La corsa dei 1500 metri fa parte delle prove di mezzofondo veloce dell’atletica leggera. Essa era già presente nel programma delle Olimpiadi fin dalla prima edizione dei Giochi, quella di Atene del 1896, e in pratica deriva dalla prova sul miglio (1609,32 m), cui si dedicarono soprattutto i corridori britannici e statunitensi fin dalla nascita dell’atletica leggera, vale a dire oltre 150 anni fa. Vari studi scientifici si sono occupati dei 1500 metri, soprattutto negli ultimi decenni. Molte ricerche hanno riguardato l’intervento dei vari meccanismi energetici, anche al fine di preparare per i corridori di tali distanze, piani di allenamento il più possibile efficaci.
Alcuni studi relativi alla gara dei 1500 m dell’atletica leggera hanno cercato di quantificare, utilizzando metodi diversi (Tabella A), le percentuali di contributo energetico aerobico e anaerobico che intervengono nella gara stessa (Figure1 e 2). Gli studiosi hanno proposto valori che oscillano entro un ambito abbastanza ampio (Tabella B): mentre Foss e Keteyian suggeriscono che nei 1500 m di corsa l’energia proveniente dal sistema aerobico è solo il 51%1, Ward Smith giunge alla conclusione che il 72% dell’energia proviene dal contributo aerobico ed il 28% dal sistema anaerobico2; anche Peronnet e Thibault propongono che il 76% dell’energia sia aerobica e il restante 24% sia anaerobica3; di Prampero et al. (1993) hanno proposto valori simili perché hanno calcolato che il 78 % dell’energia utilizzata è di origine aerobica e solo il 22% è di tipo anaerobico. Altri autori, come Newsholme et al. (1992), Astrand and Rodhal (1977), sono in linea con le ultime percentuali energetiche: dai loro studi, infatti, emerge che le percentuali di energia di tipo aerobico sono rispettivamente pari al 75% e 70%. Hill sostiene che l’80% dell’energia sia di tipo aerobico e solo il 20 % anaerobica. 4 Il problema legato al contributo aerobico è stato discusso anche da Weyand (1993) e da Spencer e Gastin (2001) che indicano valori più alti, rispetto a Foss and Keteyian, arrivando fino all’84 % di contributo aerobico e il restante 16 % di contributo anaerobico in gara.
L’evidenza recente suggerisce che nelle gare di mezzofondo, come nei 1500 m di corsa appunto, il contributo energetico di origine aerobica è molto considerevole e più grande di quello che si pensava, ossia maggiore del 75%. Infatti, Spencer e Gastin (2001), Weyand et al. (1996) hanno condotto studi di laboratorio in cui i corridori correvano sul treadmill per simulare la corsa dei 1500 m e, usando il metodo suggerito da Medbo, hanno calcolato il deficit di ossigeno accumulato (accumulated oxygen deficit o AOD).5 In esso gli atleti correvano a varie velocità sottomassimali e quindi si calcolava il costo energetico a quelle velocità; poi i ricercatori estrapolavano il “costo stimato” alla velocità alla quale era stata coperta la distanza di 1500 m. A questa velocità la componente aerobica è costituita dal consumo effettivo di ossigeno; il deficit di ossigeno è proprio la differenza tra il “costo stimato” ed il consumo effettivo di ossigeno e perciò questo deficit coincide con le componenti anaerobiche. Hill (1999) e Billat et al. (2009) hanno valutato con sistemi differenti il consumo di ossigeno, il primo con un test a velocità costante su treadmill e il secondo con un test incrementale in pista; poi alla fine delle competizioni ufficiali hanno prelevato il lattato ematico per calcolare l’entità del contributo del meccanismo anaerobico lattacido e hanno tenuto conto del contributo del meccanismo energetico alattacido utilizzando alcuni dati antropometrici, secondo quanto suggerito da di Prampero et al. (1993).
Duffield et al. (2005) hanno applicato sia il metodo del “deficit di ossigeno accumulato” sia il metodo del lattato e fosfocreatina di Hill, facendo correre gli atleti in pista la distanza di 1500 m, con la misura diretta del consumo reale di ossigeno con il Cosmed b e con la rilevazione, al termine della prova, del lattato ematico.
Ci sono stati ricercatori, tra cui Weyand, che hanno fatto test di laboratorio per calcolare i meccanismi energetici, mentre altri, come Duffield e Dawson, hanno compiuto test da campo per calcolare il contributo energetico aerobico. Le strumentazioni, che per esempio Weyand et al. hanno utilizzato per la loro ricerca, consentono di misurare l’O2 inspirato e la CO2 espirata durante i test in laboratorio sul treadmill. Anche Spencer and Gastin hanno usato le strumentazioni sopra accennate con risultati simili.
Questi autori hanno valutato mediante test da laboratorio, con protocolli di ricerca che simulavano la competizione, l’accumulo del debito di ossigeno (AOD) e il consumo di O2 per valutare il contributo del sistema aerobico/anaerobico.
Duffield e Dawson (2003), invece, si sono serviti nelle loro ricerche del Cosmed K4b2, sistema portatile per la valutazione degli scambi gassosi polmonari (consumo di O2 e produzione di CO2), sfruttando un sistema GPS integrato e un sistema telemetrico dei dati, per calcolare poi la spesa energetica durante un test da campo. Il test consisteva in una prova a ritmo di gara sulla distanza dei 1500 m, alla fine della quale venivano effettuati dei prelievi di lattato al lobo dell’orecchio, per rilevare il relativo picco di produzione e poi, tenendo conto anche del contributo della fosfocreatina (La- /Pcr), calcolare il costo energetico della prova.
Hill (1999) ha fatto studi sul picco di lattato ematico immediatamente dopo le gare in competizioni reali e, basandosi su quel valore di lattato, ha calcolato la percentuale del contributo energetico aerobico/anaerobico nella gara in rapporto al consumo di ossigeno.
La Figura 1 e la Figura 2 raccolgono i dati di percentuale del contributo energetico aerobico nei 1500 m, in funzione rispettivamente della velocità della gara (in m/s) e del tempo ottenuto (s) secondo i dati della letteratura riportati nella Tabella B. Come si vede, la percentuale del contributo aerobico scende con l’aumentare della velocità di corsa e, conseguentemente, sale con l’aumentare del tempo impiegato.
Nella letteratura scientifica non sono stati reperiti molti dati di concentrazione di lattato ematico rilevati al termine della gara dei 1500 m. Essi sono riportati nella Tabella C e ci consentono di stabilire che esiste una relazione tra il lattato ematico e la prestazione nei 1500 metri; dalla Figura 3, infatti, si nota che la tendenza della retta che mette in relazione il lattato ematico con il tempo di gara è quella di decrescere con l’aumentare del tempo di gara. Un andamento simile, ma con un calo più spiccato della concentrazione del lattato all’aumentare del tempo impiegato é stato rilevato per gli 800 m (Arcelli et al., 2012); in questa disciplina, rispetto a quella dei 1500 m esiste un numero maggiore di ricerche che riportano dati di lattato ematico dopo la gara.
Per quanto concerne il rapporto tra il lattato ematico e la velocità di gara, si può osservare in Figura 4 come a basse velocità di corsa, ad esempio 5 m/s, i valori di lattato ematico degli atleti siano inferiori rispetto a quelli misurati negli atleti più veloci che raggiungono velocità di 7 m/s nella gara di 1500 metri.
La corsa dei 1500 metri richiede alcune fonti primarie di energia; secondo Fox (1984), le richieste energetiche per compiere 1500 metri di corsa sono di 6 moli di ATP utilizzato e la potenza di utilizzazione è di 1,7 moli di ATP/min; le vie metaboliche e i substrati prevalentemente utilizzati sono ATP-CP, la glicolisi anaerobica e aerobica.
Le caratteristiche fondamentali dei tre metabolismi sono riassunte da questa tabella E:
Il terreno di confine tra il meccanismo aerobico e quello lattacido può essere più o meno ampio e può cambiare in funzione: