Lo scontro con la visione della Chiesa

Di Jordano Nardiello

La politica sportiva del regime incontrò lo scontento della Chiesa che dimostrò di non gradire la concezione fascista dello sport. Da ciò scaturirono condannabili restrizioni alla figura della donna nello sport.

La politica sportiva del regime incontrò lo scontento della Chiesa che dimostrò di non gradire la concezione fascista dello sport. È innegabile, infatti, che una certa avversione della curia, per quanto riguarda la diffusione dell'attività sportiva nelle scuole, sussisteva da decenni poiché la Chiesa, inasprita dalla Questione Romana e dal fatto che nel 1870 lo Stato aveva reso facoltativo l'insegnamento della religione nelle scuole, aveva in varie maniere contribuito a boicottare l'introduzione della ginnastica negli istituti confessionali e a sensibilizzare l'opinione pubblica cattolica in tal senso. In epoca fascista, la concreta manifestazione di tale dissenso fu espressa da Papa Pio XI nell'enciclica Rappresentanti in Terra, diffusa il 31 dicembre 1929, in cui si prendevano le distanze da una visione dello sport, quella fascista, esasperatamente materiale, incurante dei più elementari principi morali e proiettata, invece, verso un insano agonismo.

Lo scontro più acceso si ebbe tra regime fascista e FASCI. Dal 1923 la storia delle FASCI divenne definitivamente la storia di un élite dirigenziale che affrontava una disperata lotta per la sopravvivenza con il coraggio e la spregiudicatezza di chi, isolato einerme, non aveva più nulla da perdere. La prima violenta polemica aveva come bersaglio l'istituzione dell'ENEF, ritenuta lesiva della libertà individuale e della libertà di associazione. 1 Al Convegno nazionale per l'educazione fisica scolastica, promosso dall'Azione Cattolica il 27 maggio 1923 a Roma, i rappresentanti della Gioventù Cattolica e dell'Associazione Scoutistica Cattolica Italiana assicurarono alle FASCI tutto il loro appoggio. 2 Troppo tardi, commentarono i responsabili della Federazione Sportiva Cattolica:

La FASCI ha fatto quanto in suo dovere prima di tutti, per far presente ai dirigenti l'Azione Cattolica la necessità di studiare la situazione per fronteggiarla.Essa è qui sola, sola purtroppo nel campo cattolico, per difendere i diritti dei giovani nostri. Arriverà dove potrà […] (3).

L'istituzione dell'Opera Nazionale Balilla, per l'assistenza e l'educazione fisica e morale della gioventù, ufficializzata nell'aprile del 1926, ridusse ulteriormente i già ristretti spazi di manovra dell'associazionismo sportivo cattolico, costretto ad erigere l'ultimo baluardo sul terreno specifico dell'attività ginnico-sportiva. In questo campo l'opposizione al modello sportivo che il Fascismo stava gradualmente elaborando era ferma ed irrinunciabile, dal momento che, sosteneva Cesare Ossicini:

Quando tutta una rete di interessi, d'affari, d'ambizione prende nelle sue maglie la gioventù d'Italia in nome dello sport, quando per il materialismo sportivo si trascurano le anime per fortificare soltanto i corpi, allora l'educatore cattolico ha il diritto di gettare il grido d'allarme (4).
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Sotto accusa sono quindi:

lo sport fine a sé stesso che mette non lo spirito sopra la materia ma la materia sopra lo spirito, lo sport che esalta la morbosità amorale, la forza bruta, la competizione fine a sé stessa , i particolarismi regionalistici, lo sport che delle squadre ginnastiche si serve per organizzazioni ad esclusivo fine politico, lo sport affaristico che conduce alla selezione dei campioni, atleti pagati profumatamente senza alcun pudore morale, saltellanti senza risparmio tra football e gli ambulatori di malattie celtiche, idoli di folle con occhi pieni di odi e rancori, pronte alle revolverate (5), alle bestemmie turpi, ai gesti osceni (6).

Con la legge istitutiva dell'ONB e del suo regolamento d'esecuzione, del 12 gennaio 1927, si sanciva il divieto di costituire nuove associazioni giovanili e si decretava lo scioglimento di quelle esistenti in località non capoluoghi di provincia, con una popolazione inferiore ai ventimila abitanti, coinvolgendo anche la Federazione Sportiva Cattolica: la FASCI era in tal modo ufficialmente disciolta.

Un altro aspetto su cui si accan particolarmente la Chiesa fu quello legato alla pratica dell'attività sportiva da parte delle donne, nella quale il Vaticano ravvisava i rischi di una mascolinizzazione del corpo femminile, destinata a nuocere alla primaria funzione riproduttiva della donna. In generale, per quanto concerne il ruolo della donna nello sport italiano, nel periodo precedente il Fascismo, l'educazione fisica femminile era tendenzialmente avversata per ragioni di conservatorismo e ristrettezza di vedute in quanto era nozione piuttosto diffusa la convinzione dell'inadeguatezza fisiologica della donna alla pratica sportiva. Lo stesso movimento femminista italiano non dimostrò interesse per le attività ginniche, privando del proprio ausilio le rivendicazioni delle prime atlete italiane. Con l'avvento del Fascismo, si diffuse la convinzione che l'attività sportiva avrebbe reso la donna più sana e soprattutto più forte e, di conseguenza, capace di dare alla patria figli robusti e vigorosi. Alcune istituzione, tra cui la FIAF (Federazione Italiana Atletica Femminile) fondata nel 1923 e l'Accademia femminile di educazione fisica fondata nel 1932 con sede ad Orvieto, dimostrarono da subito questo rinnovato interesse per l'atletismo femminile. Con l'approvazione della Carta dello Sport, avvenuta nel 1928, il settore femminile passò anch'esso a pieno titolo sotto il controllo del CONI, che era ormai completamente fascistizzato e , in tale cornice, lo sport femminile continuò ad essere regolarmente praticato sino al 1930.

Conseguentemente alla stipula del concordato con la Chiesa (Patti Lateranensi, 1929), il Fascismo si scontrò apertamente con la visione del Vaticano che considerava lo sport d'ostacolo al matrimonio e alla maternità. Il Papa Pio XI tentò di sensibilizzare gli ambienti cattolici esprimendo a chiare e decise note il proprio dissenso verso l'eccesso di esaltazione delle prestazioni fisiche, ritenuto precursore di una degenerazione dei costumi. Fu la grande influenza della Chiesa sulle masse cattoliche a costringere il regime a cedere su alcuni punti, delegando ad una seduta del Gran Consiglio del Fascismo avvenuta nel 1930, la fissazione di regole in materia. Da ciò scaturirono condannabili restrizioni alla figura della donna nello sport e la delega alla Federazione Medici Sportivi della fissazione dei limiti dell'attività sportiva consentita al gentil sesso. Di conseguenza non si parlò più di sport vero e proprio ma di semplici attività moderatamente sportive, dovendo il Fascismo cedere alla visione della Chiesa che vedeva lo sport come un qualcosa di dannoso per la salute della donna.

La Gioventù Italiana del Littorio tentò di rivoluzionare l'approccio che si andava diffondendo in ottemperanza ai precetti del Vaticano, affermando e diffondendo il concetto per cui il popolo avrebbe dovuto essere forte non solo grazie agli uomini ma anche grazie alle donne. Tuttavia la critica della Chiesa non si esauriva qui. Il Vaticano, alla polemica che avvalorava la tesi sui rischi fisiologici dello sport sulle donne, affiancava una aperta ostilità nei confronti dell'atletismo femminile ritenuto contrario alla pubblica decenza a causa degli abiti succinti che le atlete indossavano, delle pose scomposte e delle movenze che esse assumevano, in grado di evidenziare le linee del corpo 7.

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