Chi fa sport, e ci tiene a farlo al massimo delle proprie capacità, non può fumare: il fumo, infatti, incidendo negativamente sul fiato e il rendimento muscolare, è causa di un minore rendimento sportivo.
Purtroppo però i grandi eventi sportivi diventano per le multinazionali del tabacco un potente canale pubblicitario. Le marche di sigari e sigarette sulle magliette degli sportivi e negli spazi pubblicitari degli stadi sono portatrici di veri e propri messaggi subliminali per gli spettatori seduti sugli spalti e per quelli incollati agli schermi televisivi.
Veniamo indotti a credere che il fumo non sia poi così pericoloso se è una competizione sportiva a farsene promotrice. La verità, invece, è che fumo e sport sono inconciliabili, per due ordini di motivi. Perché il fumo altera pesantemente ogni performance sportiva e perché "l'esercizio fisico non protegge in alcun modo dal rischio che un fumatore abituale ha di ammalarsi di cancro al polmone".
Ma le cose stanno cambiando. Il mondo dello sport ha capito di poter vivere anche senza i soldi delle multinazionali del tabacco, e di poter fare molto per il bene delle future generazioni. Dando di sé un'immagine pulita, senza lasciare spazio a mistificazioni e superficialità. Per questo nel corso degli anni le federazioni sportive hanno promosso manifestazioni e campagne contro il fumo e i "divi" dello sport si sono fatti ambasciatori di uno stile di vita "smoke-free".
Gli effetti sulla prestazione sportiva del fumo sono stati calcolati da uno studio pubblicato nel 1988 da Preventive Medicine.
Gli scienziati non hanno dubbi: la resistenza alla corsa, ad esempio, è notevolmente inferiore nei fumatori rispetto ai non fumatori (per ogni sigaretta fumata il tempo per completare la corsa aumenta di 40 secondi, fumare 20 sigarette ogni giorno rende gli atleti più vecchi di 12 anni quanto a capacità atletiche). In altre parole, chi fuma e ha 30 anni corre come una persona che ne ha 42.
Il fumo quindi altera negativamente la perfomance sportiva perché provoca un decremento della capacità polmonare e della forza muscolare. Gli effetti del tabacco sono gli stessi nei dilettanti e nei professionisti. Sono però più spiccati nei soggetti non allenati. E derivano da due componenti: la nicotina e il monossido di carbonio (un gas incolore prodotto dalla incompleta combustione delle foglie di tabacco).
La nicotina, che determina l'aroma del tabacco e che è responsabile della dipendenza del fumatore, aggredisce soprattutto l'apparato cardiocircolatorio, provocando una riduzione delle dimensioni dei vasi sanguigni periferici e causando l'aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, dell'eccitabilità del miocardio e quindi dell'incidenza di cardiopatie ischemiche.
Per capire gli svantaggi che si riversano su chi pratica sport, basti pensare che l'allenamento (soprattutto quello delle discipline aerobiche) provoca esattamente l'effetto opposto e che esiste un doping basato su farmaci metabloccanti, farmaci cioè che abbassano la frequenza cardiaca. La nicotina, inoltre, non favorisce nemmeno la destrezza e la concentrazione dell'atleta. Per quanto stimoli il sistema simpatico, non agisce al pari di un farmaco psicoattivo.
Infatti, a differenza della caffeina, che svolge un'azione specifica di eccitazione sul sistema nervoso centrale, la nicotina colpisce in special modo l'apparato cardiocircolatorio. Il monossido di carbonio sottrae ossigeno al sangue, inducendo effetti negativi sui tessuti. Una volta inalato, infatti, si combina, a livello alveolare, con grandi quantità di emoglobina, la proteina che trasporta l'ossigeno, riducendo, perciò, l'ossigeno disponibile. Tanto è vero che, anche in questo caso, esiste una forma di doping a base di farmaci in grado di aumentare la quantità di ossigeno nel sangue. Inoltre, proprio nei tessuti, il monossido di carbonio si lega con la mioglobina, proteina indispensabile alla contrazione muscolare. Si può riassumere, a questo punto, operando una distinzione tra gli effetti a breve termine e quelli a lungo termine del fumo di sigaretta. Nel primo caso si tratta di sintomi reversibili dopo alcune settimane dal momento in cui si smette di fumare, nel secondo invece gli effetti possono essere più duraturi.
Lo sport ha lo stesso effetto di stimolo dei mediatori del benessere e serve per resistere alle crisi di astinenza.
È un aneddoto che, come tutti quelli che si tramandano, nasconde all'origine il suo briciolo di verità. Secondo una leggenda risaputa tra chi si occupa di lotta al fumo, mezzo secolo fa le spedizioni alpinistiche reclutavano i partecipanti tra i fumatori, perché si riteneva avessero una maggiore attitudine e consuetudine alla carenza di ossigeno.
Il dettaglio verosimile ed interessante della vicenda è la mentalità che si può leggere tra le righe dell'episodio. La convinzione che l'attività fisica possa controbilanciare i danni dal fumo è dura da combattere.
È vero l'esatto contrario: i fumatori sono penalizzati in partenza perché il monossido di carbonio (CO: prodotto della combustione come il gas di scarico delle automobili) riduce l'ossigenazione del sangue, provoca un incremento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa e riduce la capacità respiratoria complessiva.
L'attività fisica, al contrario, diventa fondamentale quando si è deciso di smettere perché il movimento da un aiuto immediato e apporta una serie di benefici. Dopo 2 soli giorni dall'ultima sigaretta, la nicotina ed i suoi metabolici spariscono dall'organismo, ma già dopo 12 ore i polmoni funzionano meglio.
Lo sportivo ha l'immediata consapevolezza che c'è in atto un miglioramento e questo rinforza la sua decisione e lo aiuta a perseverare.
Inoltre la produzione di endorfine, stimolata dall'attività fisica, può aiutare ad arginare la mancanza di fumo; infatti lo sport ha lo stesso effetto di stimolo dei mediatori del benessere e serve per resistere alle crisi di astinenza.
Numerosi sportivi Hanno acceso la loro prima sigaretta in vista del loro debutto agonistico. E questo per due ragioni: i cattivi esempi e la pubblicità. È difficile educare un giovane a non fumare se lo stesso allenatore in panchina scarica la tensione fumando. Il potere deduttivo della pubblicità, invece, è stato dimostrato da una ricerca inglese che ha evidenziato come il numero dei ragazzi fumatori fosse quasi il doppio tra i giovani tifosi di F1 rispetto ai compagni appassionati di altri sport. Offrire ai gruppi sportivi giovanili la possibilità di un monitoraggio del monossido di carbonio (CO) sugli atleti, potrebbe essere uno screening che, ripetuto nel tempo, completerebbe la visita medico sportiva e aumenterebbe l'efficacia degli interventi di prevenzione.
Durante la visita sportiva una delle prove classiche è la misurazione della capacità respiratoria. Questo fatto, unito ad altre credenze comuni, fa spesso pensare al runner che quanto maggiore è la capacità respiratoria tanto maggiori sono le prestazioni del soggetto.
Ancora una volta ricordiamo che la capacità respiratoria non è il collo di bottiglia del runner e che molti maratoneti hanno capacità respiratorie vicine a quelle di sedentari.
È importante perciò capire per quale motivo si misura la capacità respiratoria. Il motivo è riassumibile nel terribile acronimo inglese COPD, Chronic Obstructive Lung Disease, in italiano Sindrome Ostruttiva Cronica.
Raggruppa una serie di patologie caratterizzate dalla difficoltà di veicolare l'aria nelle vie aeree. Nei paesi industrializzati è la quinta causa di morte e la seconda di malattia. La causa principale è rappresentata dal fumo di sigaretta (attivo o passivo).
Le varie patologie vanno dalla semplice bronchite cronica alla fibrosi cistica (malattia genetica; originariamente si parlava di fibrosi cistica a livello del pancreas, ma successivamente il termine è rimasto anche quando il quadro patologico è respiratorio) e all'enfisema.
Quando la COPD è dovuta la fumo e il soggetto non adotta contromisure efficaci (la più logica sarebbe smettere, ma anche l'esercizio fisico frequente e una buona terapia a base di antiradicali liberi possono dare risultati se non si superano le 10 sigarette al giorno: si deve ricordare che una sigaretta "brucia" 30 mg di vitamina C al giorno) è chiaro che anche la prestazione atletica ne risente. Per quanto detto nella premessa, il calo delle prestazioni in relazione al fumo avviene solo quando la situazione è compromessa.
Infatti in gioventù la diminuzione della capacità polmonare non viene avvertita come penalizzante (a meno di patologie acute come bronchiti frequenti) perché è una risorsa ridondante: l'atleta ha talmente tanto fiato che può sprecarne un po' fumando.
La situazione degenera con l'età quando la "riserva" d'ossigeno comincia a scarseggiare. Tenuto conto che dopo i 35 anni, se non si adottano terapie anti-età, si peggiora comunque mediamente di 1"/km all'anno, i danni da fumo possono essere espressi da una semplice formula:
dove N è il numero delle sigarette fumate giornalmente, E è l'età.
Per esempio con N=10 ed E=45 si ottiene 10/20*((45- 20)/7)2 cioè 0, 5*(25/7)2 = 6,4"/km circa (che devono essere aggiunti al peggioramento dovuto all'età).
Se il soggetto fuma 20 sigarette al giorno, a causa del fumo perde nel tempo: a 20 anni - 0"/km a 30 anni - 2"/km a 40 anni - 8"/km a 50 anni - 18"/km a 60 anni - 32"/km a 70 anni - 51"/km. come si vede la progressione è particolarmente invalidante con l'età.
A questo dato occorre aggiungere il contraccolpo psicologico di molti runner fumatori che non riescono a capire come dopo i 45 anni le loro prestazioni crollino di anno in anno. Anziché dare la colpa alle sigarette la danno all'età, al naturale (secondo loro) invecchiamento e abbandonano lo sport, aggravando ulteriormente la situazione.
Dopo 3 gg. dall'ultima boccata la respirazione diventa più facile e dopo soli 3 mesi la respirazione migliora del 5-10%.