinario per allentare la tensione e favorire il dialogo. Sul campo di gioco le differenze culturali e le priorità politiche scompaiono. I bambini che praticano sport capiscono che si può interagire senza coercizione o sfruttamento.1
Quando parliamo nello specifico di attività sportive ci riferiamo ad attività così dette strutturate o organizzate. Per organizzate vanno intese quelle attività caratterizzate da struttura, supervisione degli adulti ed enfasi sullo sviluppo di abilità. Queste attività sono generalmente contraddistinte da orari e incontri settimanali programmati, possono coinvolgere numerosi partecipanti, offrono supervisione e guida da parte degli adulti e sono organizzate per favorire l’apprendimento di abilità specifiche ed il raggiungimento di obiettivi. Tali attività ovviamente vanno distinte da altre come il giocare per strada con bambini della stessa età, guardare la televisione o ascoltare musica definite invece come attività non strutturate.
Diverse ricerche hanno dimostrato come esistano delle correlazioni positive fra la partecipazione di bambini e adolescenti ad attività di tipo organizzato, che non comprendano solo attività sportive ma anche altre extrascolastiche, e l’incremento dei risultati scolastici con minori casi di abbandono, di delinquenza in età giovanile e dell’uso di alcol e droghe.
Allo stesso tempo la frequenza di queste attività permette un miglior adattamento psicosociale in diversi ambiti, migliorano il senso di efficacia ed autostima e sono collegate invece a bassi livelli di emozioni negative come l’umore depresso e l’ansia nel corso dell’adolescenza.
Lo sport sembra stimolare bambini e adolescenti a controllare e disciplinare le loro azioni su livelli psicologici e sociali diversi. Per cui si impegnano più duramente per raggiungere i loro obiettivi, controllano meglio le loro frustrazioni e imparano a lavorare per il bene del gruppo. Durante la pratica sportiva molti giovani dichiarano di provare la cosiddetta flow experience, cioè uno stato psicologico di massima positività e gratificazione che deriva dall’attività, tale da determinare una completa “immersione nel compito”, alterata percezione dello scorrere del tempo e assenza di auto-osservazione giudicante.2
Tuttavia sarebbe impensabile credere che tali apprendimenti e adattamenti positivi si verifichino automaticamente semplicemente praticando un’attività sportiva. La strutturazione delle attività da parte degli adulti coinvolti in questo processo è fondamentale nel trasmettere valori positivi attraverso lo sport. Purtroppo oggi avviene spesso l’esatto opposto. Allenatori e genitori riempiono frequentemente i bambini di aspettative nella pratica sportiva cosicché la stessa, da fonte di piacere quale dovrebbe essere, si trasforma in una possibile situazione di ansia e delusione nella sconfitta.
Numerosi studi hanno riscontrato che i bambini che percepiscono un maggior numero di interazioni positive, sostegno, incoraggiamento e meno pressione da parte dei genitori provano maggiore piacere nelle attività sportive, manifestano una maggiore propensione alla sfida ed esprimono maggiore motivazione intrinseca rispetto agli altri bambini. Altre ricerche si sono concentrate invece sul rapporto che collega i genitori ad esperienze negative nello sport con il fenomeno del drop-out sportivo ossia dell’abbandono dello sport praticato, fenomeno che avviene sempre più durante l’adolescenza.
Oggi la psicologia dello sport si sta concentrando su questo fenomeno per cercare di comprendere le ragioni che spingono i giovani ad abbandonare lo sport. I motivi sembrano essere molteplici. L’agonismo esasperato fin da giovanissimi e la ricerca del risultato a tutti i costi da parte dell’allenatore. L’illusione preclusa di divenire dei campioni. Nuovi interessi oppure le esigenze di studio. Genitori e ambiente esterno troppo esigenti e pressanti. Il venire meno di divertimento e motivazioni. All’origine dell’abbandono, quindi, non un’unica causa, ma più elementi spesso concomitanti fra loro tali da convincere il giovane a credere che sia meglio lasciar perdere.
Dalla tabella emergono chiaramente l’importanza delle motivazioni che spingono a praticare uno sport e di come il loro venir meno determini l’abbandono dello stesso. L’allenatore ha quindi un compito fondamentale che è quello di mantenere sempre alto l’interesse per la disciplina da parte degli atleti, non arrecando invece stress e noia. A tal proposito il suo interesse dovrebbe sempre essere concentrato sulla ricerca di piacere e divertimento da parte degli atleti, sul coinvolgimento di tutti e sullo spirito di gruppo, sull’enfatizzare la prestazione positiva e non la ricerca ossessiva del risultato. Sono tutte componenti che possono sembrare secondarie ma che in realtà fanno sentire bambini e ragazzi veramente partecipi dello sport che stanno praticando. Small e Smith parlano addirittura di una filosofia strategica che l’allenatore dovrebbe attuare con lo scopo di ridurre il più possibile le condizioni di disagio che possono condurre ad un abbandono precoce.
Alcune di queste strategie sono:
Gli allenamenti devono essere soprattutto divertenti e stimolanti, didatticamente validi, con obiettivi legati all’età e al livello di maturazione di ciascuno. L’allenatore non deve essere un leader autoritario, ma autorevole, non deve essere troppo permissivo, ma empatico, motivatore, stimolatore, entusiasta. Deve potere instaurare con i ragazzi un dialogo sincero e creare un clima di gruppo positivo, in cui si respiri aria di collaborazione, fiducia, sostegno e stima reciproca.
Il rapporto fra genitore e allenatore è ugualmente importante. Spesso i genitori tendono a sostituirsi all’allenatore, criticandolo apertamente all’interno delle mura domestiche o peggio sul campo di gioco. Il ragazzo ovviamente viene influenzato da queste critiche, per cui l’allenatore perde ai suoi occhi stima ed autorità.Già dopo la scuola primaria, infatti, i bambini italiani cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa e ad ingrossare le fila dei sedentari. E se finora l’età spartiacque era quella tra i 14 e i 15 anni, nell’ultimo anno si è osservato che il trend negativo comincia già a 11 anni. Infatti tra il 2011 e il 2012 la quota di praticanti continuativi è diminuita persino nella fascia d’età 11-14 anni, passando dal 56% al 53,4%. Percentuale che tra i 15 e i 17 anni diventa del 48,5% e si assesta 14 punti percentuali sotto, al 34,7%, tra i 18 e i 19 anni. Una parabola discendente al crescere dell’età.
Non v’è dubbio che nel divorzio tra adolescenti e sport un ruolo ce l’abbiano le nuove tecnologie. Come ha messo in luce l’indagine SIP “Abitudini e stili di vita degli adolescenti 2012” i teenagers trascorrono da tre a quattro ore al giorno davanti a uno schermo: tv, computer o smartphone che sia. Ma questo non basta a spiegare perché il tasso di sedentarietà degli adolescenti italiani sia più che triplo rispetto a quello dei loro coetanei europei (24,6% contro 7% nella fascia di età 15-24 anni), i quali non sono da meno dei ragazzi italiani nell’uso di tecnologie digitali, né per abilità né per tempo trascorso. Studi svolti in alcune città italiane hanno evidenziato due principali motivi di abbandono che confermano quanto evidenziato in tabella 2, uno legato all’eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5%) e l’altro riconducibile alle modalità di svolgimento dell’attività fisica perché “fare sport è venuto a noia” (65,4%), “costa troppa fatica” (24,4%), e gli “istruttori sono troppo esigenti” (19,4%).
Spesso sono gli stessi genitori che come punizione per i cattivi risultati scolastici impongono al figlio di abbandonare la pratica sportiva ritenendo che possa essere una distrazione per il raggiungimento degli obiettivi scolastici. Riteniamo ovviamente tale valutazione totalmente errata. Costringere un ragazzo all’abbandono della pratica sportiva che per lui è fonte di piacere non lo avvicinerà di certo allo studio, semmai il contrario. Anche gli insegnanti devono rendersi conto che quando assegnano i compiti per casa, trattandosi di soggetti in fase di formazione, costringere i bambini a stare per ore piegati sui libri non è proprio l’ideale. In questa età si ha il pieno diritto di avere il tempo per potersi dedicare ad altre attività che non siano per forza inerenti con la scuola. I più volenterosi avranno tempo e modo di “spaccarsi” la schiena sui libri una volta raggiunta l’Università. C’è tempo per ogni cosa.
Di seguito vengono proposti dei suggerimenti del Dott. Aldo Grauso, esperto in psicologia evolutiva, per avviare e seguire correttamente il proprio figlio nella pratica sportive.3
A conclusione riportiamo la Carta dei diritti dei ragazzi allo sport (Ginevra 1992 - Commissione Tempo Libero O.N.U.):