Il gioco è stato sempre definito come un’alternativa al lavoro, come un’occupazione dispersiva e incontrollata senza alcuna utilità biologica e sociale. È solito considerarlo come l’opposto dell’attività seria, disponibile all’uomo solo nei momenti di ozio e di tempo libero. Ma il gioco ha radici ben più antiche della cultura stessa: è un fenomeno puramente fisiologico che coinvolge la persona da un punto di vista corporeo e psicologico, un aspetto fondamentale della vita umana, molto complesso nei suoi elementi e nella sua natura. Questa ideologia è documentata da numerosi reperti archeologici risalenti all’antico Egitto che documentano il gioco della palla in diverse varianti, la trottola, il girotondo, il braccio di ferro e il salto.1
In epoca ellenistica per parlare di gioco si ricorreva al termine paidià con cui si intende anche “divertimento”, “scherzo”, “passatempo”, da non confondere con paidìa che significa invece “fanciullezza”. Nella cultura greca il gioco viene considerato sia come strumento della vita personale e familiare, utile a far acquisire le capacità necessarie alla vita adulta e alla professione, sia come componente fondamentale della vita pubblica e sociale, diventando attività sportiva e agonistica.
Il gioco, fino al 323 a.C, aveva un ruolo importante nella vita dei Greci, tant’è vero che i “Giochi Nazionali Greci” costituivano un evento culturale fondamentale per il popolo ellenico: erano definiti dall’espressione kalòs kagathòs (bello e buono) in quanto il gioco riuniva criterio estetico e morale della persona. Durante questo periodo, i giochi nazionali erano a stretto contatto con la religione e il culto delle divinità con offerte di sacrifici. Si possono raggruppare in quattro differenti categorie: i giochi olimpici, istituiti a Olimpia dal 776 a.C, erano collegati al culto di Zeus e consistevano prima in gare di corsa e poi in gare di pugilato, corsa di cavalli, corsa armata, corsa coi carri; i giochi Pitici consistenti dapprima in esibizioni musicali in onore di Apollo, e in un secondo momento si aggiunsero gli esercizi del pentathlon; i giochi Istmici comprendevano la corsa, gli esercizi del pentathlon, il pugilato, il pancrazio, prove di caccia, le corse delle quadriglie e dei cavalli liberi, le gare musicali e poetiche; infine i giochi Nemei, ricordati in onore della morte del figlio del re Nemea, che inizialmente erano gare di corsa ma poi comprendevano anche prove dei giochi olimpici e Pitici.
Tutti questi giochi avevano una rilevante importanza sia sul piano civile che sul piano pubblico in quanto sospendevano tutte le guerre e le ostilità fra gli stati che partecipavano ai giochi. Ma dopo la morte di Alessandro Magno, gli aspetti fondamentali del gioco cambiarono radicalmente: nascono gli agones musikòi ippikòi ossia delle vere e proprie gare musicali e ippiche alle quali partecipavano virtuosi professionisti.2 Presso i Romani, il gioco era rappresentato dal termine ludus con riferimento a tutti gli aspetti del gioco e del giocare: gioco dei bambini, gioco degli adulti, gara, risata, ricreazione ecc. Ma originariamente la parola ludus indicava la “scuola” scelto per non scoraggiare i bambini dal frequentarla in quanto rappresentava l’opposto di un luogo in cui si potesse giocare. Inoltre la parola ludus trovava applicazione anche in ambito militare: l’esercizio di addestramento veniva definito come una semplice gara a differenza di una dura e reale battaglia. I giochi ai tempi dei romani erano piuttosto sedentari e statici per via del grosso dispendio energetico per la preparazione dei “ludi pubblici”. Alcuni di questi giochi erano gli antenati dei moderni “gioco dell‟oca” o dei nostri “scacchi” o “dama”. Al plurale il termine ludi indicava i “giochi pubblici”, molto importanti nella vita pubblica dei Romani: corse, gare atletiche, combattimenti e gare musicali erano le attività principali durante queste celebrazioni.
I bambini romani invece giocavano con tutto quello che gli capitava tra le mani: con le noci giocavano a biglie, gli ossicini sostituivano i moderni dadi, con un bastone facevano un cavallo. I ragazzi invece giocavano con la “trottola” o anche il “cerchio” (orbis) a cui venivano fissati dei campanellini che suonavano durante la corsa. Nel medioevo il gioco fu di rilevante importanza nella vita sociale ma non se ne teorizzò alcun uso a scopo educativo: a causa dell’influenza del pensiero Cristiano, il gioco veniva definito come una forma eretica e dissacratoria di trascorrere il tempo libero. Infatti, in tempi antecedenti il medioevo, il gioco era più crudele e rude: alcuni bambini erano soliti combattere tra di loro o con un animale.
I giochi, però, durante questo periodo, non furono mai vietati, anzi primeggiavano gli esercizi fisici e i giochi bellici come la corsa, la lotta, la scherma. Insieme a questi si svilupparono le prime forme di “gioco-spettacolo” privilegiati dalle famiglie nobili come i tornei, la giostra, il palio, la quintana, la corsa dell’anello. Inoltre nascono alcuni giochi popolari come il mezzo scudo, la battaglia di sassi e i giochi con la palla spesso praticati con violenza. Oltre a questi, molto diffusi erano i giochi popolari tipici di sagre e feste come la cavallina, la morra, il tiro alla fune, la cuccagna, la corsa dei sacchi che diedero origine al gioco popolare. In epoca rinascimentale i giochi iniziarono a essere scanditi da regole e furono introdotte nuove tecniche di gioco.
Si svilupparono principalmente i giochi con la palla, talvolta anche proibiti. Con la decadenza della cavalleria anche i giochi più nobili persero la loro notevole importanza. Durante questo periodo, il gioco subisce una profonda trasformazione: il gioco viene considerato come strumento etico - educativo della vita infantile. Si pensi alla “Cà Giocosa” di Vittorino Da Feltre nella quale si apprende facilmente e piacevolmente, senza gravare sull’animo del bambino.3 Il gioco, secondo Vittorino Da Feltre, rappresenta un fattore fondamentale per l’educazione del corpo e per uno sviluppo armonico del fanciullo. Accanto all’esercizio fisico, le esperienze ludiche si alternano allo studio in quanto “il gioco è un atto spontaneo e creativo in cui si manifesta il temperamento del fanciullo”.4 Nel 600, il gioco viene introdotto nei programmi scolastici grazie all’influenza del pensiero della Compagnia dei Gesuiti. Il gioco venne definito come momento sportivo utile allo studio. Nei collegi Gesuiti erano proibiti alcuni giochi con la palla e con le bocce ritenuti troppo violenti. Fu John Locke, però, dopo i Gesuiti, a suggerire di utilizzare il gioco per un apprendimento più semplice di esercizi più complessi con la formula dell’“istruire divertendosi”.
Locke riteneva utili le attività ludiche per la salute e l’efficienza fisica. I bambini infatti giocavano liberamente, senza alcuna costrizione e senza regole, ma sempre sotto l’occhio attento dell’educatore il quale deve educare il carattere del bambino. La visione classica di gioco come momento di pausa dalla serietà della vita viene messa in discussione dalla ricerca del filosofo tedesco Immanuel Kant il quale afferma che il gioco è “un’occupazione per se stessa piacevole e non abbisogna di altro scopo” e contemporaneamente lo contrappone al lavoro. Nel romanticismo il gioco viene considerato un’attività spontanea e disinteressata. Il momento ludico, anziché essere momento di pausa o ozio per l’uomo, diviene un attività molto significativa e libera, lontana dall’attività seria. Infatti Schiller nel 1795 afferma che “l’uomo gioca solo quando è uomo nel pieno significato della parola ed è completamente solo quando gioca”. Ma è con Friedrich Froebel che il gioco assume un valore prettamente pedagogico: secondo il pedagogista, infatti, il gioco è l’impegno fondamentale del bambino ed è considerato come “fonte di ogni bene” e “germe di vita”.5 Nei secoli successivi il gioco sarà integrato con le attività espressive ed esercizi pratici, in quanto “l’ora del gioco è rivelatrice fedele di ogni atteggiamento dell’anima”.
Con questo si sottolinea l’utilità del gioco nel comunicare aspetti della propria personalità. Diversamente il gioco viene interpretato dalla Dottoressa Maria Montessori, difende il “gioco impegnato, concentrato” che si avvicina al lavoro e lo contrappone al “gioco insensato, dispersivo”. La Montessori parte dall’idea che il bambino diventa triste quando non sa cosa fare mentre è felice quando svolge un attività interessante per la sua crescita. Nel 1896 il barone De Coubertin sottolineò l'importanza e il valore del gioco nella vita dell’uomo istituendo le Olimpiadi Moderne. Prima della televisione, i ragazzi giocavano per strada, negli atri o nelle piazze di paese; ci si divertiva organizzando giochi di abilità di gruppo o individuali utilizzando materiali di scarto, come pezzi di legno, corde, carta, stracci per costruire palle e altri oggetti che, grazie alla fantasia dei bambini, davano un vero e proprio valore al gioco. Nel dopo-guerra il gioco subì un evoluzione radicale: si passò dai giochi di strada a giochi più sofisticati, che si servono della telematica.
Per non incorrere in errore, bisogna innanzitutto fare una distinzione tra multidisciplinarità ed interdisciplinarità. La multidisciplinarità consiste nel ricercare la soluzione di un problema in due o più scienze o settori di conoscenze, senza modificare o arricchire tali discipline, rappresenta quindi un livello di informazione generale e alterno, senza delle vere e proprie operazioni. L'interdisciplinarità invece consiste nella collaborazione tra discipline diverse o settori eterogenei della stessa disciplina, con un livello di informazione reciproco e arricchito.
Come citato nel dizionario Treccani essa è definita come la “rete dei rapporti complementari, di integrazione e interazione per cui discipline diverse convergono in principi comuni”, differente invece è la trasversalità ossia “l’insieme delle possibili interazioni e sinergie fra esigenze, valori, linguaggi, prospettive che si affermano in ambiti socioculturali diversi, ponendo problemi di ristrutturazione o riconsiderazione unificante”.
La pedagogia moderna sottolinea l’importanza dell’attività ludico-motoria e di come si ottengono risultati positivi. L'attività ludico-motoria associata al canto, alla danza, all’arte, alla comunicazione, alla socializzazione è una possibilità unica di comunicazione tra insegnante e allievo e tra allievi. L’educazione fisica, grazie allo sviluppo della conoscenza di sé e del proprio corpo, di una migliore percezione di se nello spazio e nel tempo, fornisce un’ampia base per un comportamento motorio. L’interdipendenza tra corpo, spazio e tempo è alla base di un insegnamento interdisciplinare che favorisce il processo di formazione della persona stimolando la sua sensibilità, intelligenza, attenzione e affettività. Così il gioco in sé coincide con il processo di autoformazione e di realizzazione per esprimersi sviluppando le capacità inventive e progettuali attraverso un’attività di azione e di movimento che costituisca un momento di gioia, felicità, libertà che soddisfi i propri bisogni interiori.
Il gioco, nello specifico quello simbolico o di finzione, è la base del pensiero creativo che determina arricchimento e rielaborazione, integrando grazie alla fantasia e all’inventiva, i dati della propria esperienza. L’attività ludica ha un importante funzione educativa in quanto garantisce un apprendimento stabile che si traduce in azioni di tipo motorio e garantisce al bambino di apprendere divertendosi. Attraverso il gioco si possono strutturare una lunga serie di proposte didattiche ed educative per migliorare le condizioni di partenza e per lo sviluppo delle capacità motorie in maniera efficace e mirata, partendo dalle proprie competenze individuali per poi allargare gli orizzonti anche ad altre competenze interdisciplinari. L’educazione fisica nella scuola primaria, attraverso le sue molteplici attività ludiche, consente di spostare in un'altra direzione concetti o esperienze difficili al bambino e di attivare quei processi mentali che permettono di acquisire nuovi significati in tempi brevi e in modo semplice ed efficace. Per questo il gioco è un punto focale ai fini dell’apprendimento in quanto consente di esprimere l’affettività, l’emotività e tutte quelle sensazioni spontanee dei bambini, permettendo all’insegnante di vederli in azione, di capirli e di valutarli al meglio.
Lavorare in interdisciplinarità permette di non attuare una separazione tra gioco e apprendimento, tra ciò che accade in palestra e ciò che avviene in classe, anzi permette un migliore apprendimento e diventa così una forte strategia didattica ed educativa attraverso la reciproca integrazione. A tal proposito, l’interdisciplinarità richiede degli ottimi “traghettatori” tra ambiti differenti: l’insegnante deve favorire il processo di integrazione didattica delle attività motorie e sportive. Grazie alla loro capacità di proporre attività articolate su più discipline e di costruire unità di apprendimento che raccolgono i saperi anche della matematica o della lingua inglese ad esempio, si pongono le basi a un sapere costruito attraverso la “mobilitazione” in contesti diversi.6 Questa metafora definisce la capacità di trasferire diverse risorse in diverse situazioni: così i bambini, attraverso l’intervento interdisciplinare, non solo trasferiscono le conoscenze da una situazione a un'altra ma possono adattare, integrare e migliorare gli apprendimenti. Questo avviene proponendo in classe attività di movimento e in palestra attività più stimolanti dal punto di vista cognitivo. In questo modo l’insegnante può comprendere quali siano le reali conseguenze dell’efficienza fisica e della competenza motoria sull’apprendimento degli alunni e cosa si potrebbe attivare attraverso l’integrazione dell’attività ludico-motoria in tutte le aree del sapere.7
I programmi ministeriali per l’educazione fisica, pur essendo ottimi da vari punti di vista, mancano di un’esauriente scansione temporale, eccedono nelle attività pre-sportive e sono carenti nell’educazione attraverso il movimento e attraverso il gioco, che svolge un’azione fondamentale nella comprensione, nell’accettazione e nell’assimilazione di norme sociali da parte del bambino. In maniera indiretta, i giochi motori possono essere utilizzati per l’apprendimento dei concetti base di molte discipline. Con un pò di fantasia sarà possibile tracciare un solido percorso di giochi che guidi il bambino nella scoperta di tanti saperi che, nei cinque anni si scuola elementare, andranno a consolidarsi nella sua mente. Il gioco, quindi, abbraccia varie aree e settori del sapere, favorendone quindi un apprendimento trasversale:
Per poter creare raccordi interdisciplinari a partire dall’attività ludico-motoria, è necessario che l’insegnante sia consapevole della vasta gamma di scopi e obiettivi dell’Educazione Fisica scolastica, che comprendono non solo l’esercizio e il miglioramento delle funzionalità organiche ma anche l’efficienza fisica e l’acquisizione di competenze motorie, cognitive e sociali. Nello specifico, il gioco motorio permette al docente di valutare le progressive acquisizioni del bambino: in palestra si possono cogliere molteplici aspetti attraverso la creazione di ambienti motivanti e rispettando sempre la logica di apprendimento. Un tale modello di formazione interdisciplinare del bambino, che parte dalla corporeità e dal movimento, si inserisce in un sistema di lavoro fondamentale per la scuola: la creazione di “best practices” (cioè di buone prassi strutturate) che permettono di garantire un esperienza motoria disseminabile anche in altri contesti educativi.