Chi ha deciso che l’anoressia è un problema ma l’obesità una scelta personale?

Di Pierluigi De Pascalis

Dietro la foglia di fico del politicamente corretto qualcuno ha deciso che alcune patologie meritino (giustamente) l’attenzione di un trattamento e un affiancamento professionale, mentre altre possano essere derubricate a mere scelte estetiche

Andiamo per gradi perché, mai come questa volta, il rischio di una polemica sterile e strumentale è dietro l’angolo. Il fatto stesso che io debba fare la premessa che segue, e che per evidenziare un problema debba paragonarlo a uno di segno opposto, è il chiaro segnale della condizione preoccupante in cui, sotto la scure del politicamente corretto, siamo irrimediabilmente giunti.

Partiamo dall’anoressia, con sfumature lessicali differenti è, sotto il profilo diagnostico, un disturbo del comportamento alimentare.
Non è un capriccio, non è una colpa, non è una scelta consapevolmente operata, non merita alcuno stigma sociale, necessita di essere trattata da figure specializzate (generalmente più di una), non sempre si guarisce ma non per questo ci si esime dal provarci. Talvolta purtroppo porta alla morte il soggetto, per questo –e non solo per questo- è assolutamente da evitare che modelli sociali, la moda, il cinema, la politica, la scuola, esaltino l’anoressia, ed e folle pensare di mettere in piedi un associazionismo che, direttamente o indirettamente la promuova.

Spero che queste affermazioni siano condivise, anche qui con sfumature lessicali differenti, sotto la semplice guida del buon senso. Se così non fosse farei fatica a comprendere perché mai dovremmo invitare la moda a sostenere un modello di magrezza che può spingere verso l’anoressia, o mettere in piedi associazioni che inneggino o sostengano un simile disturbo del comportamento alimentare o, peggio, che neghino le ricadute e spingano i soggetti che ne sono affetti a non cercare soluzione ad un problema che potrebbe avere (e nella quasi totalità dei casi ha) ricadute drammatiche sulla salute, sino a mettere a rischio la vita stessa delle persone.

Orbene, ai poli opposti dell’anoressia (perlomeno per caratteristiche fisiche) troviamo la condizione di obesità che, come per l’anoressia, non è una colpa, non merita alcuno stigma sociale, non è un capriccio, non è una scelta scientemente operata, tuttavia (al contrario dell’anoressia) non sempre cela dietro un disturbo del comportamento alimentare.

Quasi mai altri disturbi organici, spesso chiamati in causa a sproposito (problemi ormonali, metabolismo lento, ecc.). Molto più spesso, per alcuni versi fortunatamente, un’ampia maggioranza di casi è correlato a scelte personali più o meno dettate da scarsa cultura alimentare o del movimento, o perfino incoraggiate da contesti sociali dai quali emerge la distribuzione geografica.
Affermo che per alcuni versi questo è una fortuna perché, l’azione preventiva o il trattamento, non si scontrano con la difficoltà propria dei comportamenti mediati e sostenuti da elementi della sfera psicologica. In ultimo, ma non per importanza, l’obesità come l’anoressia espone a tutta una gamma di problemi di salute, spesso molto gravi e talvolta irreversibili, che possono portare alle estreme conseguenze.

Malgrado un numero incredibile di punti in comune che porterebbe (sempre e solo guidati dal buon senso) a ritenere le due circostanze facce di una medesima medaglia, condizioni talmente agli antipodi da toccarsi, si ritiene l’anoressia nel novero del “curabile”, l’obesità come fenomeno incoraggiabile, sostenibile dalla moda, dal cinema, dalla politica. Il tutto restando nascosti dietro una coltre di finta e irresponsabile inconsapevolezza in merito alle ripercussioni che può avere, anche sulle fasce più giovani della popolazione. Si accettano, e si caldeggiano, le associazioni che spingono verso una condizione di fatto patologica, che non a caso numericamente si sprecano.

Si esaltano e si replicano le iniziative che hanno come comune denominatore quello di negare gli aspetti drammatici cui ci si espone, escludendo del tutto l’ipotesi di farsi seguire da figure specializzate (non ipotizzandolo neppure), ma anteponendo a tutto il concetto di doversi “accettare”, derubricando la questione a mero elemento estetico. Anzi, sempre più spesso sbraitando contro chiunque affermi la necessità di intervento, sino al punto da coniare termini specifici (come la grassofobia), per additare meglio chi si permette di far notare che: diabete, ipertensione, infarto, ictus, incremento degli eventi tumorali, e perfino ripercussioni neuro cognitive, sono ineluttabilmente associate alla condizione di obesità. La moda, che spesso si comporta come uno sciacallo (al pari di certa politica), non manca di accorrere a questo banchetto per creare facile consenso. E così, con un colpo di spugna, passa dalle modelle anoressiche alle modelle obese o gravemente obese per le quali, neanche a farlo apposta, ha coniato termini specifici, perché quelli di cui già si disponeva sono troppo evocativi di un problema.

Dietro la foglia di fico del politicamente corretto, in una sorta di trasposizione della fattoria degli animali (con animali di serie A e quelli di serie B), si è deciso che alcune patologie meritino (giustamente) l’attenzione di un trattamento e un affiancamento professionale specializzato, meritino (giustamente) che non vengano fomentate dai modelli estetici, meritino (giustamente) che siano tutelate da chi prova a fare proseliti sulla pelle di chi soffre. Mentre alcune altre, l’obesità in questo caso, possano essere derubricate a mere scelte estetiche, come se indurre ipossia dei tessuti a causa del grasso viscerale (per dirne una), fosse equiparabile alla scelta del verde in sostituzione del blu in un vestito da cerimonia.

Arrivando perfino a negare le implicazioni sulla salute poc’anzi elencate, ed etichettando qualunque osservazione come un fenomeno di bodyshaming. L’uso di etichette contro l’etichettamento!

Uno scollamento dalla realtà che ruzzola e si ingigantisce con la sua avanzata al pari di una valanga, e che non manca di travolgere la politica. Non solo inerme di fronte alla necessità di una seria attività di prevenzione, ma perfino ignara dei modelli che “esibisce” quando sceglie di affidare alcuni ministeri dalla salute a soggetti che non rappresentano esattamente un modello cui ispirarsi in termini di stili di vita1. Rimarcando quanto il problema sia sottovalutato e quanto, al grido della finta accettazione, non si faccia altro che amplificare il rischio di nuovi casi e nuove patologie, sulla pelle degli altri!


1 A scanso di possibili equivoci, si segnala che il presente redazionale è stato scritto precedentemente alle elezioni politiche italiane del 25 settembre, pertanto il concetto non è (e non può essere) in alcun modo riferibile allo scenario italiano

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