Ho più volte ribadito l'importanza di lasciarsi ispirare, nel proprio ambito professionale, da concetti che traggono ispirazione da settori differenti o magari affini, per evitare una applicazione del proprio lavoro sempre uguale a sé stesso (e agli schemi adottati da tutti gli altri).
Le considerazioni che sto per proporvi nascono dallo studio del metodo Carli-Paniccia, che ho ritenuto di adattare dall'ambito della psicologia clinica a quanto accade quando ci si affida ad un professionista del fitness.
Il modello, denominato dell'analisi della domanda, verte sulla sospensione dell'agito: ossia sull'evitare al primo incontro col cliente di precipitarsi a elaborare un programma di allenamento, sia pure dopo una anamnesi e una valutazione antropometrico-funzionale (a dire il vero molto spesso ignorate ancora oggi), soffermandosi ad analizzare più nel dettaglio quali sono i reali motivi che hanno portato il cliente a chiedere il supporto del professionista.
L'analisi della domanda implica la capacità di andare oltre quanto semplicemente richiesto verbalmente, e ancor di più oltre quanto individuato dalle valutazioni oggettive, ma lasciando emergere elementi che riguardano aspetti del sé, della propria relazione con il contesto, delle emozioni e delle aspettative con le quali il cliente giunge dal professionista. Elemento che, per estensione, riguarda tutti coloro che operano nell'ambito del fitness.
Quando ci si reca in palestra per la prima volta c'è sempre un pregresso, una fase personale di riflessione relativa a un proprio bisogno, che poi in via successiva porta a maturare l'idea di rivolgersi ad un professionista. Quando si giunge in palestra, quando ormai si è pronti ad effettuare il primo workout, buona parte dell'elaborazione del concetto è già avvenuta, si porta e si dichiara al trainer la conclusione delle proprie riflessioni, e non l'iter attraverso cui sono maturate.
A sua volta il professionista potrà valutare di applicare un protocollo specifico volto al soddisfacimento del bisogno palesato (dimagrire, aumentare i volumi muscolari, ecc.), o spingersi ad analizzare il problema che la persona si porta dietro con la sua domanda.
Nel primo caso il professionista del fitness si sta limitando ad applicare una procedura a lui familiare e che statisticamente fornisce un risultato, nel secondo caso valuta la tecnica per trattare la domanda del cliente, partendo dal reale problema che l'ha generata. Il professionista si chiede qual è la circostanza, l'azione, l'elemento che ha fatto "precipitare" gli eventi al punto che il cliente sentisse proprio in quel momento l'esigenza di rivolgersi a lui.
Capisco che il tutto possa apparire squisitamente teorico soprattutto in una fase in cui il fitness sembrerebbe aver smesso di "fare bene" (ricorderete che durante la pandemia di covid-19 l'intero settore urlava i benefici e le ricadute in termini di prevenzione degli eventi avversi) ora, col covid alle spalle, si è tornati in un battibaleno a parlare di glutei sodi e addominali in vista, uniche priorità e vetuste leve del marketing. Figurarsi quindi ipotizzare un approccio ancor più complesso come quello descritto. Proprio per questo già dalla premessa mi sono rivolto ai professionisti del fitness, e non a chi si improvvisa come tale. A soggetti che per preparazione, attenzione, e capacità nell'agire, possono godere di una fidelizzazione e di un pricing completamente differenti.
Tornando all'analisi della domanda, dietro la richiesta di un "semplice" dimagrimento può esserci un disagio adolescenziale, può celarsi la voglia di riscoprire il proprio corpo come è stato in passato, la necessità di aumentare la propria autostima (con tutte le ricadute sociali del caso), ma può esserci anche una esigenza salutistica, che a sua volta sarà differente se è finalizzata a evitare una recidiva o a generare una condizione preventiva, così come potrebbe esserci una condizione di dismorfofobia.
La richiesta è sempre la medesima: dimagrire, ma l'emozione che ha portato all'azione è differente, pertanto l'approccio dovrebbe tener conto di tali aspetti ed essere differente a sua volta.
Il racconto del problema esposto dal cliente, individua una condizione antecedente alla richiesta di intervento da parte del professionista. Se ci si limita a quanto palesato non si fa altro che prendere alla lettera la richiesta stessa cercando in modo più o meno stringente di assecondare e soddisfare l'utente.
Ma questo fa venire meno uno dei due possibili obiettivi che, proprio come nell'ambito psicologico, non è soltanto e unicamente la risoluzione del problema (nell'esempio di prima il dimagrimento), ma può riguardare obiettivi di sviluppo, che anche quando non riescano ad assolvere pienamente all'esito finale previsto, creino le premesse per la gestione del problema medesimo.
Ecco che l'insicurezza adolescenziale non rischia di trasformarsi in una ossessione legata al perfezionismo corporeo, ritrovandosi una persona apparentemente con l'obiettivo raggiunto, ma verosimilmente con altri problemi di più complessa risoluzione; la richiesta salutistica non si trasformerà in una serie di divieti e ansie da mancato rispetto delle regole, ma permetterà l'acquisizione di uno stile di vita che potrà essere mantenuto nel lungo periodo. Il dimagrimento (ribadisco, solo per proseguire con l'esempio iniziale), non sarà più lo scopo ultimo dell'intervento del professionista, né la medicina amara da prendere al bisogno, ma una conseguenza gratificante e motivazionale delle azioni apprese e intraprese. Ecco che il fitness potrà tornare a essere tale, perché linguisticamente molti sono già da anni propensi al wellness ma, nella realtà dei fatti, in pochi si sono spostati dalla semplice gestione di un ideale estetico (che spesso porta con se un bagaglio di disagio fisico ed emotivo).
Non dico che tutto quanto sopra possa essere appreso e applicato sempre e da tutti, proprio per questo non sempre, e non tutti, sono dei professionisti.