Il cognitivismo, noto anche come Human Information Processing (HIP), nasce in America negli anni cinquanta ma, a differenza di altri approcci, non troviamo personalità di spicco o caposcuola che lo rappresentino. Esso fonda la sua teoria su una metafora, forse un po' forte, ma certamente suggestiva: la metafora è quella del cervello visto come un computer e come commenta Ulric Neisser (1), in un breve schizzo della storia della psicologia cognitiva, "sebbene questa analogia sia inadeguata sotto molti punti di vista, per i nostri scopi va abbastanza bene. Il compito di uno psicologo che cerca di comprendere i processi cognitivi dell'uomo è analogo a quello di un tecnico che tenti di scoprire come è stato programmato un computer. Per scendere nei dettagli, qualora si tratti di un programma in grado di immagazzinare e reimpiegare l'informazione, il nostro tecnico cercherà di sapere per mezzo di quali „routines' o„procedure' viene raggiunto tale scopo (2).
Lo scienziato, giustificando la scelta di una tale analogia, afferma che le attività stesse del calcolatore sembravano in qualche maniera affini ai processi cognitivi. I calcolatori accettano informazioni, manipolano simboli, immagazzinano i dati nella memoria e li recuperano quando occorre, classificano gli input, riconoscono i pattern, e cosi via.
Non era tanto importante che facessero queste operazioni proprio come fanno gli uomini, ma era importante che lo facessero. L'avvento del calcolatore ha fornito la sicurezza, quanto mai necessaria, che i processi cognitivi fossero reali e che questi processi potessero essere studiati e forse compresi (3).
In contrapposizione all'impostazione di fondo espressa dalla scuola comportamentista, quindi, la psicologia cognitivista sposta il campo di indagine, e orienta il suo interesse scientifico sull'analisi dei processi mentali interiori che influenzano l'apprendimento, passando dallo studio del prodotto a quello del processo di apprendimento. Bisogna chiarire, però, che il cognitivismo non si affermò semplicemente in quanto rivoluzione contro il comportamentismo, ma anche come ricerca di un'alternativa teorica ed empirica. La rivoluzione cognitiva si proponeva infatti di mettere in evidenza proprio ciò che l'oggettivismo negava ed escludeva, concentrando l'attenzione sulla mente e considerando come oggetto della psicologia il significato, piuttosto che gli stimoli e le risposte, o il comportamento osservabile in quanto "i behaviorismi radicali sostengono che l'azione dell'uomo deve essere spiegata soltanto nei termini di variabili osservate, senza fare alcuna menzione di ciò che succede all'interno. Essi dicono che, nel migliore dei casi, il ricorso a meccanismi ipotetici è meramente speculativo, e che nel peggiore dei casi è completamente ingannevole. Essi ritengono che sia legittimo parlare di stimoli, risposte, rinforzi, ore di deprivazione, ecc., ma non di categorie, di immagini o di idee … si è visto poi che i teorici dello stimolo-risposta si danno vigorosamente ed entusiasticamente ad inventare ogni genere di ipotetici meccanismi, senza alcun rimorso di coscienza … la ragione fondamentale per la quale si studiano i processi cognitivi è … perché questi processi ci sono … la teoria degli eidola è falsa.
I processi cognitivi esistono per certo, e pertanto non può essere non scientifico occuparsi di essi (4). L'obiettivo originario fu però ben presto perduto. Infatti, l'attenzione dei ricercatori cognitivisti si è spostata, fin da subito, dal concetto di significato a quello di informazione e quindi dalla ricerca del significato all'elaborazione dell'informazione.
Un tale mutamento non può essere attribuito a un fattore singolo, ma è chiaro che l'avvento del computer aiutò a legittimare tali impostazioni. Gli psicologi non dovevano più limitarsi nelle loro spiegazioni a eventi che potevano essere imposti a un soggetto o osservati nel suo comportamento, ma essi erano pronti ad analizzare la rappresentazione e la elaborazione dell'informazione all'interno della mente in quanto "negli ultimissimi anni si è assistito a un notevole aumento dell'interesse per i processi cognitivi e della loro investigazione … esso è stato una conseguenza del riconoscimento dei processi complessi che intercorrono fra gli „stimoli' e le „risposte' dell'impostazione classica, stimoli e risposte sulla cui base le teorie behavioristiche dell'apprendimento speravano di creare una psicologia che aggirasse tutto ciò che aveva un sentore di „mentale'. Il carattere impeccabilmente periferico di tali teorie non poteva durare … può essere utile dare uno sguardo più preciso a queste „mappe cognitive (5). Secondo il modello dell'HIP, l'informazione in ingresso, l'input, viene trasformata, codificata e, come tale, paragonata con informazioni già esistenti nella memoria a lungo termine.
In seguito a questa operazione di confronto, l'informazione viene riconosciuta, dando luogo a una specifica risposta, l'output.
Le caratteristiche dei modelli dell'apprendimento cognitivista sono state specificate in teorie che si differenziano tra loro ma presentano caratteri comuni:
In merito alle implicazioni sui meccanismi di apprendimento i cognitivisti hanno introdotto una distinzione interessante tra diversi tipi di conoscenze: Dichiarative: che corrispondono al "sapere' del soggetto e Procedurali che corrispondono al "saper fare' del soggetto194.
Sulla base di questa distinzione i ricercatori hanno cominciato a elaborare modelli teorici dei processi cognitivi implicati nello svolgimento delle attività di apprendimento legate ai compiti specifici del contesto scolastico.
Molta attenzione è stata posta allo studio delle „differenze individuali' fondate sull'idea che ogni soggetto è caratterizzato da un proprio stile cognitivo, da "una tendenza a prediligere alcuni modi di elaborare le informazioni piuttosto che altri (7).
Questo sistema teorico impiega quindi il computer come metafora-analogia per spiegare il funzionamento della mente umana e da ciò possiamo comprendere come le varie teorie ad orientamento cognitivista considerino l'apprendimento non tanto come il risultato di un puro e semplice condizionamento esterno o di una somma di associazioni, ma lo studio dei meccanismi che regolano gli stili cognitivi individuali, dipendenti dalle diverse modalità di approccio utilizzate nella soluzione di problemi e nel processo di elaborazione delle informazioni.
Inoltre il cognitivismo ha maggiormente focalizzato la sua attenzione sulle prestazioni, cioè sulle abilità cognitive già acquisite e non tanto sulle modalità con cui queste abilità vengono acquisite.
Ciò, però, può rappresentare un limite, come lo stesso Bruner (8) ha evidenziato, dimostrando la parzialità di una tendenza insita nella teoria cognitivista che pretende di equiparare il pensiero ad un sistema computazionale, di fredda elaborazione dell'informazione, allontanandosi dal vero obiettivo della psicologia, che è lo studio del significato e della costruzione del significato, di come l'uomo interpreta il mondo, gli altri, se stesso (9).
Certamente non sono mancati tentativi di spostare l'attenzione verso campi d'indagine più direttamente attinenti il processo d'apprendimento, quali lo studio delle strategie cognitive e metacognitive utilizzate nella costruzione di schemi e nella soluzione di problemi e, in particolare, a partire dalla metà degli anni ottanta, una serie di studi ha evidenziato l'importanza degli aspetti affettivi e motivazionali nei processi della cognizione (10).
L'insegnamento in chiave cognitivista tiene conto della struttura della conoscenza e delle strategie per l'elaborazione dell'informazione, valorizza il contesto di apprendimento, riconosce l'esistenza di un'ampia gamma di differenze individuali nell'accesso alla conoscenza (stili cognitivi), propone di sviluppare nuovi metodi d'indagine nel campo dell'apprendimento, riconoscendo la difficoltà di analizzare i fenomeni cognitivi, non sempre direttamente osservabili.
È un insegnamento "organizzativo di strategie(11)che si propone di favorire da parte dell'alunno lo sviluppo di processi cognitivi adeguati e, nello specifico, l'acquisizione di strategie di problem solving efficaci per affrontare e rispondere in modo adeguato ai compiti motori.
Per riuscire in questo intento, la didattica del movimento di matrice cognitivista si avvale di istruzioni sequenziali che accompagnano gradualmente il soggetto nelle fasi di acquisizione cognitiva, permettendogli di elaborare informazioni e azioni senso-motorie via via sempre più complesse; l'azione formativa è orientata a compattare le conoscenze in unità "significative" e per questo facilmente memorizzabili, in virtù di un'elaborazione e di un'attribuzione di significato (reale e fenomenologico) (12) che si accompagna ad esercizi di ripetizione. La pratica ripetitiva nello specifico risulta un elemento strutturale delle attività motorie e sportive per gli effetti che produce sia sul piano fisiologico che psicologico; essa infatti consente di perfezionare la tecnica del gesto e di ottimizzare i movimenti dei gruppi muscolari coinvolti, riducendo così lo stress cui è sottoposto l'organismo durante le attività di movimento; inoltre la ripetizione può contribuire allo sviluppo delle abilità perché è funzionale al continuo richiamo delle esperienze pregresse e alla loro revisione, il che conferisce una maggiore sicurezza nell'esecuzione, consolidando a livello cognitivo i gesti e i movimenti di base per un efficace svolgimento delle attività.
Il cognitivismo, privilegiando la sfera soggettiva ed i meccanismi individuali che regolano i processi apprenditivi, è orientato a costruire una didattica del movimento che costituisca una offerta formativa che tenda ad essere differenziata, gradualizzata e adeguata alla maturazione psico-fisica del soggetto, alle sue caratteristiche ed alla sua personale motivazione: "quando si annoiano i bambini diventano aggressivi e fanno capricci, mentre quando sono sopraffatti da un compito diventano ansiosi sul proprio rendimento scolastico. Ma quando c'è qualcosa che ci interessa veramente e riusciamo a trarre piacere dall'impegno che essa ci richiede allora impariamo al meglio (13).
La didattica delle attività motorie di matrice cognitivista può favorire, partendo dalla soggettività e dallo studio delle caratteristiche individuali della persona, processi alternativi o complementari di memorizzazione di informazioni. Nelle diverse fasi della didattica questo approccio consente di controllare le informazioni e gli schemi di azione precedentemente acquisiti, verificare il loro livello di stabilizzazione e rintracciare apprendimenti motori pregressi da riutilizzare nelle situazioni problematiche. Questa impostazione didattica costruisce significati motori su esperienze e schemi già strutturati, consentendo all'allievo di apprendere da ciò che già esiste (14). In questa prospettiva, metodologie didattiche come il laboratorio motorio a carattere ludico-sportivo sembrano rispondere all'esigenza della soggettività ed alla diversità degli stili cognitivi, valorizzando il significato del contesto di apprendimento, inteso come "alternativa alla staticità e settorialità del recinto disciplinare, che consente di trattare i contenuti in un ambiente dinamico e creativo capace di costruire un vero ingrediente emozionale che trascina i saperi … Il laboratorio motorio–sportivo "riscalda" la prassi didattica, costruisce il colore del sapere, trascina la persona nelle trame della emozionalità che l'attività di gruppo sollecita in maniera naturale ed originale. È un vero incubatore dei saperi, una culla che prepara e accompagna alla conoscenza complessa del mondo, rinunciando alla tentazione di emarginare la fisicità dalla straordinaria esperienza umana del conoscere. Il laboratorio motorio, complementariamente ad altre forme didattiche, mantiene vivo il piacere della scoperta, alimentando l'ipotesi che essa non si replica meccanicamente ma si fonda su strade sempre diverse e stimolanti che considerano la persona come espressione somatocognitiva (15)