Il Premio Nobel Eric Kandel (1998) sostiene che le nuove acquisizioni in ambito neurobiologico ed in quello psichiatrico hanno consentito un importante riavvicinamento tra le due discipline, temperando i pregiudizi e gli attaccamenti fideistici alle rispettive scuole d'appartenenza. Tutto ciò ha permesso agli psicoanalisti di indirizzare la ricerca verso la comprensione più intima delle basi neurobiologiche del comportamento. I neuroni specchio sono una tipologia di neuroni la cui esistenza è stata rilevata per la prima volta da Giacomo Rizzolatti12 e colleghi presso il dipartimento di neuroscienze dell'Università di Parma.
Utilizzando i macachi come soggetti sperimentali, questi ricercatori osservarono che alcuni gruppi di neuroni si attivavano non solo quando gli animali erano intenti a compiere determinate azioni, ma anche quando guardavano qualcun altro compiere le stesse azioni. Studi successivi, effettuati con tecniche non invasive, hanno dimostrato l'esistenza di sistemi simili anche negli uomini. Sembrerebbe che essi interessino diverse aree cerebrali, comprese quelle del linguaggio. I neuroni specchio sembrano essere il substrato neuronale sottostante alla nostra capacità di porci in relazione con gli altri.
Quando osserviamo un nostro simile compiere una certa azione si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione. Per questo possiamo comprendere con facilità le azioni degli altri: nel nostro cervello si accendono circuiti nervosi che richiamano analoghe azioni compiute da noi in passato. Quest'ultima precisazione è molto importante. Infatti sembrerebbe che il "sistema specchio" entri in azione soltanto quando il soggetto osserva un comportamento che egli stesso ha posto in atto in precedenza.
Ad esempio, si è visto che in un danzatore classico i neuroni specchio si attivano esclusivamente di fronte a una esibizione di danza classica, e non di fronte al ballo moderno, e viceversa. Anche il riconoscimento delle emozioni sembra poggiare su un insieme di circuiti neurali che, per quanto differenti, condividono quella proprietà "specchio" già rilevata nel caso della comprensione delle azioni. È stato possibile studiare sperimentalmente alcune emozioni primarie. I risultati mostrati da Rizzolatti e Sinigaglia13 evidenziano che quando osserviamo negli altri una manifestazione di dolore o di disgusto si attiva il medesimo substrato neuronale collegato alla percezione in prima persona dello stesso tipo di emozione.
Un'altra conferma viene da studi clinici su pazienti affetti da patologie neurologiche, Passafiume e Di Giacomo14 mostrano che una volta perduta la capacità di provare un'emozione non si è più in grado di riconoscerla quando viene espressa da altri.
Vi sono infine alcune evidenze sperimentali che sembrano indicare che anche la comprensione del linguaggio faccia riferimento, almeno per certi aspetti, a meccanismi di "risonanza" che coinvolgono il sistema motorio, cioè il complesso di azioni, dunque, che osservate/udite oppure eseguite si dimostra efficace nell'attivare una parte dei neuroni della corteccia premotoria ventrale, come mostrato da Gallese e collaboratori15, Jeannerod16, Rizzolatti.17 18
Comprendere una frase che esprime un'azione provoca probabilmente un'attivazione degli stessi circuiti motori chiamati in causa durante l'effettiva esecuzione di quell'azione. La scoperta dei neuroni specchio potrebbe offrire una spiegazione biologica per almeno alcune forme di autismo, come, ad esempio, la sindrome di asperger, in effetti, gli esperimenti in tal senso finora condotti sembrerebbero indicare un ridotto funzionamento di questo tipo di neuroni nei bambini autistici, come mostrato da Baron-Cohen19. Benché per ora si tratti soltanto di un'ipotesi, essa potrebbe aiutare a comprendere perché le persone autistiche non partecipano alla vita degli altri, non riescono ad entrare in sintonia con il mondo che li circonda, non capiscono il significato dei gesti e delle azioni altrui.
Probabilmente non comprendono neppure le più comuni emozioni espresse dal volto e dagli atteggiamenti di coloro che li circondano: quello che per tutti è un sorriso, per loro potrebbe essere una semplice smorfia.
L'esistenza dei neuroni specchio prospetta la necessità di una profonda modifica nelle attuali concezioni riguardanti il modo di operare della nostra mente. Sicuramente tale scoperta implica un drastico ridimensionamento del modello di mente prospettato dalla psicologia cognitivista, basato sull'analogia funzionale con i calcolatori. Questo tipo di approccio concentra i propri sforzi soprattutto nel definire le regole formali che sarebbero alla base del funzionamento della mente, ignorando completamente il ruolo dell'esperienza corporea legata al comportamento motorio. I neuroni specchio implicano infatti l'esistenza di un meccanismo che consente di comprendere immediatamente il significato delle azioni altrui e persino delle intenzioni ad esse sottese senza porre in atto alcun tipo di ragionamento.
Le ricerche sui neuroni specchio sono ancora agli inizi, ma è probabile che - come osserva il neuroscienziato Vilayanur S. Ramachandran:
"I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il dna è stato per la biologia"Siamo di fronte ad una delle più importanti scoperte degli ultimi decenni, destinata ad avere profonde ripercussioni nel nostro modo di concepire la mente.
Il rapporto fra i neuroni-specchio e fatti psico-relazionali deve essere ancora molto approfondito sotto molti aspetti che implicano il simbolico, le emozioni, la rielaborazione mentale, i significati attribuiti alle emozioni altrui, il ruolo che il familiare e le culture hanno nel modellare e formare il sistema dei neuroni specchio. Quest'ultimo punto è particolarmente importante. L'attività dei neuroni-specchio richiama l'intersoggettività primaria, ovvero le prime capacità d'interazione che il bambino palesa e sviluppa nelle interazioni con le persone che si prendono cura di lui. In sostanza, i neuroni-specchio si costituiscono e si modellano durante e grazie a questa prima relazionalità fondamentale e, il discorso può essere allargato anche a tutte quelle esperienze relazionali significative, interne ed esterne, che l'uomo sperimenta nella sua quotidianità.
Verosimilmente alcune di queste cellule sono attive già in una fase precocissima della vita e facilitano le prime interazioni, ma gli scienziati credono che la gran parte del nostro sistema dei neuroni-specchio in realtà si formi nel corso di interazioni dello sviluppo. In questo campo di ricerca, particolarmente interessanti sono gli studi, come quelli di Candace Pert20, che negli anni '70 scoprì nel cervello umano i recettori per gli oppiacei, ed in seguito le endorfine. La quale segnalò la presenza di un più diffuso e parallelo sistema extra-sinaptico (neurotrasmissione peptidica) che rappresenterebbe il substrato biochimico delle emozioni. A tal proposito, così scrive la nota biologa:
"le ricerche svolte mi hanno dimostrato che quando le emozioni vengono espresse, vale a dire quando le sostanze biochimiche alla base delle emozioni fluiscono liberamente, tutti i sistemi sono integri e solidali. Quando invece le emozioni sono represse, negate, e si trovano nell'impossibilità di realizzare il loro potenziale, le vie della rete psicosomatica si ostruiscono, bloccando il flusso delle sostanze chimiche unificanti e vitali per il benessere vitale, che regolano tanto la nostra biologia quanto il nostro comportamento […] La maggior parte degli psicologi considera la mente come se fosse scissa dal corpo, un fenomeno che ha scarsi rapporti con il corpo fisico, ammesso che ne abbia. E viceversa i medici trattano il corpo come se non avesse alcun legame con la mente e le emozioni. Eppure il corpo e la mente non sono separati, e non possiamo curare l'uno senza l'altra. Le mie ricerche hanno dimostrato che il corpo può e deve essere guarito attraverso la mente, così come la mente può e deve essere guarita attraverso il corpo"L'autrice, infatti, ha più volte ribadito nei suoi lavori che le emozioni sono sia nel cervello che nel corpo e che si esprimono in entrambe biochimicamente attraverso i neuropeptidi, arrivando alla conclusione di non poter più operare una distinzione netta tra cervello e corpo:
"Se accettiamo l'idea che i peptidi e le altre sostanze informazionali siano la base biochimica delle emozioni, la loro distribuzione nel sistema nervoso ha una portata estremamente vasta, che Sigmund Freud, se fosse ancora vivo, sarebbe ben lieto di mettere in risalto come la conferma molecolare delle sue teorie. Il corpo s'identifica con l'inconscio! I traumi repressi causati da una sovrabbondanza di emozioni possono restare immagazzinati in una parte del corpo, influenzando in seguito la nostra capacità di percepire quella parte o addirittura di muoverla. Le nuove ricerche in corso suggeriscono l'esistenza di un numero quasi illimitato di vie attraverso le quali la mente cosciente può accedere all'inconscio e al corpo e modificarlo oltre a fornire una spiegazione per un certo numero di fenomeni sui quali i teorici delle emozioni stanno ancora meditando".Emerge chiaramente che lo sviluppo del sistema nervoso è un processo "esperienza-dipendente": nelle prime fasi di vita le relazioni significative sono la fonte primaria di esperienze che modulano anche l'espressione genica a livello celebrale. I rapporti con gli altri e con l'ambiente hanno un'influenza fondamentale sul cervello: i circuiti che mediano le esperienze sociali sono strettamente correlati con quelli responsabili dell'integrazione dei processi che controllano l'attribuzione di significato, l'organizzazione della memoria, nonché la modulazione delle risposte emotive e la regolazione delle funzioni dell'organismo, come vedremo nel prossimo capitolo riguardante gli effetti della deprivazione socio-sensoriale proprio durante la primissima infanzia.