Conclusioni

Di Alessandro La Torre

I ragazzi delle due scuole che hanno offerto tre volte a settimana l'attività fisica hanno ridotto col tempo il grasso a livello della loro circonferenza addominale a differenza dei ragazzi delle scuole che hanno garantito meno attività fisica.

Lo studio ha evidenziato differenze significative tra il GC ed il GS, che hanno mostrato differenti livelli di prestazione motoria e di LAF. Tali differenze sono motivate, probabilmente, dalla frequenza del GS, al curricolo ad indirizzo sportivo ma anche dalla partecipazione ad attività extracurriculari: ha svolto un numero maggiore di lezioni settimanali di educazione fisica, aumentato, quindi, il TIM dei ragazzi, che hanno avuto a disposizione più ore di attività motoria.

Il GC, invece, ha seguito il curricolo tradizionale dei programmi ministeriali, che forniscono solamente 2 h di educazione fisica a settimana.

Entrambi i gruppi hanno percepito un clima motivazionale orientato sulla competenza (mastery/task), ma il GS ha riportato punteggi maggiori rispetto al GC ed ha evidenziato migliori prestazioni motorie e LAF.

Un clima motivazionale orientato sulla competenza è prevalente quando l'insegnante pone l'accento sulle prestazioni personali e sull'apprendimento di abilità, considerando gli errori come parte integrante del processo di apprendimento, valorizzando l'impegno, riconoscendo e valutando i progressi individuali. Gli alunni, quindi, vengono sollecitati a porre l'attenzione sullo sviluppo delle capacità personali e sull'apprendimento, o il perfezionamento delle abilità (Bortoli & Robazza, 2007).

La mancanza di differenze significative nell'indice di gradimento dell'attività fisica (PACES), ovvero lo stato d'animo percepito durante la pratica dell'educazione fisica scolastica, potrebbe essere attribuita allo stile d'insegnamento del professore (autorevolezza, rigidità, mancanza di dialogo) che valorizza soprattutto i più abili, attribuendo maggiore importanza al confronto ed alla competizione, o a variabili esterne, come una palestra fatiscente e pericolosa, che non invoglia i ragazzi a fare sport, o ancora a variabili personali, come la mancata accettazione del proprio corpo e, quindi, il timore di essere presi in giro durante la lezione, un fattore tipico da non trascurare soprattutto negli adolescenti.

In conclusione lo studio ha confermato che gli alunni impegnati per più ore /settimanali /mensili di educazione fisica a scuola, presentano livelli di prestazione e di sviluppo motorio maggiori, senza, naturalmente, tralasciare il successo scolastico (non oggetto di questo studio), sulla diminuzione dei fattori di rischio e sullo sviluppo della personalità, messi in luce dagli studi precedentemente riferiti.

Per sfruttare i benefici derivanti dalla pratica costante di attività fisica, sono quindi necessarie modifiche urgenti al nostro sistema istituzionale, che devono far leva sui risultati incoraggianti di studi come questo, per far capire l'importanza dell'attività fisica sia a coloro che ci governano, sia a coloro che non la ritengono utile alla propria salute.

Le modifiche devono puntare a:

Aumentare le ore settimanali di educazione fisica scolastica

Attraverso programmi mirati e stilati in collaborazione con esperti del settore, aventi come scopo, non solo quello di incrementare le prestazioni motorie degli studenti, ma anche quello di favorire nei ragazzi una vera e propria cultura dell'esercizio fisico, con la speranza di creare in loro la consapevolezza che uno stile di vita fisicamente attivo sia fondamentale per la loro salute.

Sensibilizzare l'opinione pubblica

Attraverso campagna pubblicitariemirate ed efficaci per aumentare la consapevolezza dei giovani (e nonsolo) riguardo i benefici che una sana attività fisica può fornire lorodurante tutto l'arco della vita.

Migliorare la preparazione e le competenze dei docenti

Devono aggiornare le proprie conoscenze in base alle numerose evidenze scientifiche emerse negli ultimi anni, e soprattutto affidarsi a laureati in scienze motorie, rivalutando il ruolo di questi esperti come parte centrale del benessere fisico e psicofisico della persona.

L'adozione di uno stile di vita attivo è come tutti i comportamenti della salute, favorito o contrastato da fattori diversi appartenenti non solo alla sfera individuale, ma anche, come indicato dal modello socio-ecologico di Gebel K. et al. (2005), da molteplici dimensioni della sfera ambientale. Questo modello, utilizzato anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, chiarisce come l'ambiente (naturale, artificiale e sociale) può contrastare/favorire la sedentarietà.

Secondo questo modello, infatti, le scelte comportamentali di salute di ciascun individuo sono il risultato della continua e complessa interazione tra fattori biologici non modificabili (età genere, patrimonio genetico) e fattori cognitivi modificabili (conoscenze, credenze, atteggiamenti, motivazione, autoefficacia, percezione delle proprie capacità) di cui ogni individuo è portatore, delle caratteristiche dell'ambiente sociale (inteso come l'insieme del contesto sociale, economico, culturale e politico) e dell'ambiente fisico (naturale e artificiale).

Vi sono, ad esempio, prove di efficacia consistenti in merito alla relazione tra aumento degli spostamenti a piedi e densità urbana, e grado di connessione delle strade cittadine. Ecco quindi che, da questa prospettiva, i margini di promozione di stili di vita sani si ampliano e contemplano non solo azioni rivolte al singolo o al gruppo (interventi informativi, educativi), ma anche al territorio, ai contesti socio-culturali (interventi strutturali, politici, sociali).

L'adozione di un modello socio-ecologico implica un approccio multilivello e permette di:

  • analizzare e organizzare i molteplici fattori che motivano l'adozione (o la non adozione) di uno stile di vita attivo, in modo critico, da parte dei diversi gruppi di popolazione, nello specifico per la prevenzione del sovrappeso e dell'obesità.
  • realizzare interventi multicomponente di promozione dell'attività motoria, orientati sia al singolo individuo (con l'obiettivo di ridurre i comportamenti sedentari) sia all'ambiente inteso come territorio, contesto politico e sociale (con l'obiettivo di aumentare le possibilità quotidiane di “fare movimento").

Quali strategie di intervento coniugare per promuovere l'attività motoria? Le revisioni di letteratura a cura de The Community Guide indicano in merito azioni suddivise, sulla base delle prove di efficacia disponibili, in raccomandate e promettenti e classificate sulla base dell'approccio adottato:

  • informativo. è orientato al cambiamento delle conoscenze sui benefici dell'attività fisica, all'aumento della consapevolezza su come riconoscere le opportunità di fare movimento nella comunità, a proporre soluzioni per superare gli ostacoli ad uno stile di vita attivo e a proporre nuove occasioni a supporto; (es.: Campagne e interventi informativi rivolti a tutta la popolazione, Campagne mediatiche)
  • comportamentale e sociale. è basato sul proporre/trasmettere competenz utili alla modifica dei comportamenti e sull'offrire sostegno sociale a coloro che hanno cambiato/sono disposti a cambiare le proprie abitudini (es.: Programmi di cambiamento del comportamento di salute adattati allindividuo, Interventi di supporto sociale nellambito della comunità)
  • politico e ambientale. Contempla tutte le azioni di attivazione e sostegno di opportunità per fare attività fisica a livello di ambiente artificiale, sociale, politico, organizzativo e legislativo (es.: Politiche e piani urbanistici attinenti l'uso del territorio dellintera comunità, Politiche e piani urbanistici attinenti l'uso del territorio su scala stradale, Politiche e piani dei trasporti e della mobilità).

Le scuole che propongono tre sessioni di attività fisica alla settimana possono essere più efficaci per prevenire l'adiposità nei giovani rispetto a quelle scuole che ne offrono solo una lezione settimanale, stando a quanto rivendica un nuovo studio britannico di Wardle J. et al (2007).

L'analisi ecologica compiuta dal professor Wardle e dalla sua èquipe dell'Università di Londra è stata eseguita su ragazzi di 11-12 anni in 34 scuole per un periodo di 5 anni, con lo scopo di stimare se la regolare attività fisica fosse utile nel prevenire l'obesità.

Venticinque scuole hanno garantito una lezione a settimana di attività fisica, sette scuole due lezioni, mentre due scuole maschili hanno offerto tre lezioni a settimana. Il riesame sottolinea che il numero di lezioni di attività fisica non era riferito al BMI o alla circonferenza addominale. Comunque i ragazzi delle due scuole che hanno offerto tre volte a settimana l'attività fisica hanno ridotto col tempo il grasso a livello della loro circonferenza addominale a differenza dei ragazzi delle scuole che hanno garantito meno attività fisica. I ragazzi nelle scuole più attive hanno guadagnato in media circa 3 cm in meno a livello addominale, rispetto ai ragazzi delle scuole meno attive. Questo sembra suggerire che l'attività fisica scolastica può contribuire a lungo termine a proteggere contro l'accumulo di grasso corporeo evitando, così, l'incremento dei depositi grassosi a livello addominale, che è associato all'aumento del rischio di malattie croniche, come disturbi cardiovascolari o diabete.

La revisione sistematica di Barr-Anderson et al. (2011) ha valutato l'aumento dei livelli quotidiani di attività fisica attraverso l'offerta di opportunità strutturate e di intervalli di tempo prestabiliti, della durata non superiore a 20 minuti l'uno, principalmente durante la giornata scolastica e lavorativa.

I risultati della revisione sistematica indicano un miglioramento dei livelli quotidiani dell'attività fisica, del controllo di alcuni fattori di rischio (valori alti del BMI e della pressione arteriosa), del rendimento scolastico e lavorativo. La strategia politico-organizzativa di prevedere momenti strutturati e riconosciuti dalla dirigenza scolastica e aziendale,si dimostra una scelta più sostenibile per la promozione dell'attività fisica, rispetto agli interventi dall'impianto progettuale più complesso. Questi ultimi, infatti, non sempre sono in grado di avviare azioni sostenibili e continuative per la promozione dell'attività fisica negli ambienti di vita.

Gli autori indicano la necessità di ulteriori studi che documentino e riportino nel dettaglio il processo degli interventi attuati e inclusi nella revisione sistematica, al fine di comprenderne l'efficacia e la trasferibilità in altri contesti.

Barr-Anderson (2011) in un suo recente studio si è chiesto se l'attività fisica giornaliera consigliata accumulata in brevi intervalli (ad es. in 10 minuti) possa essere più fattibile ed interessante per periodi più lunghi, per quella popolazione relativamente sedentaria.

Limiti dello studio

Lo svolgimento della tesi di laurea ha evidenziato i seguenti limiti:

  • la rilevazione dei dati non ha previsto il retest / un intervento metodologico sperimentale;
  • il campione utilizzava metodologie di insegnamento differenti (da cui probabilmente dipende il clima motivazionale e l'indice di gradimento per le attività fisiche);
  • non è stata misurata l'attività fisica destrutturata e non sono stati utilizzati strumenti oggettivi di misura dei livelli dia attività fisica