Prima di addentrarci nella dimensione pedagogica dello sport è bene chiarire il significato di sport. Tale parola sembra di derivazione latina (derivando dal verbo latino deportare, nel senso di svagarsi fuori dalla città) e romanza (dal francese antico desport, c sport, parola che si diffonderà in Occidente con significato di attività di svago di carattere intellettuale e ludico-pratico.
Il concetto di sport ha in sé due caratteristiche fondamentali:
La pedagogia sportiva si occupa dell'educazione dell'uomo a partire dai significati dello sport, inoltre tenta di aiutare la persona umana a sviluppare le proprie capacità. Bisogna sempre tener presente che lo sport è un fenomeno complesso, mutevole ed indefinibile sotto un unico punto di vista scientifico e che la pedagogia dello sport tenta di definirne i valori, l'etica e i problemi morali in relazione ai condizionamenti economici e culturali della società moderna.
La pedagogia dello sport ha la funzione principale di definire le linee guida e di vigilanza critico-riflessiva per quanto riguarda i problemi dello sport. Inoltre richiama continuamente alla dignità umana e alla sua coscienza attraverso l'educazione del corpo, configurando tale scienza come un osservatorio etico i cui strumenti di lavoro principali sono l'uomo come individuo da educare, e lo sport come strumento di educazione.
Il suo campo di interesse è molto vasto se si considera lo sport come fenomeno culturale della società portatore di notevoli implicazioni per l'uomo. Attualmente trovano interesse nei ricercatori campi di studio che affrontano problemi etici e culturali, di qualità della vita, di integrazione sociale, di comunicazione nella società globalizzata. Tra le principali questioni che vengono trattate dalla pedagogia sportiva vi sono quelle legate allo studio dei valori sportivi e, come descritto in precedenza, quelle che riguardano il corpo, il movimento e il gioco.
È un dato di fatto che oggi la pratica dello sport porti con sé numerosi valori desiderabili (cooperazione, vita sana, socializzazione, autocontrollo) e che funga da antidoto nei confronti di pericoli sociali (consumo di droga, delinquenza, prevenzione del disagio, ecc.), però va tenuto in considerazione che non sempre la pratica sportiva rappresenta la promotrice di valori. Per questo motivo lo sport viene definito oggi ambiguo nella trasmissione di valori. Tale ambiguità rende complesso il discorso su di esso nella società contemporanea, così permeata dal profitto e dal denaro.
Nello sport esistono tre tipi di valori:
I valori puri dello sport sono rappresentati da tutti quei valori positivi i quali garantiscono il rispetto della dignità della persona, contribuiscono al suo sviluppo individuale e a quello della convivenza umana. Essi rappresentano il punto di partenza, il mezzo e il fine dell'educazione sportiva e comprendono, aa esempio: salute e benessere, ludicità, pace, socializzazione, lealtà, creatività motoria, autocontrollo.
I disvalori vengono trasmessi dallo sport quando si entra in contesti che perdono tutte le intenzioni educative. Questi disvalori rappresentano l'insieme dei contenuti negativi che lo sport può veicolare evitando in questo modo lo sviluppo della persona e la sua convivenza pacifica nella comunità umana. Alcuni disvalori possono essere rappresentati da: violenza, narcisismo, consumismo, sessismo, razzismo.
I valori misti racchiudono tutti quei valori neutri che possono essere valori puri o disvalori a seconda del modo in cui vengono presentati e fatti evolvere dagli agenti educativi. Tali valori possono essere: la vittoria, il premio, la competizione, la salute e il benessere, l'identificazione con i grandi atleti. Ad esempio la competizione diventa valore quando viene inteso nel suo senso originario (dal latino cum-petere, ossia "ricercare insieme", "incontrarsi" o "tendere insieme verso una meta" ). In questo modo si può parlare di confronto e non di scontro, dialogo rispettoso tra due parti pronte a condividere il risultato finale.
La pedagogia dello sport interpreta il corpo come "qualcuno" che deve essere educato, come un'entità composta da diversi livelli di complessità (biologica, psichica, sociale, ecc.). Il corpo viene visto come sistema "integrale" inseparabile dall'esperienza stessa della persona. Per questo motivo la pedagogia dello sport può essere intesa come quella scienza che studia come e con quali mezzi educare l'uomo, cercando di umanizzarlo tenendo conto dei fattori interni (psicologici, culturali, ecc.) ed esterni (sociali, politici, ecc.) che agiscono sul corpo umano e dei risultati che producono (l'educazione).
In definitiva possiamo affermare che l'uomo è un'entità corporea che deve essere sviluppata e ciò avviene anche e soprattutto attraverso l'educazione la quale permette l'evoluzione da essere meramente biologico ad essere culturale attraverso la relazione dinamica che avviene tra il corpo di un educatore che interagisce con il corpo di un educando.
Sin dalla nascita assume un significato estremamente importante per l'uomo dato che esprime la sua necessità di essere, esistere e comunicare rappresentando in questo modo una dimensione sostanziale per l'umanità. L'essere umano vive con il proprio movimento corporeo e attraverso di esso si evolve essendo egli stesso una realtà in movimento e non statica. Infine si può affermare che è attraverso i movimenti e le azioni del corpo che l'essere umano riesce ad esprimere la propria voglia di vivere.
Esso è un attività fine sé stessa, perseguita per puro piacere ma di grande importanza nello sviluppo dell'apprendimento. Infatti le abilità che nascono nell'essere umano e di cui danno prova quando agiscono sul serio ad esempio nel lavoro, sono state acquisite in forma di gioco. Data questa sua importante caratteristica, il gioco dovrebbe essere sviluppato e favorito in tutte le età della vita per far si che l'apprendimento non cali mai ma piuttosto si potenzi portando all'acquisizione di nuove conoscenze. Oltre a ciò il gioco rappresenta per l'uomo un occasione di trascendimento/superamento delle regole portandolo all'espressione della propria creatività.
Inoltre non bisogna dimenticare la fondamentale distinzione tra le parole inglesi play e game. Mentre con il termine play si da un significato ricreativo del giocare intendendolo in contrasto con il lavoro, il termine game rappresenta la forma del gioco, ovvero il gioco caratterizzato da regole.
Ma la vera differenza tra i due termini sta nella presenza del risultato: nel game compare sempre un risultato (vincitori e perdenti) che proviene dal sistema di regole adottato, mentre nel play non esiste un sistema di regole dato che il suo scopo non è utilitaristico ma piuttosto ricreativo.
Ideologicamente il Kung Fu di Okinawa si è sempre schierato dalla parte dell'arte marziale tradizionale, distaccandosi invece dalle competizioni sportive. Questo perché secondo la mentalità tradizionale partecipare a gare e competizioni sportive significherebbe limitare la persona nell'uso delle tecniche (e di conseguenza nell'espressione del suo spirito) e inoltre viene ritenuto superfluo e in alcuni casi dannoso il riconoscimento di vittorie conseguite nelle competizioni, per la formazione della persona.
Eppure nonostante ciò il rapporto tra questo stile e lo sport agonistico è sempre stato molto stretto, basti pensare ai numerosi allievi del maestro fondatore John Armestead, i quali sono diventati famosi campioni di numerosi sport di combattimento.
Per riuscire a capire questo rapporto stretto bisogna partire da prima che il Kung Fu di Okinawa approdasse in Italia, ovvero il periodo della diffusione del Karate. Il Karate in Italia inizia nel 1965 quando, chiamati dal maestro Roberto Fassi, arrivarono a Milano quattro maestri della JKA del Giappone: Kase, Enoeda, Kanazawa, Shirai. I primi tre avevano già firmato dei contratti, rispettivamente con le federazioni belga, tedesca ed inglese, quindi l'unico libero era H. Shirai, nato il 1937 a Nagasaki, V dan a 28 anni e campione del Giappone nel 1962. Shirai si fermò a Milano formando formidabili atleti capaci di vincere sui tatami di tutto il mondo, creando in questo modo un movimento che si diffuse come un'onda in tutta Italia.
>Shirai, tuttavia, portò dal Giappone non solo il Karate sportivo, ma anche una filosofia del Karate che in Italia determinò un contrasto tra i Karateka puristi-tradizionalisti che praticavano il Karate come era storicamente conosciuto e tramandato dai maestri del Giappone e quei praticanti che volevano un Karate più orientato verso lo sport e le gare occidentali.
Tali divergenze non hanno comunque condizionato la diffusione di tale disciplina in Italia.
Sei anni dopo nasce il Kung Fu di Okinawa in Italia, il quale possedeva l'eleganza del Kung Fu cinese e la potenza del Karate giapponese. Inizialmente i primi allievi che si dedicarono alla pratica di questo stile incuriositi dalla sua completezza nel comparto tecnico furono senz'altro ex praticanti di Karate o di judo, le due arti marziali più diffuse in Italia in quel periodo. Essendo queste due arti marziali già riconosciute a quei tempi come sport è facile immaginare l'influenza dello spirito agonistico nella tradizione del Kung Fu di Okinawa.
Ma paradossalmente molti praticanti che passeranno per questa arte marziale non si dedicheranno alle competizioni degli sport che avevano praticato piuttosto, ampliando il loro bagaglio tecnico, diventeranno campioni soprattutto di due nuovi stili che cominceranno a prendere piede: il Full Contact e la Kick boxing.
Con gli anni il Kung Fu di Okinawa in Italia si è sempre più diretto verso lo stile del Karate tradizionale (Karate-do) portando con sé anche le sue caratteristiche che lo distinguono dal Karate sportivo. Il Kung Fu di Okinawa si distacca dalla competizione sportiva soprattutto come portatore di una cultura differente, caratterizzata da una propria filosofia di vita, concezione del mondo e dell'esistenza e da elementi psicologici che si instaurano nel praticante.
Nel Kung Fu di Okinawa la pratica si riempie di significati esistenziali che per la persona rappresentano elementi fondamentali di espressione mentale, fisica e spirituale. La differenza tra Kung Fu di Okinawa e l'ambito sportivo sta soprattutto nel significato che acquisisce la tecnica, un significato che riguarda lo status psicologico culturale della concezione e della pratica di questa disciplina.
Infatti, la diversa esecuzione e comprensione della tecnica genera ed evidenzia un diverso modo di essere, di sentire e di comportarsi. Un'altra fondamentale differenza tra l'ideologia del Kung Fu di Okinawa e quella sportiva la troviamo nella diversa percezione del corpo e nell'immagine di sé che ne consegue. Questa differenza è ben riportata dall'esempio che il maestro Carmine Grimaldi fa spiegando l'esecuzione di una tecnica di Karate tradizionale (la quale si ritrova nel bagaglio tecnico che fa parte del Kung Fu di Okinawa) e la stessa tecnica eseguita nel Karate sportivo:
"La tecnica di pugno giaku-zuki (pugno diretto) richiede per il Karate tradizionale che la pianta del piede sia completamente poggiata a terra così che l'energia partendo dal contatto con il terreno viene incrementata dall'uso del bacino e poi dall'arto superiore fino all'impatto del pugno col bersaglio.In definitiva il Kung Fu di Okinawa attiva il corpo in modo diverso rispetto a qualsiasi altro sport di combattimento, generando di conseguenza una diversa immagine della propria persona, ed inoltre adotta diverse regole e sistemi culturali per dargli un significato. Bisogna tener presente anche le differenze di allenamento, di concezione della vita dei valori spirituali infatti lo sport promuove l'educazione psicologica, la socializzazione, la cultura della competizione senza violenza, ma resta comunque in un'altra dimensione rispetto al Kung Fu di Okinawa.
Infatti come detto in precedenza l'ambito sportivo coesiste con questa disciplina: è importante per lo sviluppo della persona, ma lo è ancora di più per lo sviluppo dell'atleta nel comparare il suo livello di pratica marziale con quello degli altri.
Infine un'altra importante differenza tra Kung Fu di Okinawa e sport riguarda il mezzo per conseguire la vittoria, ed è la diversa concezione della relazione tra corpo e mente. Nella sfera sportiva il corpo resta separato dalla dimensione mentale e inoltre ha il sopravvento su quest'ultima, nel Kung Fu di Okinawa invece la dimensione mente e quella corpo coesistono sullo stesso piano.
Sebbene, come abbiamo potuto osservare, troviamo diverse contrapposizioni tra arte marziale tradizionale e sport da combattimento, bisogna riconoscere allo sport non pochi pregi nello sviluppo ed organizzazione delle arti marziali stesse e nella formazione della personalità. In questo contesto, per riuscire a fare più chiarezza, ci viene in aiuto la pedagogia dello sport, la quale ha il vantaggio di esprimere due concetti fondamentali:
Molti ricercatori inglesi hanno studiato l'importanza dell'allenatore visto non solo in prospettiva tecnica e tattica ma soprattutto educativa. L'allenatore infatti trasmette attraverso i suoi comportamenti, valori, ideologie, opinioni alla squadra. Egli diviene educatore a tutti gli effetti quando riesce a tirare fuori il massimo rendimento attraverso il gioco e attraverso l'espressione dei valori personali dei suoi giocatori, inoltre sa organizzare un sistema che responsabilizza il gruppo verso obiettivi predisposti.
Soprattutto se si parla di valori, il contributo dell'allenatore è essenziale. Egli infatti dovrebbe avviare una metodologia di sviluppo dei valori personali e sociali, presupponendo che la vittoria di una partita non rappresenta la finalità del gioco. L'allenatore deve cercare di far capire ai giocatori che la pratica sportiva è una pratica umanizzante che viene applicata contro i valori dominanti nella società (disvalori).
Inoltre deve assumere un ruolo autorevole (non autoritario) nei confronti degli atleti in rappresentanza dell'importanza che ha il suo difficile ruolo. L'allenatore si identifica con l'educatore nel momento in cui i suoi atleti lo rappresentano come un insegnante che motiva, consiglia e rappresenta un modello di comportamento. Da questo presupposto possiamo affermare che l'allenatore dovrebbe svolgere il ruolo di maestro.
Ciò significa che egli elabori le attività in maniera consapevole, avviando tecniche educative di motivazione che sviluppino la comunicazione nel gruppo che si viene a formare. Non meno importante risulta essere l'analisi del termine "allenare" inteso in senso pedagogico che rimanda a concetti di "accompagnamento", "sforzo", "abitudine", "comunicazione", "metodo", "obiettivo", "motivazione". Anche la relazione educativa che si sviluppa tra lo sportivo-atleta e il suo allenatore risulta importante per tirar fuori dallo sportivo il meglio di sé.
Infine è bene sempre ricordare che
"l'allenatore non deve mai anteporre il risultato alla persona e deve sempre concentrare i suoi sforzi e la sua attenzione sui processi di apprendimento e non sul risultato di una partita"