Dall'Unità alla Grande Guerra: lo Sport si affaccia in Italia

Di Jordano Nardiello

Una successiva tappa evolutiva fu rappresentata dall'introduzione nel 1850-1851, da parte del comune di Torino, della ginnastica obbligatoria sia nelle scuole elementari che nei gradi superiori dell'istruzione.

Da pratica militaresca a disciplina scolastica

All'epoca dell'Italia pre-unitaria del XVIII secolo l'attività ginnica era pratica quasi esclusivamente riservata al settore delle esercitazioni militari ed era, per questo motivo, ritenuta valida solo ai fini addestrativi. Fu solo intorno alla metà del XIX secolo che si iniziò ad avvertire concretamente l'esigenza di considerare la pratica dell'educazione fisica come strumento per il miglioramento psico-fisico dei giovani e, per sancire tale mutamento di prospettiva, essa venne denominata ginnastica educativa. Tuttavia, fino ai primi del Novecento lo sport in Italia rimase un fenomeno piuttosto limitato, affermatosi in ritardo rispetto alle altre parti d'Europa, senza riuscire a penetrare effettivamente nell'immaginario della popolazione come fenomeno di costume ma rimanendo essenzialmente circoscritto ad una pratica d'élite piuttosto borghese.

Le prime manifestazioni di interesse per lo sport in Italia si registrano già sul finire del Settecento, sulla spinta delle nuove idee che dilagavano in Europa nel secolo dei Lumi. Tra i primi a trattare l'argomento si ritiene sia stato, a Napoli, Gaetano Filangieri 1 che, ispirato dal pensiero di Rousseau, dedicò un capitolo del quarto libro del suo celebre trattato Scienza della legislazione, all'attività fisica, affermando che lo sviluppo psico-fisico del fanciullo dovesse avvenire attraverso un abbigliamento adeguato, una cura particolare dell'igiene del corpo, un'alimentazione sana e, soprattutto, attraverso la pratica dell'attività fisica. Vincenzo Cuoco 2, assistente di Filangieri ed erede del suo pensiero, riteneva, inoltre, l'educazione letteraria incompleta se avesse difettato di una buona attività fisica e si fece responsabile dell'inserimento nei collegi napoleonici del meridione di corsi di scherma e di ballo. Naturalmente tale normativa non ebbe effetti massicci sulla popolazione poiché all'epoca i collegi, come le scuole di ogni ordine e grado, erano frequentati solo da allievi appartenenti ai ceti sociali più elevati.

Affinché l'interesse si spostasse da un'attività esclusivamente militare ad una civile, si dovette attendere il marzo del 1844 quando l'ex ufficiale il Conte Ernesto Ricardi di Netro 3, l'istruttore svizzero Rodolfo Obermann 4, il medico Luigi Balestra ed altre illustri personalità torinesi, fondarono, a scopo educativo, la Reale Società Ginnica, prima società ginnica fondata in Italia che rimase unica sino al 1860. L'aspetto marziale e quello educativo rappresentavano le caratteristiche principali del movimento ginnico italiano, nettamente distinto dalla pratica dello sport: non si concepiva ancora l'idea dello sport fine a se stesso né, tanto meno, quella dello sport come competizione. Una successiva tappa evolutiva fu rappresentata dall'introduzione nel 1850-1851, da parte del comune di Torino, della ginnastica obbligatoria sia nelle scuole elementari che nei gradi superiori dell'istruzione. Ciò suscitò l'interesse degli altri Stati che iniziarono progressivamente ad adeguarsi 5.

Il 13 novembre del 1859, in vista dell'unificazione dei singoli stati sotto il Regno di Sardegna, nacque l'esigenza di unificare la regolamentazione giuridica; venne pertanto emanata la Legge Casati 6 che, all'indomani dell'unificazione, fu estesa a tutta la penisola. Essa regolamentò la pubblica istruzione rendendo l'educazione fisica obbligatoria in tutti gli ordini e gradi di scuola ma la sua applicazione fu lenta e carente nelle diverse aree d'Italia, in particolar modo al Sud, dove le scuole, al momento dell'Unità, erano scarse specie perché dipendenti dai magri bilanci comunali, con limitato numero di maestri mal retribuiti e sforniti di licenza abilitante all'insegnamento. In termini logistici, poi, non si avevano edifici scolastici ed i locali di fortuna posti a disposizione, come dichiarò una Commissione statale, consistevano in

[…]aule o meglio stanzette senz'aria, senza luce, pregne d'umidità: accoglievano decine e decine di alunni che si accomodavano su misere panche a ripetere meccanicamente la misera lezione del misero maestro, il quale spesso non aveva modo di fornire loro né carta, né libri, né poteva eccitare la loro attenzione con tavole disegnate. 7

Si manifestarono, quindi, inevitabili inconvenienti relativi alla carenza di strutture adeguate e alla preparazione del personale docente 8. L'allora ministro dell'istruzione, Francesco De Sanctis 9, il grande maestro meridionale esule a Torino dopo la rivoluzione del 1848 e perciò accreditato presso Casa Savoia, cercò di ovviare al problema della preparazione degli insegnanti istituendo il primo corso magistrale di ginnastica educativa affidata allo stesso Rodolfo Obermann che, a tal fine, redasse anche un apposito manuale; nel 1862, vennero disciplinati i mezzi e i limiti del nuovo insegnamento e i programmi didattici da rispettare. I problemi organizzativi erano tuttavia lungi dall'essere risolti e numerose furono le critiche rivolte ad Obermann per la maniera militarista di istruire gli insegnanti. Con la circolare ministeriale del 1861-1862, il ministro De Sanctis fissava i punti chiave del nuovo insegnamento, cercando di rimuovere la tendenza dei singoli insegnanti a personalizzare i programmi,stravolgendoli; inoltre veniva introdotta una parziale moderazione della ginnastica militare usata a scopi pedagogici.

Ultimo gradino da superare rimaneva l'aspetto femminile dell'attività. Per parlare di educazione fisica femminile si dovette attendere il 1867 anche se, per alcuni, rimanevano numerose riserve sull'opportunità di allargare anche alle donne questa pratica. Obermann stesso scrisse un libro sul tema, dal titolo La ginnastica femminile. La riluttanza nei confronti dell'accesso femminile all'attività fisica parve progressivamente venir meno negli anni, come dimostrato dalla fondazione a Torino di una scuola normale di ginnastica preparatoria femminile, in cui non si parlava più di brevi periodi preparatori ma di corsi veri e propri della durata di 8 mesi, durante i quali si potevano apprendere numerose discipline.

Nel 1869 si assistette ad un'ulteriore tappa evolutiva della diffusione dell'attività sportiva in Italia con la nascita della Federazione Ginnastica Nazionale Italiana (FGNI) che raggruppava le società di tiro a segno, di scherma e i circoli ginnastici. La FGNI andò ad assumere una connotazione politica, ricoprendo un ruolo non trascurabile nella propaganda in favore delle prime imprese coloniali che allora l'Italia stava timidamente iniziando ad intraprendere. Nel 1882 l'Italia aveva acquistato la Baia di Assab e nel 1885 aveva conquistato Massaia, entrambe ubicate nel Mar Rosso, in Africa orientale.

Nel 1878 fu approvata la nuova Legge De Sanctis che sancì la prima cornice normativa organica dell'educazione fisica nel nostro paese: si ribadì l'obbligatorietà dell'insegnamento in tutte le scuole sebbene permanesse una connotazione militaresca intorno alla disciplina, soprattutto per quanto riguardava la formazione degli insegnanti. Tuttavia, tale provvedimento normativo stentò ad essere applicato a causa di una serie di impedimenti collegati con l'inadeguatezza dei fondi stanziati, la carenza di personale insegnante qualificato e, non ultima, la mancanza delle attrezzature tecniche più elementari. Per di più l'insegnamento scolastico dell'educazione fisica veniva impartito attraverso una metodologia poco accattivante, consistente nell'ossessiva ripetizione di esercizi a corpo libero o attraverso l'uso di attrezzi obsoleti e rudimentali, relegando la materia ad un insegnamento di seconda categoria, poco apprezzato dagli alunni e addirittura deriso dagli altri insegnanti. Solo l'anno seguente il ministro Coppino 10 introdusse nove scuole magistrali di ginnastica nei principali capoluoghi italiani, coordinate dall'Ispettorato Centrale di Ginnastica. Tali scuole furono, poi, sostituite dalla Regia Scuola normale di Ginnastica che ebbero dapprima sede a Roma e, in un secondo momento, si vide la nascita di altre due sedi distaccate, a Torino e a Napoli.

Dieci anni dopo, nel 1888, il ministro della pubblica istruzione Boselli, approvò tre importanti provvedimenti: istituì il ruolo organico degli insegnanti di educazione fisica; li equiparò, nel trattamento economico-giuridico, agli altri insegnanti e venne rielaborata e ribadita l'importanza sul piano pedagogico dell'educazione fisica.

Frattanto iniziava a farsi spazio una lenta mutazione del concetto di attività ginnastica in favore del moderno concetto di sport. Tale processo subì un'accelerazione attraverso la diffusione della pratica del ciclismo che, con le sue diverse sfaccettature legate, da un lato alla pratica dell'attività fisica e, dall'altro al puro piacere turistico di percorrere strade panoramiche, contribuì sensibilmente al mutamento di mentalità nei confronti dell'attività fisica. Nel 1885 nacque l'Unione Volocipedistica Italiana grazie alla quale, il passaggio ad una connotazione più agonistica del "pedalare" fu breve poiché l'organizzazione nel 1903 del Tour de France, rappresentò un esempio di competizione che entusiasmò gli italiani al punto di favorire la nascita, nel 1909, del Giro d'Italia.

Nel 1900 si tenne a Parigi un congresso, seguito da un altro a Napoli, sull'importanza didattica dell'educazione fisica. Il quadro che ne emerse spinse a svolgere un'inchiesta per verificare lo stato di attuazione della Legge De Sanctis. Di sicuro non un quadro rassicurante poiché si dovette constatare una sostanziale erronea applicazione della legge. Affiorò la necessità di adeguare le strutture e aumentare il numero di ore settimanali riservate all'esercizio dell'educazione fisica. Di conseguenza vennero istituiti la Federazione Nazionale Scolastica e l'Istituto Nazionale per l'incremento dell'Educazione Fisica in Italia. L'opera di questo istituto si profuse favorendo la promulgazione, il 21 dicembre 1909, della Legge Rava-Daneo, che mise ordine nella materia, ribadendo l'obbligatorietà dell'insegnamento dell'educazione fisica in tutti gli ordini di scuola e dettando le regole del suo insegnamento, le ore da dedicarvi, l'obbligo gravante sui comuni di costruire strutture adeguate, la formazione degli insegnati. Tale legge, che pose l'Italia all'avanguardia rispetto alle altre nazioni europee, venne quasi completamente disattesa, per fare spazio ad un evento di portata assai maggiore: la Prima Guerra Mondiale 11).

Si sarebbe ricominciato a parlare di educazione fisica con la fine della guerra, con l'indizione di un nuovo congresso a Torino, dal quale emersero tre diverse linee di pensiero: ci fu chi propose di scindere l'educazione fisica dal ministero della pubblica istruzione, al fine di farla gestire da un ente sotto il controllo ministeriale; posizione fortemente avversata da chi, invece, riteneva doveroso garantire all'educazione fisica un posto a pieno titolo accanto alle altre discipline scolastiche; altra linea di pensiero era quella dell'On. Gasparotto, ministro della guerra che auspicava che tale disciplina passasse sotto la tutela del suo ministero.

Tuttavia, nonostante gli sforzi profusi dai governi post-unitari,agli inizi del Novecento la situazione delle province dell'ex Regno delle Due Sicilie, era alquanto disastrosa, soprattutto in Basilicata: è evidente che in una così estrema situazione di crisi economica e culturale, l'investimento in beni considerati voluttuari e superficiali come la scuola e l'attività sportiva, non era considerato.