Fino a pochi anni fa la maggior parte delle persone si riferiva alle persone con sindrome di Down chiamandole mongoloidi e l'idea più diffusa era quella di persone ritardate mentalmente, che sarebbero state per sempre dipendenti dai loro genitori.
Oggi è possibile incontrare ragazzi con sindrome di Down nelle scuole e nei parchi; ragazzi con sindrome di Down che si muovono da soli fuori casa per incontrare i loro amici e perfino qualche adulto sul posto di lavoro.
Attualmente in Italia 1 bambino su 1200 nasce con questa condizione. Grazie allo sviluppo della medicina e alle maggiori cure dedicate a queste persone la durata della loro vita si è molto allungata così che si può ora parlare di un'aspettativa di vita di 62 anni, destinata ulteriormente a crescere in futuro.
Si stima che oggi vivano in Italia circa 38.000 persone con sindrome di Down di cui il 61% ha più di 25 anni.
La caratteristica della sindrome di Down si identifica, oltre che per gli aspetti cromosomici, fondamentalmente per un ritardo presente nelle principali funzioni, sia nella fase di sviluppo del bambino, che nell'età adulta. Questo ritardo è in parte recuperabile, con un intervento riabilitativo precoce, sistematico con particolare riferimento alle aree linguistiche, motorie e neuropsicologiche.
In particolare bisogna lavorare nel recuperare competenze ed abilità che possono compensare in buona parte la presenza di un ritardo mentale, portando la persona a raggiungere competenze operative anche di notevole complessità.
Non è sufficiente, anche se è indispensabile, un'azione di socializzazione, in quanto a quest'ultima debbono essere aggiunte abilità e strumentalità tali da poter gestire una vita sodale significativa. È utile pertanto poter fornire a questi bambini prima ed alle persone giovane ed adulte dopo, tutta una serie di servizi che permettano loro prima di acquisire e dopo di mantenere le competenze che gli aiutano ad integrarsi in modo completo nel miglior modo possibile. Possono essere correlate alla sindrome di Down anche specifiche problematiche di ordine clinico, malformativo o disfunzioni (cardiopatie, problemi tiroidei, ecc.) nei confronti dei quali è utile intervenire preventivamente e con la stessa solerzia con cui si interviene per tulle le altre persone, seguendo protocolli di controllo standardizzati.
La maggior parte delle persone con sindrome di Down può raggiungere un buon livello di autonomia personale, sociale e relazionale, imparando ad esempio l'utilizzo del mezzo pubblico, l'utilizzo del denaro, o di tutto quelle strumentalità che la vita oggi richiede.
Possono fare sport e frequentare gli amici, andare a scuola con tutti gli altri coetanei e possono imparare molto anche nel campo didattico. I giovani e gli adulti con sindrome di Down possono apprendere un mestiere e impegnarsi in un lavoro svolgendolo in modo competente e produttivo. È impossibile avere oggi dei dati statistici sul numero delle persone con sindrome di Down che lavorano, ma grazie all'impegno degli operatori e delle famiglie ci sono già molte esperienze positive.
Ci sono lavoratori con sindrome di Down in molte professioni semplici ed anche di una certa complessità.
Le persone con sindrome di Down sanno fare molte cose e ne possono imparare molte altre. Perché queste possibilità diventino realtà occorre che tutti imparino a conoscerli e ad avere fiducia nelle loro capacità.
Tra le pratiche riabilitative, molto utile può essere la psicomotricità. I bambini, come gli esseri umani adulti, hanno un bisogno innato di stabilire le relazioni sociali con gli altri esseri umani. Ecco perché già dai primi anni di vita il bambino ha questo istinto innato alla socializzazione che lo porta a compiere l'ingresso nel grande mondo del "sociale".
La psicomotricità rappresenta un momento di questo grande processo di socializzazione, un momento che favorisce lo sviluppo delle capacità di controllo e autocontrollo del proprio corpo, di incontro tra le istituzioni educative (rispetto delle regole), le competenze, i linguaggi dell'adulto, i desideri di espressione, l'interscambio delle esperienze proprie con quelle di altri bambini.
Il mio lavoro si basa proprio su questo, ovvero, dopo un excursus sul concetto di psicomotricità, anche nelle varie fasi dello sviluppo del bambino, identificare l'utilità della suddetta pratica presentando un caso particolare e commentando i risultati riscontrati.
La psicomotricità è una disciplina che ha avuto origine in Francia e si è sviluppata in Italia alla fine degli anni '60 trovando i suoi ambiti di intervento nella prevenzione, nell'educazione, nella terapia e nella formazione.
Il termine, etimologicamente, è un binomio che indica il legame tra psiche e motricità, tra anima e corpo. A prima vista, se da una parte il termine sembra essere esaustivo e maggiormente indicativo rispetto ai due termini considerati separatamente, dall'altra parte tende a vedere due modi distinti di agire in un individuo:
In realtà, il termine non indica solo l'unione e la giusta opposizione dei due aspetti o la prevalenza di uno sull'altro, ma un'integrazione, necessaria e profonda, da non poter pensare e vedere l'uno senza l'altro (1).
In generale, la psicomotricità nasce dall'interazione fra Medicina e Fenomenologia. Il suo campo d'applicazione è prevalentemente rappresentato dall'età evolutiva, anche se recentemente si registrano numerose esperienze psicomotorie in campo psichiatrico e geriatrico.
Ispira molte delle attività offerte sia nelle strutture sanitarie che in quelle educativo-preventive. La psicomotricità, difatti, si indirizza ai bambini con disturbi dello schema corporeo; dell'organizzazione spazio-temporale; disturbi specifici dell'apprendimento o secondari ad alterazioni neurologiche; in ogni caso, a tutte quelle situazioni di disabilità dove un intervento psicomotorio può fornire nel bambino un migliore adattamento psichico (2).
Tuttavia, è una "pratica" educativa e di aiuto attraverso la relazione; un'attività concreta e motoria, che si modella sul gioco spontaneo e sull'espressività dei bambini che vivono e sperimentano in prima persona azioni e relazioni.
Infatti, la psicomotricità si riconosce in una visione globale del bambino: studia la complessità dello sviluppo, le relazioni del corpo con il mondo nelle sue componenti emotive, affettive e cognitive tra loro profondamente interagenti. Non considera il disturbo motorio in sé, ma il significato che quest'ultimo assume per la persona e come il sintomo si plasma nella storia personale dell'individuo.
Di conseguenza, le nozioni principali di questa pratica diventano:
al fine di trasformare il movimento in fatto psichico.
Nella prima infanzia, il corpo è un elemento di primaria importanza: è un corpo che sente, conosce, relaziona, sperimentando il mondo.
L'esperienza di gioco corporeo costituisce una risorsa privilegiata di relazione e di apprendimento, favorendo un intreccio positivo di funzioni cognitive, motorie, sociali e creative, per consentire al bambino di trasformare la realtà, scoprire le proprie potenzialità e realizzare i desideri.
Per quanto riguarda l'azione, il bambino attraverso il gioco crea un territorio franco, all'interno del quale le azioni hanno un valore diverso rispetto al valore che avrebbero se fossero compiute nella vita quotidiana. Vale a dire, che il bambino, giocando una simulazione, sa che i suoi comportamenti hanno valore esclusivamente all'interno della simulazione, senza invadere la vita reale. In questo modo, il gioco mette a disposizione uno spazio protetto, un luogo per fare tutto senza alcun rischio e permette al bambino di riflettere sugli avvenimenti che gli è capitato di osservare o subire.
La psicomotricità considera il movimento come un mezzo per armonizzare lo sviluppo della persona, e non un fine.
I movimenti del corpo raccontano molto della persona, in un'ottica di comunicazione non verbale, e le rigidità muscolari, le contratture, la tonicità sono elementi che lo psicomotricista considera con attenzione nelle proposte di attività di gruppo e individuali.
Nella pratica psicomotoria le proposte relative al movimento implicano il corpo in:
Pertanto, vengono incoraggiate le abilità espressive di ciascuno e prese in considerazione le sue peculiari caratteristiche, a seconda della personalità, della tappa evolutiva che sta attraversando e considerando i limiti dovuti ad una eventuale patologia.
Infine, il controllo motorio è la capacità del sistema nervoso di regolare o dirigere il movimento. Quando si studia il controllo motorio, lo si fa in relazione ad azioni specifiche: cammino, corsa, raggiungimento (reaching), fonazione, controllo della stazione eretta; e tenendo in considerazione anche la percezione: l'integrazione dei dati grezzi sensoriali in informazioni fruibili cognitivamente. La percezione non è un meccanismo passivo, ma attivo, che mira ad anticipare le conseguenze sensoriali di un'azione, legando quindi le informazioni sensoriali e i comandi motori in un tessuto computazionale coerente (3).
La metodologia psicomotoria facilita l'integrazione dei dati dell'esperienza, favorendo nel bambino il processo di costruzione della propria autonomia e identità. L'approccio proposto può essere inteso sia come forma di prevenzione del disagio infantile sia come risorsa nel processo di crescita del bambino.
Tuttavia, il bambino non gioca per imparare ma impara perché gioca e questo avviene in un luogo preciso: la sala di psicomotricità, un ambiente caldo, piacevole, accogliente; uno spazio ricco, vario, colorato, che prevede la presenza attenta di un adulto che accoglie le produzioni dei bambini, condivide le loro emozioni e il loro piacere e li accompagna nel percorso di crescita. Un adulto, inoltre, con il compito di rassicurare e aiutare i bambini a prendere fiducia nelle loro personali capacità di azione ed affermazione; accompagnarli nel trovare o ritrovare le esperienze piacevoli proprie del movimento e condividerle con gli altri; un adulto che accoglie e contiene le difficoltà, le paure, le scoperte, i desideri, favorendone l'espressione e la comunicazione, disponibile all'ascolto e allo stesso tempo garante della sicurezza.
Attraverso il movimento, l'azione, il gioco spontaneo e la sensomotricità, il bambino esprime le sue emozioni, la sua vita affettiva profonda e il suo mondo fantasmatico.
Osservando un bambino fin dai primi tempi della sua vita, ci si accorge che ha un modo tutto suo di muoversi, di spostarsi, di agire. I suoi gesti, la sua mimica, le intonazioni della sua voce, le sue espressioni, poi le sue parole, sono del tutto personali (4).