Nell'arco della vita e con l'avanzare dell'età assistiamo ad un'involuzione delle capacità motorie, che conducono inevitabilmente a un peggioramento della qualità della vita stessa. Oggi è possibile contrastare questa tendenza servendosi dell'attività fisica come chiave per migliorare la sicurezza dei movimenti della vita quotidiana. Recenti studi hanno infatti dimostrato come l'uomo mantenga a tutte le età un formidabile potenziale motorio che necessita solo di essere risvegliato dal suo "letargo".
Dopo i 30 anni d'età, nell'uomo avviene un declino strettamente dipendente abitudini di vita. In ambito motorio, soprattutto dopo i 60 anni, si assiste al fenomeno della sarcopenia, debolezza muscolare e difficoltà a compiere azioni specifiche. Allenare il sistema di controllo del movimento diventa quindi un'esigenza prioritaria se si vuole garantire la qualità della vita. Le articolazioni, ricoprendo il ruolo di veri ammortizzatori, sono sottoposti ad usura per cui il passare degli anni le sottopone ad un continuo processo degenerativo, compromettendo la funzionalità e l'anatomia del soggetto stesso. Questo avvenimento può portare alla conseguente riduzione della mobilità articolare e del controllo posturale. Gli esercizi di gestione dell'instabilità mirano a migliorare lo sviluppo di meccanismi riflessi che consentono al soggetto di riappropriarsi dellasicurezza e fluidità dei movimenti. In presenza di processi degenerativi articolari le possibilità di recupero funzionale anche in tempi brevi sono sorprendenti. E' ormai noto come il miglioramento in tale contesto venga agevolato sia da modificazioni organiche relative al programma di rieducazione motoria , sia dall'evolversi dello stato di tensione abituale della persona anziana e dalla diminuzione degli stress psico-fisici che si riflettevano sulla postura del corpo provocando atteggiamenti rigidi, innaturali e a volte dolorosi.
Praticare attività fisica è la soluzione ideale per evitare l'isolamento delle persone, permettere loro di conservare una buona forma fisica ed autonomia, ma in primis, è fondamentale per avvicinarsi e raggiungere un miglioramento dell'efficienza cardiocircolatoria, della mobilità articolare, della funzionalità muscolare e quindi della sicurezza dei movimenti caratterizzanti la vita quotidiana. Il programma di esercizi infatti comprende movimenti di mobilizzazione lenta associata a stretching statico ed esercitazioni di riattivazione propriocettiva regolarmente ripetuti almeno due volte alla settimana. Tutto ciò per evitare che il soggetto anziano si avvicini ad uno stato di impoverimento delle esperienze motorie con conseguenze dirette come il progressivo aumento dell'insicurezza di movimento e del rischio di caduta, riduzione della propria autonomia nella deambulazione e nella normale vita di relazione. Il soggetto anziano tende nel corso degli anni a dimenticare come si "muoveva" in gioventù, perdendo anche la voglia di muoversi e di ascoltare il proprio corpo; così agendo, anche l'apparato muscolo-scheletrico inizierà a scordarsi delle proprie capacità, venendo meno alle funzioni che contrariamente dovrebbe svolgere. Di conseguenza i centri motori superiori deputati al mantenimento della postura invieranno uno schema motorio e posturale viziato, o meglio falsato, dovuto dall'aggiustamento corporeo che la persona tende a compiere. E' a tale evento che la rieducazione motoria deve far fronte, motivando l'anziano alla voglia di fare, di muoversi, di risvegliare ciò che il tempo tende a far dimenticare.Ri-sperimentare ciò che non si era più in grado di fare, o solo ciò che si era intimoriti a compiere, diventerà un'esperienza che farà riaffiorare sensazioni positive. Inoltre durante gli incontri è un valido ausilio l'ascolto della musica, utile per coinvolgere nell'attività motoria, tramite un'accurata selezione del "carattere" dei brani.
Statisticamente appare chiaro come la maggior parte dei traumi nella terza etàsiano dovuti alla mancanza di reattività nel recupero dell'equilibrio e nell'efficienza coordinativa. I traumi accidentali spesso hanno un esito nefasto o risoluzione incompleta e sono in questi casi causa di depressione e senso di inadeguatezza. Ciò comporta una diminuzione dell'interesse nei confronti della propria esistenza e talvolta perfino la morte. La prevenzione si attua attraverso il progressivo miglioramento delle capacita coordinative, dell'equilibrio statico e dinamico. Per l'equilibrio statico sono particolarmente indicate le attività che giocano su spostamenti lenti del baricentro in posizioni diverse da quelle usuali, che fissano l'atteggiamento corporeo in posizioni in cui il difficile mantenimento dell'equilibrio comporta contrazioni isometriche e la ricerca di maggiore estensibilità muscolare. Queste esercitazioni, accompagnate da movimenti ampi e armoniosi degli arti e dal controllo della respirazione, trovano la loromigliore applicazione in discipline come il Tai Chi Chuan e la ginnastica con elementi di tecniche posturali e respiratorie. Il punto di partenza individuale, vale a dire le capacità motorie soggettive, èveramente diverso e dipende dal bagaglio motorio che ha sviluppato il partecipante durante tutta la sua vita.
Nella rieducazione neurologica è importante, oltre al raggiungimento del maggior benessere fisico possibile, anche il ripristino del benessere psicologico, emozionale e sociale.Gli obiettivi da perseguire sono essenzialmente tre: raggiungere il livello più elevato livello di autonomia del paziente nelle fasi acute e sub-acute, reinserire la personanella vita sociale, proseguire e consolidare i risultati raggiunti. In questo percorso la cosa più importante è partire con la costruzione di un progetto a lungo termine e di un programma giornaliero. In seguito ad un danno del sistema nervoso centrale (come un ictus o una rottura di un aneurisma cerebrale) si viene a perdere parte dell'autonomia e della capacità di svolgere in maniera indipendente le attività della vita quotidiana come camminare, correre, lavarsi o vestirsi. Il danno neurologico, di solito conseguente ad eventi ischemici o emorragici, determina una necrosi cellulare (morte delle cellule nervose) che è la causa del deficit neuro-motorio. Nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi all'evento acuto le porzioni di sostanza grigia (sistema nervoso centrale) intorno all'area cerebrale danneggiata si organizzano al fine di compensare le funzioni perdute. Questo comportamento, che tecnicamente si chiama neuroplasticità, può essere stimolato, potenziato e guidato tramite un percorso di riabilitazione, con l'obiettivo di diminuire gli effetti della lesione cerebrale, quindi il grado di disabilità, e rafforzare al meglio le funzioni residue.
L'obiettivo è di ottenere un miglioramento della qualità della vita dei pazienti colpiti da lesioni o malattie del sistema nervoso mediante metodi nuovi, multifattoriali e intensivi che stimolano la neuro-plasticità.Il paziente, attraverso un percorso di cui egli stesso è protagonista, viene condotto verso il progressivo recupero di vita autonoma,alla valorizzazione delle abilità residue e laddove possibile, al recupero delle capacità professionali. Il programma di riabilitazione neurologica inizia con la definizione di una diagnosi precisa per cui si realizza una completa valutazione neurologica e clinica, si stabilisce con certezza il grado e il tipo di danno per pianificarne le possibilità terapeutiche e per determinare le potenzialità di recupero al fine di elaborare una terapia personalizzata.
Il percorso riabilitativo comprende mobilizzazioni articolari, tecniche di riabilitazione neuromotoria, trattamento della spasticità (sintomo molto frequente soprattutto a seguito di un ictus), trattamento del dolore. Il trattamento mira al recupero delle funzioni motorie e dei passaggi posturali a seconda della gravità del paziente. Come in casi di ictus, il soggetto può andare incontro ad una progressiva perdita di autonomie che se non adeguatamente prevenute possono portare ad una importante perdita di autosufficienza. L'approccio riabilitativo al paziente cerebroleso non sempre è stato supportato da un chiaro modello teorico di recupero. Per ovviare a tale inconveniente è necessario sottoporre le conoscenze della scienza di base ad un'elaborazione che permetta il trasferimento del dato neuroscientifico in ambito riabilitativo.
Spesso la descrizione dei segni dell'ictus include la localizzazione: encefalo (emisfero destro o sinistro), tronco encefalico o cervelletto. Sebbene tutte queste ed altre parti del cervello agiscano in simbiosi e in alcune condizioni condividono le funzioni, ci sono solitamente dei problemi distinti associati con il danno di una determinata zona del cervello. Una lesione nell'emisfero destro colpirà la parte sinistra del corpo, spesso causando una paralisi totale (emiplegia della parte destra) o paralisi parziale (emiparesi dalla parte destra), o viceversa per l'emisfero sinistro. Poiché spesso quest'ultimo manovra le capacità linguistiche, frequentemente le persone colpite in questo emisfero hanno problemi nel parlare o nel comprendere. Il tronco encefalico invece controlla le funzioni vitali autonomi dell'individuo, quindi in caso di un danneggiamento di questa parte del cervello possono esserci deficit di forza in entrambi i lati del corpo, coma, bassi livelli di coscienza con respirazione indebolita. Il cervelletto invece sovrintende alle funzioni di mantenimento dell'equilibrio e della coordinazione e quindi un suo danneggiamento determinerà problematiche a questo livello. Le persone con ictus possono avere grosse difficoltà comunicative e di comprensione oltre che di mobilità e quindi hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a compiere il percorso nei vari contesti.
L'afasia è il termine medico usato per indicare un danno comunicativo che consiste nell'incapacità di esprimersi con la parola, di scrivere di gesticolare (afasia espressiva) e/o nell'incapacità di capire il linguaggio scritto o parlato (afasia ricettiva). Questo solitamente avviene proprio a coloro che hanno avuto un ictus, ilquale ha colpito la parte sinistra del cervello e quindi la parte destra del corpo. Il livello di gravità varia da paziente a paziente; si può andare da una perdita completa della parola (afasia grave) alla difficoltà occasionale nel trovare la parola giusta o nell'usare le parole correttamente (afasia espressiva leggera). I problemi di afasia ricettiva possono variare da un occasionale malinteso nell'ambito della parola a una completa incapacità a capire la totalità le parole dette dagli altri.
Come tutte le riabilitazioni, anche la rieducazione motoria cognitiva offre una serie di interventi articolati in modo diversi rivolti a migliorare la vita dell'individuo, utilizzando la "parte sana". Tutto ciò per fornire la possibilità di recuperare le funzioni potenziali dell'individuo, racchiudendo le sfere che lo riguardano: motoria, sensoriale e psicomotoria.
Nell'ambito del recupero a livello cognitivo, sono varie le strategie terapeutiche da impiegare affinchè lo stato mentale del soggetto non peggiori: una prima possibilità di approccio è impegnare la persona in un compito gradevole. Molti studi hanno dimostrato che le persone con un livello educativo maggiore sono soggette, in seguito a lesione cerebrale, a minor rischio di peggioramento, se adeguatamente assistiti. Non è ancora chiara la ragione per cui queste persone siano protette, e l'insieme di questi dati è attualmente spiegato con l' "ipotesi della riserva cerebrale".
Normalmente il cervello nonè utilizzato al 100%; alcuni neuroni sono poco attivi e altri praticamente inutilizzati. Quando si verifica una lesione cerebrale localizzata, nel giro di poco tempo questi neuroni cominciano a svolgere le funzioni precedentemente svolte dai neuroni danneggiati. Il ecupero funzionale che ne consegue è in questo caso permesso da una sorta di riserva naturale del cervello. Se una persona impara ad utilizzare diverse strategie per svolgere un compito, qualora ne perdessa una, può ancora utilizzare l'altra. Le complesse funzioni che il cervello svolge non sono date tanto dal numero di neuroni, quando dal numero delle connessioni. Quando una persona si è mantenuta molto attiva dal punto di vista cognitivo, ha creato molte connessioni fra i suoi neuroni. Questi sono potenziali percorsi alternativi per l'elaborazione delle informazioni, nel momento in cui vi fosse qualche problema nel percorso utilizzato prima. Anche in questo caso, l'informazione sarà elaborata in modo meno efficiente, e probabilmente il risultato non sarà ugualmente buono, ma sarà comunque meglio di niente.
La riserva funzionale è anche garantita non solo dal numero delle connessioni ma anche dalla loro forza e dalla funziona trofica dei neuroni. Quando un neurone è circondato da neuroni lesi, non riceve più segnali e anche quello muore. Se il neurone ha connessioni anche con altri neuroni vivi, ma questi sono poco attivi, sarà probabile che muoia. Se invece le poche connessioni rimaste sono con neuroni altamente funzionanti, questi svolgeranno una funzione trofica ed ilneurone continuerà a vivere e funzionare anche se alcune delle sue connessioni non sono più utilizzabili. Nel primo caso si avrà una degenerazione progressivamente più grave, nel secondo la degenerazione sarà molto rallentata, anche se è in corso una vera e prorpia malattia degenerativa. Naturalmente quello della riserva cerebrale è uno dei principali e più elementari principi riabilitativi. L'intervento personalizzato e mirato per i singoli pazienti e per i singoli disturbi è l'obiettivo dei veri e propri interventi riabilitativi, tuttavia mantenere i pazienti occupati in attività che loro gradiscono è terapeutico di per sè grazie a queste caratteristiche di base del funzionamento cerebrale. Mantenere impegnati i pazienti affetti da demenza consente ai neuroni ancora vivi di continuare a vivere grazie alla stimolazione, e facilita la formazione di una piccola riserva cerebrale. Ovviamente questo processo non è in grado di compensare interamente la degenrazione data dalla malattia, ma la contrsta consentendo una serie di benefici. Il principio della riserva cerebrale è tanto generale quanto importante nella riabilitazione, e spiega come mai spesso interventi molto generici sembrano sortire risultati positivi sulle condizioni dei pazienti, anche in assenza di una rigorosa base teorica.
Le funzioni cognitive sono quelle che permettoni di percepire gli stimoli dell'ambiente, di rappresentarli in modo astratto, di riconoscerli e comprenderli, di decidere, in base a queste rappresentazioni, quale comportamento sia meglio mettere in atto, e di agire in modo appropriato. Il funzionamento cognitivo sembra in genere un tutto unico, proprio perchè le diverse funzioni si intrecciano in modo molto complesso a formare un comportamento unitario. E' solo quando emergono dei deficit che si nota laseparazione di queste funzioni, per esempio, alla conseguenza di un ictus. Se viene colpita l'area del linguaggio, una persona non sarà più in grado di parlare bene, ma continuerà a percepire correttamente gli stimoli che la circondano, a rappresentarli mentalmente, a prendere decisisoni appropriate. Le diverse funzioni cognitive possono essere compromesse separatamente perchè vengono svolte da aree separate del cervello: in particolare.
Anche la realizzazione del movimento si divide in livelli di elaborazione primaria e secondaria. L'elaborazione primaria, che avviene nella corteccia motoria primaria, p costituita dalla stimolazione diretta dei muscoli ad opera dei neuroni che rappresentano topograficamente le varie parti del corpo. L'elaborazione secondaria è sovraordinata ed include l'idea della sequenza di movimenti che vogliamo compiere.
La prassia è la realizzazione di una sequenza di movimenti più o meno complessa. Si ha un'aprassia quando il paziente non ha nessun deficit nelle aree motorie primarie, cioè dovrebbe essere in grado di compiere fisicamente ogni movimento della sequenza, tuttavia non riesce a compiere in modo corretto e ordinato tutta la sequenza, perchè l'elaborazione secondaria è compromessa. Le aprassie possono essere ideomotorie (singoli gesti) o ideatorie (sequenze più complesse). Nell'aprassia si nota una dissociazione fra esecuzione esplicita ed implicita. Per esempio, un paziente può non essere in grado di compiere un gesto su richiesta verbale esplicita, eppure compierlo correttamente in modo automatico se posto nella situazione in cui si ha l'abitudine di compiere tale gesto (saluto,segno della croce,…). in rapporto con tali pazienti, è necessario semplificare l'ambiente cognitivo, aiutarli a ridirigere l'attenzione agli stimoli rilevanti e abituarli a svolgere determinate attività aiutandoli a prestare attenzione con meno fatica. Le attività permettono il recupero di prassie ideatorie e memorie procedurali agendo su un'ampia gamma di funzioni cognitive collegate al movimento.interventi motori più finalizzati almovimento in sè, come la ginnastica, sono spesso accolti a fatica dai pazienti post ictus. La maggior parte di queste persone non ha svolto attività fisiche e sportive in passato, e nonc apisce chiaramente la ragione di dover fare movimenti strani che non servono a niente, mentre tali ragioni possono essere capite ed accettate più facilmente da anziani non affetti da tale patologia. Volendo attuare interventi motori con questi pazienti è necessario quindi intervenire abilmente, facendo leva sul carattere evocativo di certi movimenti, sottolineandone il loro effetto benefico di volta in volta, comunicando continuamente ilc arattere giocoso di ciò che si sta facendo. Bisogna, cioè, fornire continuamente una motivazione che renda accettabile questo compito e questo setting al paziente. Naturalemte anche una simile attività può diventare abitudinaria, ed essere quindi successivamente svolta conr egolarità e senza resistenze. Quanto alle modalità con cui intervenire sull'esecuzione delle prassie, si ricordi che le condizionic he permettono la rievocazione implicita, agevolano lo svolgimento delle prassie, in particolare quelle ideomotorie, anche in pazienti che sembrano aver perso questa funzione alla richiesta esplicta. I pazienti possonoe ssere posti in queste condizioni, ed essere invitati ad osservare la loro stessa prassia in modo da averne una consapevolezza esplicita. Una richiesta esplicita posta immediatamente in questo contesto potrebbe avere maggior risposta. Tuttavia se il paziente è molto deteriorato cognitivamente questo passo è già troppo complesso, e ci si accontenterà della sua prassia nella sola modalità implicita.
Nella realtà attuale, esperienze del genere si sono verificate tramite un progetto di una giovane neuropsicologa, in provincia di Mantova, la quale è l'ideatrice della "stanza delle coccole", creata essenzialmente per contrastare gli effetti della demenza. L'originale terapia si svolge in camere che vedono ricostruita un'atmosfera di calore familiare simile alle case dove vivevano gli anziani malati tanti anni prima: mobili di legno, le foto appese ai muri, qualche vecchia bambola e via dicendo. L'arredamento retrò aiuterebbe infatti a far riaffiorare i ricordi, risvegliando le sensazioni sopite. Di grande importanza i gesti più semplici come riempire una vecchia caffettiera o sistemarsi i capelli con un pettine antico. L'esperimento è usato per i casi più gravi di demenza e anche per i pazienti affetti da patologie che hanno compromesso la cognitività del soggetto.
L'homunculus sensitivo o somestetico o somatosensoriale rappresenta l'organizzazione somatotopica delle afferenze somatosensitive (cutanee) di tutti i distretti del corpo alla circumvoluzione postcentrale (o postrolandica), subito dietro la scissura di Rolando, nell'area S-I del lobo parietale. Il termine homunculus è dovuto al fatto che la rappresentazione del corpo umano appare grottesca e sproporzionata: infatti alcune regioni, soprattutto la mano, il piede e la bocca, sono ingrandite: ciò perché la grandezza di una regione è proporzionale al numero di recettori cutanei in essa presenti.
Questi tre elementi formano una Gestalt in senso stretto, cioè un "insieme organizzato" le cui componenti sono inseparabili, poiché la funzionalità dell'insieme richiede la partecipazione simultanea di ciascuna di esse. La coerenza delle relazioni tra musica, movimento ed esperienza-vivencia assicura l'efficacia del metodo. La musica è un linguaggio universale e in Biodanza® ha la funzione essenziale di evocare "vivencia". Le musiche utilizzate passano attraverso uno studio dei loro contenuti emozionali, prima di essere incorporate al Sistema Biodanza®, finalizzato alla valutazione degli effetti organici che promuovono e del tipo di vivencia che evocano. I movimenti naturali dell'essere umano (camminare, saltare, stiracchiarsi…), i gesti connessi ai cosiddetti 'riti sociativi' (dare la mano, abbracciare, cullare, accarezzare…) e i gesti archetipici costituiscono i modelli naturali su cui vengono impostati gli esercizi di Biodanza®. Tali gesti e movimenti, se realizzati con una musica che intensifichi la cenestesia stimolata dalle categorie motorie in atto, divengono danze all'interno della concezione originaria della danza come movimento di vita.