L’invecchiamento è una fase regressiva determinata da importanti modifiche degli apparati del nostro corpo umano. Per ciascun individuo la vecchiaia ha inizio quando non si è più in grado di mantenere le caratteristiche fisiche, mentali, emozionali e sociali proprie della media degli adulti della stessa cultura. A partire dagli anni cinquanta in tutto il mondo si è registrato un incremento della longevità che ha comportato un aumento delle probabilità di prolungare la vita oltre i sessanta-settanta anni. Se osserviamo, in particolar modo, i dati statistici del nostro paese, notiamo che negli ultimi 25 anni il quadro demografico ed epidemiologico è cambiato, infatti, la speranza di vita alla nascita è ormai vicina agli 80 anni per gli uomini e 85 per le donne.
Per fortuna, oggi la mortalità per malattie infettive si è fortemente ridotta, grazie agli efficaci interventi di prevenzione; di contro, il prolungamento della durata della vita, ha determinato la costante crescita di soggetti con fattori di rischio tipici delle malattie cronico-degenerative, e cioè: le affezioni cardio circolatorie, il cancro e l’ictus. Nel mondo occidentale, sono queste le cause principali che determinano la morte e che, quindi, necessitano di essere combattute con la prevenzione, ossia con comportamenti di vita più sani e con migliori interventi terapeutici per permettere, a chi viene colpito da queste malattie, di vivere più a lungo.
L’attività fisica, è considerata fondamentale per poter rallentare il processo di invecchiamento. Esaminando la storia dell’uomo, si può constatare che l’attività fisica e sportiva hanno avuto sempre grande considerazione. Uomini che corrono e cacciano sono continuamente rappresentati sia nelle pitture e nelle incisioni rupestri risalenti al 7000-6000 a.C. sia nei bassorilievi dell’Antico Egitto. Anche Galeno (II secolo d.C.) nel suo trattato “De sanitate tuenda”, affrontando in modo approssimativo gli stretti rapporti esistenti tra attività fisica e salute, ha evidenziato che “Dall’attività fisica sufficientemente vigorosa derivano benefici specifici: dall’irrobustimento degli organi deriva la resistenza allo sforzo ed alla fatica, dal calore endogeno un metabolismo più vivace, una migliore nutrizione e diffusione di sostanze nel corpo”.
Sono trascorsi molti secoli, da quando gli Antichi Autori hanno studiato il nesso tra esercizio e stato di benessere, fino al momento in cui questo legame è diventato oggetto di ricerca scientifica. Per invecchiare con successo, la capacità di eseguire abilità motorie è fondamentale, non tanto per il fatto che un compito venga eseguito in un ambito sportivo, quanto piuttosto perché possa essere svolta in una situazione di quotidianità. L’abilità motoria consiste nella capacità di ottenere qualsiasi risultato con la massima sicurezza, utilizzando il minor tempo possibile e spendendo il minimo di energia. Le abilità vengono classificate grazie a tre caratteristiche: l’importanza relativa agli elementi motori o cognitivi, le modalità di organizzazione e il livello di prevedibilità dell’ambiente nel quale viene eseguita l’attività.
Sono pochi gli studi che hanno esaminato le abilità motorie negli anziani e ancora meno quelli che hanno indagato sulla possibilità di nuovi apprendimenti motori nella terza e quarta età. La maggioranza degli studi relativi alle abilità motorie evidenziano la diminuzione delle prestazioni nelle persone anziane ed adulte rispetto ai giovani, stabilendo, altresì, che tutto ciò è dovuto ai cambiamenti fisiologici e psicologici dell’anziano, e a parità di età cronologica le differenze individuali creano differenze sostanziali nelle performance.
Bisogna evidenziare che nel rapporto tra invecchiamento e prestazione motoria, la maggior parte dei soggetti che hanno raggiunto la soglia dei 50 anni hanno un calo nelle prestazioni e nell’efficienza motoria che si evidenzia, non solo nelle pratiche sportive, ma anche e soprattutto nei gesti della vita quotidiana. Tutto ciò è dovuto principalmente alle modificazioni anatomiche e funzionali che determinano degenerazione e diminuzione di elasticità in tutti gli apparati e difficoltà nel ricevere ed elaborare gli stimoli per una corretta risposta motoria. Il concetto di invecchiare con successo, prende in considerazione diversi campi: la sicurezza materiale, il supporto alle risorse sociali, la salute, lo stato funzionale, l’efficacia cognitiva e le attività della vita.
Si ha una giusta percezione della vecchiaia quando è insito nell’anziano un discreto benessere fisico e mentale. Quest’ultimo aspetto che coinvolge la psiche dell’uomo, non può essere trascurato, perché l’autostima di se stessi e la capacità di far fronte in maniera positiva alle avversità della vita sono gli elementi fondamentali dello stare bene. La caratteristica tipica dell’invecchiamento consiste nell’impegno concreto, vale a dire nel ricorso al fare piuttosto che al memorizzare, che porta risultati migliori in quanto il processo d’apprendimento è più lento e improntato alla flessibilità, richiedendo all’attivazione delle funzioni cognitive un maggior tempo.
Dunque, la memoria, le capacità linguistiche e l’attenzione subiscono delle modifiche, comunque scoprire il meccanismo che determina ciò diventa alquanto difficile in quanto non tutte le funzioni cognitive subiscono un deterioramento. Ciò è evidente perché se da un lato i tempi di reazione semplici e complessi si allungano, i compiti di memoria di lavoro, l’abilità spaziale, quella di ragionamento e la prova di ricerca visiva peggiorano, dall’altro lato i compiti come quelli di vocabolario non mostrano un declino cognitivo e anzi con l’età possono migliorare.
L’invecchiamento è associato a cambiamenti fisiologici che si traducono in riduzioni di capacità funzionale e della composizione corporea ed è un processo complesso che coinvolge diversi fattori che interagiscono tra di loro, tra cui il processo d’invecchiamento primario (normale invecchiamento biologico), effetti secondari (invecchiamento derivato da malattie croniche e stile di vita) e fattori genetici.
L’invecchiamento primario, determina il continuo decadimento della persona, e se volessimo fare una similitudine, mi viene spontaneo paragonare i cambiamenti dell’uomo dettati dall’invecchiamento primario con l’usura di un autoveicolo, e come accade nel caso di un anziano che segue un ottimo stile di vita, così anche per l’autoveicolo che viene sottoposto alle giuste manutenzioni, si riducono i segni del deterioramento, anche se i processi di invecchiamento dettati dal trascorrere degli anni si presentano in entrambi i casi. Nell’uomo, ad esempio, i processi metabolici cellulari determinano un processo di usura delle cellule, si deteriorano tutti gli aspetti della funzionalità muscolare: forza, velocità, resistenza, flessibilità e coordinazione della massa ossea, per cui aumenta il rischio di fratture.
Questo processo può essere accelerato da alcuni fattori negativi quali: l’inattività fisica, la cattiva alimentazione, l’alcool, il fumo, lo stress fisico e psicologico, in poche parole, adottando uno stile di vita errato. Comunque, l’età senile, rispetto al passato, non è considerata età di decadimento e di patologia, anche se diverse funzioni e attività risultano deficitarie, difatti, possono essere rallentati e ritardati questi fenomeni fino ad ottenere degli ottimi recuperi con l’accrescimento delle funzionalità. Infatti, sono sempre di più gli uomini e le donne che giungono in età avanzata in condizioni di salute apprezzabile, in quanto la vecchiaia non viene considerata un traguardo della vita, ma una fase di essa, anche se ultima, dove con un corretto stile di vita, e soprattutto con l’attività motoria, si producono effetti positivi, soprattutto in termini di salute, anche se i risultati migliori si ottengono se questo comportamento è presente durante tutto il ciclo della vita, con potenziamento nell’età senile, poiché serve a contrastare la manifestazione degli effetti secondari dell’invecchiamento che si traducono nell’insorgenza di malattie croniche quali: sovrappeso e obesità, diabete, malattie oncologiche, patologie muscolo-scheletriche, e malattie cardiovascolari.
Quindi, la pratica del movimento permette il mantenimento delle condizioni di auto-sufficienza e l’aumento dell’aspettativa di vita. Sembra che esista una stretta relazione tra l’allenamento della forza, l’allenamento aerobico e le abitudini alimentari negli anziani, che spesso denotano stati di denutrizione o di mal nutrizione. I vantaggi derivati da uno stile di vita attivo, sia in termini di benessere fisico che psichico, farebbero dell’attività motoria uno strumento prezioso ed alla portata di tutti, senza considerare inoltre, che la collettività ne trarrebbe vantaggi anche in termini di riduzione dei costi della sanità pubblica.
Al momento non ci sono studi scientifici che hanno dimostrato che lo stile di vita, tra cui l’attività fisica, è in grado di fermare il processo biologico dell’invecchiamento degli esseri umani. Anche il ruolo dei fattori genetici nel determinare cambiamenti delle funzionalità nel tempo in risposta all’esercizio fisico nell’uomo anziano non è ben chiaro; è probabile che la combinazione di fattori genetici e stile di vita contribuiscano alle variabilità interindividuali presenti negli anziani. A dimostrazione di ciò, si nota che il cambiamento fisiologico correlato all’età varia da soggetto a soggetto, anche nel caso in cui si tratti di individui che si sottopongono alla stessa attività motoria, infatti, se si osservano diversi individui della stessa età, si può constatare che in alcuni, i segni del declino fisiologico sono molto evidenti, in altri poco evidenti ed in altri ancora non si nota alcun cambiamento o addirittura si notano dei miglioramenti delle attività funzionali. Queste variabilità sembrano aumentare con l’età. Inoltre, ci sono anche persone per le quali il funzionamento fisico oscilla, presentando tassi variabili di cambiamento nel corso del tempo dovuti a malattia, infortuni e influenze. Quindi, determinare la misura in cui i fattori genetici e stile di vita influenzano il declino funzionale degli anziani è ad oggi un campo di ricerca ancora attivo.
L’obesità rappresenta un importante fattore di rischio per numerose patologie e come tale risulta essere uno dei problemi di salute pubblica più gravi nella vita dei paesi avanzati. L’attività fisica, associata ad una corretta alimentazione, contribuisce sia a prevenire il sovrappeso che a ridurlo, favorendo a livello muscolare un rapporto positivo tra massa magra e massa grassa. Infine, l’attività fisica comporta una rilevante riduzione dei rischi di immobilità e di mortalità nei soggetti già in sovrappeso o obesi.
L’inattività fisica rappresenta uno dei principali fattori di rischio per il diabete di tipo 2, i soggetti fisicamente attivi presentano, per tale patologia, un rischio minore del 33-50% rispetto ai soggetti inattivi. Inoltre, la pratica di un’adeguata e regolare attività fisica, visti i benefici effetti metabolici che comporta, può avere un ruolo rilevante nella gestione della malattia nei soggetti che l’hanno già sviluppata.
All’attività fisica è stato da più parti riconosciuto un ruolo protettivo nei confronti delle neoplasie (formazione patologica di nuove cellule, perlopiù cancerose) in generale e verso quella del colon e della mammella (in età post-menopausa). Nei soggetti particolarmente attivi, lungo tutta la loro esistenza, il rischio di tumore al colon è ridottissimo. Gli effetti positivi dell’attività fisica nei confronti delle neoplasie possono essere anche indirette, per esempio riducendo l’obesità che risulta essere la responsabile del 10% di tutti i tumori.
Anche l’apparato muscolare e osteo-articolare trova molti benefici dall’attività fisica, infatti, l’aumento della resistenza determina una riduzione dell’affaticamento e mantenimento della forza, quindi minor possibilità di traumi muscolari. L’attività fisica contribuisce ad aumentare la densità ossea nell’adolescenza, a mantenerla negli adulti, ed a rallentarne il declino nell’invecchiamento, riducendo il tasso di depauperamento osteoporotico, senza tuttavia sostenere alcun recupero delle perdite già consolidate.
Quindi, l’apparato muscolare e osteo-articolare trovano molti benefici dall’attività fisica, dato che l’aumento della resistenza, e il mantenimento della forza, sono caratteristiche fondamentali per ritardare la perdita dell’autonomia dell’anziano. Viceversa, una riduzione sia della resistenza che della forza può condurre ad una situazione di dipendenza nella gestione delle attività basilari della vita quotidiana, come per esempio, la cura della propria persona, la deambulazione, l’alimentazione, o la gestione delle attività strumentali quali l’uso del telefono, la preparazione dei pasti, la cura della casa.
L’attività fisica migliora il lavoro cardiaco influenzando positivamente la coagulazione e l’attività piastrinica, con la possibilità di ridurre la pressione del sangue in soggetti con ipertensione e ridurre il rischio di aritmie cardiache (alterazione del ritmo cardiaco normale). L’inattività fisica è uno dei principali fattori di rischio per le malattie coronariche, sia nell’uomo che nella donna allo stesso modo del fumo di sigaretta.
Inoltre, quando all’inattività si associa una carente forma fisica, si raddoppia il rischio di morire per una malattia delle coronarie; mentre l’attività fisica, e una buona condizione fisica, non solo proteggono dalle coronaropatie (qualsiasi alterazione, anatomica o funzionale, delle arterie coronarie, cioè dei vasi sanguigni che portano sangue al muscolo cardiaco), ma è stato dimostrato che risultano rilevanti anche nella prevenzione dell’ictus cerebrale e delle vasculopatie periferiche, oltre che nel contribuire a modificare positivamente la pressione arteriosa ed il profilo lipidico.
L’invecchiamento determina dei cambiamenti strutturali e funzionali che interessano tutti gli apparati: apparato osteo-articolare, apparato muscolare, apparato cardio-circolatorio, apparato respiratorio, sistema nervoso, sistema endocrino, sistema linfatico, apparato digerente, apparato urinario e apparato riproduttivo.