Il corpo umano è composto da tre tipi di tessuto muscolare: scheletrico, cardiaco, liscio.
Il muscolo scheletrico rappresenta il più abbondante, è formato dal 75 % di acqua, dal 20 % di proteine e per il rimanente 5 % da sali
inorganici e altre sostanze.
Inoltre costituisce una massa del 40 % circa in un soggetto non allenato e fino ad oltre il 60 % in un’atleta.
Il muscolo è costituito da un ventre, che rappresenta la sezione centrale massima, e da due apici terminali, detti tendini.
La forza viene sviluppata dal ventre tramite la contrazione delle cellule muscolari in esso contenute, mentre i tendini, inserendosi su due o più segmenti
articolari, fungono da organo di trasmissione della tensione.
Presenta delle fibre muscolari, cioè cellule allungate in grado di contrarsi lungo il proprio asse longitudinale, disposte longitudinalmente o trasversalmente
all’interno del ventre e delle fibrocellule connettivali che si contraggono lungo il proprio asse longitudinale.
È caratterizzato da tre strati concentrici di tessuto connettivo:
Le miofibrille sono delle formazioni cilindriche deputate all’avvio della contrazione muscolare e sono formate internamente da fasci di filamenti (spessi e sottili). Quest’ultimi costituiscono il "sarcomero, cioè la componente contrattile di base della cellula muscolare. Inoltre è presente un liquido definito "sarcoplasma", in cui sono contenute le sostanze necessarie alla contrazione.
Il danno strutturale di una fibra muscolare può essere causato da una singola contrazione muscolare o da una serie di contrazioni, in
particolare da quella di tipo eccentrico (dove si registra una maggior produzione di forza). In quest’ultima, il muscolo è sottoposto ad un fenomeno di
"overstretching", che può determinare l’insorgenza di lesioni a livello dell’inserzione tendinea, della giunzione muscolo-tendinea oppure
a livello di una zona muscolare resa maggiormente fragile da un deficit di vascolarizzazione.
I muscoli pluri-articolari sono quelli più esposti all’insulto traumatico, poiché devono controllare, attraverso la contrazione eccentrica,
il range articolare di due o più articolazioni. Il lavoro svolto è in prevalenza di tipo anaerobico, il che determina un aumento della temperatura locale e
dell’acidosi, oltre ad una marcata anossia cellulare. Questi eventi comportano un aumento della fragilità muscolare ed una possibile necrosi cellulare.
Le fibre a contrazione rapida sono, infatti, più esposte a danni strutturali rispetto a quelle a contrazione lenta, a causa di una
maggior produzione di forza e di velocità di contrazione.
Inoltre i muscoli che presentano un’alta percentuale di fibre a contrazione rapida sono più superficiali ed interessano due o più articolazioni; questi sono
fattori predisponenti al danno strutturale.
Ma anche il meccanismo dell’elongazione, che si può verificare sia in un muscolo attivo durante la fase di stiramento, sia in uno
passivo durante la fase di elongazione, gioca un ruolo importante nell’insorgenza dell’evento traumatico.
Più precisamente quest’ultimo dipende da molti fattori, come il livello di attivazione elettrica del muscolo sottoposto ad allungamento o la debolezza
strutturale di quest’ultimo inseguito a precedenti danni strutturali subiti. Infatti un muscolo attivo è in grado di assorbire molta più energia
rispetto ad uno passivo. Per cui il potenziale di assorbimento energetico di un muscolo è fortemente aumentato nel momento in cui quest’ultimo
si contrae attivamente.
Un altro fattore di rischio è rappresentato dall’eterogeneità della lunghezza sarcomerale; infatti i sarcomeri, di minor lunghezza,
costituiscono il punto debole della catena durante il fenomeno dell’ "overstretching eccentrico".
Le lesioni muscolari rappresentano gli infortuni più frequenti che possono colpire un calciatore.
Possono essere classificate in due categorie in funzione della natura diretta o indiretta del trauma stesso: si distinguono quelle da
trauma diretto, caratterizzate dall’azione diretta sul ventre muscolare di una valida forza esterna, e quelle da
trauma indiretto, invece, provocate da meccanismi più complessi che comportano l’esistenza di differenti forze lesive.
Le lesioni da trauma diretto possono essere classificate, in base alla loro gravità, in tre gradi:
Sono prodotte da un agente traumatico esterno, tipicamente il colpo diretto o un tackle da parte di un avversario; la conseguenza in genere è una contusione, senza lacerazione dei tessuti superficiali, ma in alcuni casi può interessare le fibre muscolari profonde, i vasi sanguigni e le strutture nervose (lacerazione). Nel calciatore il muscolo più interessato è il quadricipite femorale.
Per quanto riguarda, invece, quelle da trauma indiretto esistono varie classificazioni. La più comune si basa su criteri di ordine anamnestico, sintomatologico e anatomo-patologico e comprende:
Si manifesta con una sintomatologia dolorosa che insorge quasi sempre ad una certa distanza dell’attività sportiva. La latenza d’insorgenza del dolore è variabile: da qualche ora al giorno dopo. Il dolore è mal localizzato, sostanzialmente imputabile ad un’alterazione diffusa del tono muscolare. Quest’ultima è ritenuta una conseguenza ad uno stato di affaticamento generale del muscolo. Non presenta lesioni anatomiche.
Rappresenta la conseguenza di un episodio doloroso acuto. La sede del dolore è, nella maggior parte dei casi, ben localizzata. Il soggetto
deve interrompere l’attività sportiva anche se la sintomatologia lamentata non comporta necessariamente un’impotenza funzionale immediata. Inoltre egli
conserva un preciso ricordo anamnestico dell’episodio lesivo.
Non comporta lacerazioni macroscopiche delle fibre. Il disturbo funzionale e la conseguente sintomatologia possono essere attribuiti ad un’alterazione
funzionale delle miofibrille, ad una conduzione neuro-muscolare o a lesioni sub-microscopiche a livello sarcomerale.
La conseguenza sul piano clinico è rappresentata da un ipertono muscolare contestuale a sintomatologia algica.
Si manifesta con dolore acuto e violento durante l’attività attribuibile alla lacerazione di un numero variabile di fibre. Il soggetto
è costretto ad abbandonare l’attività.
Lo strappo è sempre accompagnato da stravaso ematico più o meno evidente che è in funzione dell’entità e della localizzazione anatomica della lesione,
nonché dell’integrità o meno delle fasce. La classificazione in gradi è riferita all’entità del tessuto muscolare lacerato. Infatti nello strappo
di I grado si verifica la lacerazione di poche miofibrille all’interno di un fascio muscolare, ma non la lacerazione dell’intero fascio.
Si manifesta con dolore acuto e violento durante l’attività attribuibile alla lacerazione di un numero variabile di fibre. Il soggetto è costretto ad abbandonare l’attività. Si verifica la lacerazione di uno o più fasci muscolari, che coinvolge meno dei ¾ della superficie di sezione anatomica del muscolo nell’area considerata. Il deficit funzionale è importante ma non assoluto.
Si manifesta con dolore acuto e violento durante l’attività attribuibile alla lacerazione di un numero variabile di fibre. Il soggetto
è costretto ad abbandonare l’attività.
Si verifica una perdita nella soluzione di continuità muscolare che coinvolge più dei ¾ della superficie di sezione anatomica del muscolo nell’area
considerata.
Il deficit funzionale è assoluto. Può essere, inoltre, distinta in parziale (nel caso in cui la lacerazione della sezione del muscolo
sia imponente ma comunque incompleta) e totale (nel caso in cui si verifica una lacerazione dell’intero ventre muscolare).
Un’altra classificazione è stata elaborata dalla “Società Italiana di muscoli, tendini e legamenti (ISMULT)” che distingue le lesioni non strutturali e strutturali.
Nelle prime, le fibre muscolari non presentano un’evidente lesione anatomica; sono le principali, infatti costituiscono il 70 % di tutti gli infortuni muscolari. Se vengono trascurate si possono trasformare in lesioni strutturali. Se ne distinguono di varie tipologie:
Invece le lesioni strutturali sono caratterizzate da una lesione anatomica e se ne individuano di tre tipi:
La comprensione di questi infortuni non è semplice perché spesso sono la conseguenza di un’interazione tra fattori meccanici e metabolici. Nella maggior parte dei casi sono dovuti ad una violenta contrazione che si sviluppa in un muscolo già allungato, oppure ad un allungamento violento in un muscolo in fase di contrazione in relazione ad un preciso gesto tecnico: cambio di direzione, tiro in corsa, intervento in acrobazia.